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Una recente sentenza delle Corte di Cassazione (sentenza n. 5809 dell'8/03/2013) è tornata ad affrontare la questione dello svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente in malattia, dichiarando questa volta illegittimo i licenziamento di una dipendente che, nel periodo di assenza per malattia, aveva lavorato presso un bar.

Come già stabilito in precedenti pronunce, “lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio "ex ante" in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia."

Peraltro, "nell'ipotesi in cui il dipendente assente per malattia venga sorpreso a svolgere attività lavorativa presso terzi, grava su di lui l'onere di provare la compatibilità dell'attività svolta con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa, e perciò l'inidoneità di tale attività a pregiudicare il recupero delle normali energie lavorative".

In ogni caso, come per qualsiasi accertamento di fatto, "la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento".

Nel caso di specie, la Corte d'Appello, alla luce delle risultanze istruttorie, ha semplicemente escluso che l'attività prestata dalla dipendente in malattia in un bar potesse pregiudicare o ritardare la sua guarigione, rilevando in particolare che la donna era assente per un infortunio ad una caviglia con prognosi giustificata di 10 giorni  e che la sua attività lavorativa presso il bar ha avuto luogo solo negli ultimi tre giorni di malattia e dunque in prossimità della scadenza della data prevista per la ripresa dell'attività lavorativa; e che inoltre la stessa tipologia della malattia, derivata da un trauma alla caviglia, era dunque tale da escludere che l'allontanamento da casa potesse di per sé aggravarla “ed è anzi ragionevole ritenere che un certo esercizio, negli ultimi giorni, potesse favorire la piena ripresa della funzionalità dell'arto. Infine, la Corte d’Appello ha rilevato che il bar era comunque di dimensioni molto ridotte con un afflusso di clienti limitato.

La Cassazione ha confermato la decisione, escludendo che la donna avesse in qualche modo violato i propri obblighi di correttezza e buona fede e dichiarando pertanto illegittimo il licenziamento anche sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo.

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