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Anche l'Aran dice la sua sul divieto di monetizzazione delle ferie non fruite di cui tanto si sta discutendo dal 7 luglio scorso, data di entrata in vigore della Spending review. L'Agenzia ha infatto pubblicato a dicembre sul proprio sito un articolo, con il quale riassume, commenta e critica la portata applicativa dell'art. 5, comma 8 del D.L. n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012.

"Si tratta - leggiamo nel commento - di una misura particolarmente rigorosa finalizzata non solo alla riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica, come le altre contenute nel medesimo provvedimento legislativo, ma anche a reprimere gli abusi dovuti, come sopra detto, all’eccessivo ricorso alla monetizzazione delle ferie presso le pubbliche amministrazioni di tutti i comparti di contrattazione, che si sono tradotti in significativi incrementi dei costi per il personale".

Considerate le specifiche finalità perseguite, le nuove regole non trovano applicazione nel settore del lavoro privato. Viene quindi introdotto un elemento di diversità tra la disciplina del lavoro pubblico e quella del lavoro privato su tale specifico punto, in contrasto (ecco la critica) con quella tendenza alla progressiva omogeneizzazione dei trattamenti spettanti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con quelli dei lavoratori privati, avviata con il D.Lgs. 29/1993 e che, con specifico riferimento alla materia dell’orario di lavoro, era stata fatta propria anche dal D.Lgs. 66/2003, fatte salve solo le previsioni contrattuali del settore pubblico di maggiore favore.

Altrettanto criticamente poi l'Aran si chiede quali siano quei “permessi” cui pure l’art. 5, comma 8, della legge n. 135/2012 fa generico riferimento ai fini dell’esatta definizione della propria portata applicativa. La legge ha introdotto il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie, permessi e riposi non fruiti. In tale dizione ampia e generale, per l'Aran, sono certamente ricompresi sia le ferie che i quattro giorni di festività soppresse ex lege n. 937/1977.

Infine, un'ultima considerazione: come emerge dalla lettura formale del testo, la norma individua anche, espressamente, alcune specifiche ipotesi in cui comunque non è più consentita la corresponsione dei trattamenti sostitutivi di ferie, riposi e permessi non fruiti dal dipendente: “anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età”.

Evidentemente, il legislatore ha voluto rafforzare l’efficacia applicativa del divieto, formalizzando espressamente l’estensione dello stesso anche ad alcune di quelle situazioni che più frequentemente venivano addotte a giustificazione della mancata fruizione delle ferie. Tuttavia, in relazione a tale aspetto, l'Aran solleva qualche dubbio sul richiamo, tra le altre, anche dell’ipotesi della mobilità del personale. Infatti questa, tecnicamente, sulla base delle regole in materia (art. 30 del D.Lgs. 165/2001), non si configura come una cessazione del rapporto di lavoro in senso proprio. Conseguentemente, proprio per tale aspetto, in passato, anche a prescindere dalla nuova normativa, è sempre stata esclusa l’applicabilità delle previsioni contrattuali in materia di monetizzazione anche alle ipotesi di mobilità del personale.

Le perplessità avanzate dall'Aran vanno dunque ad aggiungersi agli altri - tanti - dubbi riguardanti alcune casistiche particolari che non dovrebbero rientrare nella portata applicativa della norma, quali ad esempio il decesso (sul quale si è recentemente espressa la Corte dei conti siciliana), ma sulle quali il Legislatore - a parte un intervento nella legge di Stabilità per i docenti a tempo determinato - non è ancora intervenuto in modo chiaro ed inequivocabile.

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