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Chissà quante volte sarà capitato negli uffici pubblici che il dipendente sia scivolato accidentalmente, magari su una matita o una penna cadute a terra. Un incidente banale che può però avere anche delle conseguenze gravi.

Così è capitato alla dipendente pubblica della cui vicenda si è occupata la Corte di Cassazione con sentenza n. 22280 del 21/10/2014.

La lavoratrice, durante le incombenze d’ufficio all’interno dei locali dell’Amministrazione di cui era dipendente, era scivolata su una matita caduta a terra e aveva riportato lesioni permanenti pari al 67%. L’Inail aveva escluso che l’infortunio fosse indennizzabile ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sul rilievo che il rischio non era diverso da quello che incombe su ogni altro soggetto che si sposti a piedi per ragioni non di ufficio.

La ricorrente ha promosso una prima controversia nei confronti dell’Inail per ottenere, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, l’indennizzo conseguente all’infortunio sul lavoro e la relativa domanda è stata rigettata, con sentenza passata in giudicato. In particolare la Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza impugnata, aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro, affermando che la lavoratrice, scivolata su una matita, non era stata esposta ad un rischio diverso da quello che incombe su ogni altro soggetto che si sposti a piedi in circostanze non caratterizzate dall’incombenza a lei assegnata, né il rischio connesso agli spostamenti spaziali, che incombe su chiunque si muova da un luogo ad un altro, era reso, nella specie, maggiore dall’attività lavorativa svolta dall’infortunata.

A seguito di tale pronuncia, la ricorrente aveva convenuto in giudizio lo Stato italiano, addossandogli la responsabilità dell’infortunio per non essersi adeguato, entro il 31 dicembre 1992, alla direttiva CEE 89/391 del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, e lamentando che la sentenza impugnata aveva omesso di accertare la conformità del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 a tale direttiva.

Secondo la Cassazione, la suddetta direttiva CEE non prevede alcun obbligo specifico a carico del datore di lavoro con riguardo all’ipotesi della controversia. Essa infatti prevede al primo comma che il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro e, al quinto comma, che la “presente direttiva non esclude la facoltà degli Stati membri di prevedere l’esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali o imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata”.

Si tratta quindi di disposizioni non sufficientemente specifiche, in ordine alle quali non è possibile ravvisare una inadempienza dello Stato italiano per la mancata loro trasposizione nel diritto nazionale.

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