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Non può essere motivo di licenziamento il rifiuto a trasferirsi in un'altra sede da parte di un lavoratore dipendente, soprattutto se ciò è giustificabile dalla necessità di assistere il coniuge ammalato.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 21967/2010 ha stabilito che se il diniego a trasferirsi è giustificato da un motivazione grave, al lavoratore non può essere comminata la sanzione massima.

Il caso di specie riguarda una lavoratrice che ha impugnato il proprio trasferimento, nonché il successivo licenziamento, chiedendo di essere reintegrata sul posto di lavoro in assenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso.

Infatti, la donna, assunta a tempo indeterminato, usufruiva della agevolazioni della legge 104/1992 in quanto assisteva il marito affetto da handicap grave. Informato il datore di lavoro, è stata successivamente trasferita presso la sede di un’altra città, con tempi di percorrenza superiori e difficoltà notevoli nell’assistenza del coniuge.

Prima di comparire in sede cautelare, il datore di lavoro ha revocato il trasferimento e ha licenziato la lavoratrice con decorrenza immediata.

Il tribunale ha però dato ragione alla donna, dichiarando l'illegittimità del licenziamento e condannando il datore di lavoro alla riassunzione o al risarcimento del danno.

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