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Dopo l’INPS, anche il Dipartimento della Funzione pubblica ha diramato proprie istruzioni sulle modifiche introdotte dalla legge n. 183/2010 alla disciplina in materia di permessi per l'assistenza alle persone con disabilità.

La finalità della circolare n. 13 del 6 dicembre 2010 è quella di rendere degli orientamenti per l'interpretazione e l'applicazione della nuova normativa, ferme restando le autonome determinazioni di ciascuna amministrazione nell'esercizio del proprio potere organizzativo e gestionale. Rimane fermo quanto già illustrato dal Dipartimento della funzione pubblica nella Circolare n. 8 del 2008, par. 2.2 e 2.3, a proposito dell'utilizzo frazionato dei permessi.

Anche in questo caso non ci dilungheremo sugli aspetti già trattati a commento delle novità introdotte sulla materia dall’art. 24 del Collegato Lavoro, ma ci soffermeremo su alcuni chiarimenti della Funzione Pubblica che si aggiungono a quanto già riportato nella circolare INPS n. 155 del 3 dicembre scorso.

Innanzitutto, relativamente al concetto di “referente unico” introdotto dalla legge in argomento, l'art. 24 non ha menzionato i requisiti della continuità e dell'esclusività dell'assistenza che quindi non sono più esplicitamente previsti dalle disposizioni in materia, ma ha però espressamente stabilito che il diritto alla fruizione dei permessi "non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità".

Con tale prescrizione è stato perciò ripreso in parte e tipizzato il concetto di esclusività dell'assistenza, limitandolo alla regola secondo cui i permessi possono essere accordati ad un unico lavoratore per l'assistenza alla stessa persona. In base alla legge, quindi, viene individuato un unico referente per ciascun disabile, trattandosi del soggetto che assume "il ruolo e la connessa responsabilità di porsi quale punto di riferimento della gestione generale dell'intervento, assicurandone il coordinamento e curando la costante verifica della rispondenza ai bisogni dell'assistito."(così il Consiglio di Stato, nel parere n. 5078 del 2008).

Le nuove norme però – chiarisce la Funzione Pubblica - non precludono espressamente la possibilità per lo stesso dipendente di assistere più persone in situazione di handicap grave, con la conseguenza che, ove ne ricorrano tutte le condizioni, il medesimo lavoratore potrà fruire di permessi anche in maniera cumulativa per prestare assistenza a più persone disabili.

Analogamente, le nuove norme non precludono espressamente ad un lavoratore in situazione di handicap grave di assistere altro soggetto che si trovi nella stessa condizione e, pertanto, in presenza dei presupposti di legge, tale lavoratore potrà fruire dei permessi per se stesso e per il famigliare disabile che assiste. Anche se, in quest’ultimo caso, è evidente che la fruizione di permessi in maniera cumulativa in capo allo stesso lavoratore possa creare notevole disagio all'attività amministrativa per la possibilità di assenze frequenti e protratte del lavoratore stesso, per cui questi aspetti dovrebbero essere ben valutati dal dipendente che intende chiedere la fruizione dei permessi cumulativamente, limitando la domanda alle situazioni in cui da un lato non vi sono altri famigliari in grado di prestare assistenza, dall'altro non sia possibile soddisfare le esigenze di assistenza nel limite dei tre giorni mensili.

Un altro aspetto sul quale si è soffermato la circolare in commento è la definizione ed esplicitazione dei presupposti oggettivi per il riconoscimento dei permessi:

a) la persona in situazione di handicap grave non deve essere ricoverata a tempo pieno

Per ricovero a tempo pieno si intende il ricovero per le intere 24 ore presso le strutture ospedaliere o comunque le strutture pubbliche o private che assicurano assistenza sanitaria.

Fanno eccezione a tale presupposto le seguenti circostanze:

  • interruzione del ricovero per necessità del disabile di recarsi fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite o terapie;
  • ricovero a tempo pieno di un disabile in coma vigile e/o in situazione terminale;
  • ricovero a tempo pieno di un minore in situazione di handicap grave per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un famigliare.         

La ricorrenza delle situazioni eccezionali di cui sopra dovrà naturalmente risultare da idonea documentazione medica che l'amministrazione è tenuta a valutare.

b) l'eliminazione dei requisiti della convivenza, della continuità ed esclusività dell'assistenza

L'art. 24, comma 2, let. b), della l. n. 183 interviene sull'articolo 20, comma 1, della l. n. 53 del 2000, eliminando le parole da "nonché" fino a "non convivente". A seguito di tale intervento, i requisiti della "continuità" e dell' "esclusività" dell'assistenza non sono più menzionati espressamente quali presupposti necessari ai fini della fruizione dei permessi in argomento da parte dei beneficiari.

Inoltre, nella riformulazione  dell'art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 non è più presente il requisito della "convivenza", che era necessario per la fruizione dei permessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 20 della l. n. 53 del 2000. Analogamente, la legge ha abrogato l'art. 42, comma 3, del D.Lgs. n. 151 del 2001, il quale prevedeva che i permessi dei genitori di figlio in situazione di handicap grave maggiore di età potessero essere fruiti a condizione che sussistesse convivenza o che l'assistenza fosse continuativa ed esclusiva.

Infine, segnaliamo quali possono essere ad esempio  le situazioni che possono dar luogo alla decadenza del diritto al beneficio di cui trattasi: il venir meno della situazione di handicap grave a seguito della visita di revisione, il decesso della persona in situazione di handicap grave, il sopravvenuto ricovero a tempo pieno del disabile, la circostanza che due lavoratori prendono permessi per assistere la medesima persona in situazione di handicap grave.

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