Uno studente di un Liceo di Rimini ha impugnato l'esito negativo dell'esame di Maturità dell’a.s. 2021/2022, bocciato per aver ottenuto un punteggio 56/100, insufficiente per soli 4 punti.
Egli ha chiesto l’annullamento della bocciatura e degli atti connessi (verbali della Commissione, griglie di valutazione, scheda del candidato, prove scritte e orali, ecc.) e il risarcimento del danno subito per presunti vizi di legittimità e disparità di trattamento.
Motivazioni del ricorso
Tra le diverse censure sollevate, il ricorrente ha sostenuto che durante il colloquio orale non gli fosse stato chiesto di discutere le prove scritte e che la valutazione complessiva degli studenti sarebbe stata svolta in tempi troppo ridotti per garantire un’adeguata analisi (circa 8 minuti per studente).
E inoltre la Commissione non avrebbe tenuto conto delle difficoltà personali del candidato (ripetuti contagi da Covid-19, lutti familiari, interventi chirurgici).
Infatti, lo studente ha lamentato che la Commissione d’esame non avesse preso in considerazione:
- la pandemia da Covid-19, che aveva inciso negativamente sul suo percorso scolastico;
- due contagi da Covid-19, con sintomi da “long Covid” che avrebbero influito sulla sua capacità di studio e rendimento;
- un intervento chirurgico per l’asportazione delle tonsille (avvenuto il 31 agosto 2019);
- tre lutti familiari verificatisi in breve tempo.
Secondo il ricorrente, questi eventi avrebbero dovuto essere considerati dalla Commissione in sede di valutazione finale, per mitigare il giudizio sulla sua performance d’esame.
Decisione del TAR
Il TAR Emilia-Romagna (sentenza n. 00149/2025) ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato sia nella parte impugnatoria che risarcitoria.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto corretta la procedura d'esame, precisando che non fosse obbligatorio valutare la discussione delle prove scritte nel colloquio. E che inoltre non esiste una normativa che preveda un tempo minimo per la correzione delle prove.
In merito alle possibili ripercussioni dovute alla pandemia, non era stato dimostrato alcun impatto diretto sulle prestazioni d’esame.
Secondo il TAR, il giudizio finale d’esame non deve tenere conto delle difficoltà personali passate, ma solo della preparazione dimostrata dal candidato durante le prove. Le vicende pregresse avrebbero potuto influenzare il percorso scolastico e i crediti formativi, ma non possono essere un criterio di valutazione dell’esame finale. Inoltre, il candidato non ha prodotto alcun documento che attestasse in modo formale che la sua situazione sanitaria e familiare avesse compromesso le sue prestazioni d’esame. E infine, la Commissione non era obbligata a considerare fattori esterni alla prova: nella migliore delle ipotesi, avrebbe potuto adottare comportamenti volti a rendere sereno il colloquio orale, ma non era tenuta a introdurre misure compensative o dispensative, che sarebbero state più adatte al percorso scolastico che all’esame finale.
Il Tribunale ha dunque ribadito che le valutazioni della commissione d’esame rientrano nella discrezionalità tecnica e non possono essere sindacate se non in caso di errori macroscopici, che in questo caso non sono emersi. E ha condannato il ricorrente a pagare 3.000 euro di spese legali all’Amministrazione scolastica.