Sinergie di Scuola

C'era una volta la Costituzione Italiana, un testo fondamentale che entrò in vigore il 1° gennaio 1948 ma che prese l'avvio quando l'Italia fu liberata dal nazifascismo, il 25 aprile di 70 anni fa.

La Costituzione è la nostra norma fondamentale, e riconosce e garantisce i diritti fondamentali degli uomini e dei cittadini, e il diritto al lavoro, insieme alla dignità dei lavoratori, alla retribuzione dignitosa, alle ferie, alla salute e a tante altre cose.

La Costituzione non chiarisce dettagliatamente il sistema della gerarchia delle fonti, ovvero di cosa si applichi, in concreto (soprattutto quando gli organi istituzionali dicono cose diverse), per regolare la vita dei cittadini, ma le cosiddette preleggi al codice civile, la giurisprudenza e la dottrina, nel corso di anni di democrazia, hanno indicato la strada.

Uno dei punti fondamentali della gerarchia delle fonti è che la legge non può essere derogata da una circolare amministrativa (men che meno dalle indicazioni di qualche funzionario ministeriale), che vale come interpretazione, mai come fonte parificata alla legge.

Ugualmente, una circolare amministrativa non può ingerirsi in materie che sono di spettanza contrattuale, con il rischio di determinare unilateralmente ciò che deve essere regolato con l'accordo  dei rappresentanti dei lavoratori.

Ricordiamoci queste premesse.

Come riportato in queste ore solo da fonti sindacali, e di fronte al generale silenzio dei media di solito solerti a gettare fango sul pubblico impiego, il TAR del Lazio il 17 aprile 2015, con la sentenza n. 5714, ha scritto una pagina di diritto molto importante: ha annullato la circolare n. 2 del Ministero per la PA del febbraio 2014, la quale, interpretando l'ultima riforma dell'art. 55 septies comma 5 ter del TU pubblico impiego, che aveva modificato il termine "assenza" in "permesso" in caso di visite specialistiche e terapie, aveva di fatto vietato che potesseo utilizzarsi assenze orarie per malattia.

La circolare quindi, da più di un anno applicata in quanto tale nei confronti di circa 3.200.000 impiegati pubblici, e che introduceva una interpretazione estremamente rigida del dettato normativo, ha prodotto un effetto importante; i lavoratori pubblici, in caso dovessero effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami, sono stati obbligati a ricorrere ai permessi a recupero, permessi brevi, intere giornate di malattia oppure alle ferie, che invece (ricordate la Costituzione?) dovrebbero essere dedicate al riposo e al recupero delle energie.
Su ricorso della CGIL-FLC, il TAR si è pronunciato proprio in questi giorni. 

Dopo aver premesso che il mutamento della parola "assenze" in "permessi" attiene al fatto che la normativa nuova riguarda sia stati patologici in atto (terapie) che visite ed esami magari solo a scopo preventivo e diagnostico (e che è assenza per malattia ogniqualvolta si debbano effettuare visite ed esami e terapia che presuppongono uno stato invalidante), la pronuncia analizza la circolare, che imputa l'utilizzo della locuzione "permessi" ai soli casi di permessi brevi o a recupero. Ebbene, per il TAR non è questo lo spirito della legge, anche considerato che la stessa interviene molto dopo l'approvazione delle ultime tornate contrattuali, che parlavano di "permessi" (riferendosi a casi specifici) ben prima della modifica legislativa che riguardava anche le assenze per malattia.

Per la magistratura amministrativa, quindi, la novella legislativa deve trovare adeguamento nella disciplina contrattuale nazionale, che deve trovare una forma autonoma di permessi per assenze o visite non collegate ad uno stato patologico. Tale adeguamento, del resto, è previsto ed auspicato dallo stesso Dipartimento Funzione Pubblica in una prima, recente ipotesi di nuovo Contratto Collettivo nazionale quadro per il pubblico impiego), richiamata dalla magistratura amministrativa.

Il TAR, in conclusione, annulla per tutte le amministrazioni pubbliche la circolare che prevede(va) l'utilizzo di permessi brevi per assenze per visite specialistiche, terapie e nei casi previsti dall'art. 55 septies comma 5 ter.

Riassumendo.

Una legge dello Stato interviene sulla disciplina delle assenze per visite o terapie modificando un termine di derivazione contrattuale (e la sola denominazione della norma, articolo cinquantacinque septies comma cinque ter, dà l'idea di quante volte, e con che ordine, l'abbia fatto).

Mentre la legislazione segue il naturale decorso temporale (incessante e stratificato), i Contratti Nazionali rimangono così, immoti, poiché bloccati per legge, e non adeguati alla normativa che continua ad essere prodotta.
Durante e perdurante questo blocco, il Ministro per la PA (era all'epoca Gianpiero D'Alia) elimina il diritto di chi sta male (o di chi effettua la tanto auspicata prevenzione) di farsi visitare senza dover necessariamente perdere un giorno di lavoro, se non ricorrendo a ferie, permessi ad ore oppure ad un giorno intero di malattia.

I dirigenti delle amministrazioni pubbliche attuano nella grande maggioranza dei casi pedissequamente "gli indirizzi applicativi" contenuti nella circolare, anche se la stessa vale come interpretazione e non come disposizione di servizio, evitando qualsiasi interpretazione autonoma, rischiosa, ma congruente alle loro responsabilità, poiché essi stessi sono custodi della legge e dell'azione amministrativa.

I media, di par loro, colgono l'occasione per il consueto "dagli al lavativo", imputando, con approfondimento degno di laureati all'università della vita, l'incremento delle assenze di malattia di un giorno (come ovvio determinati dall'esigenza di ricorrere ad una giornata di malattia anche per una sola visita o terapia), alla consueta vulgata (ormai stantia) del fannullonesimo nostrano.

Nel frattempo, si producono migliaia, forse milioni di permessi brevi, giornate di ferie o di malattia quando sarebbero bastate un paio d'ore di assenza dal lavoro, e chissà se mai possa rispondere qualcuno del danno, subito in primo luogo dai lavoratori, e dai lavoratori malati.

Che da domani potranno presentarsi dai propri dirigenti con la sentenza in mano, e richiedere, come prima, un permesso per malattia, da giustificarsi nei termini di legge.

Che altro?

Ah, sì, buon 25 aprile, e buona festa dei lavoratori, a tutti.

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