Sinergie di Scuola

I diritti spettanti ai lavoratori familiari di persone con disabilità sono disciplinati principalmente dall’art. 33 comma 5 legge 104/1992, che dispone:

5. Il lavoratore di cui al comma 3 ha  diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo  consenso ad altra sede.

I lavoratori di cui al comma 3 sono «il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della  persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti  da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti».

Sulle modalità di fruizione ed esercizio del diritto si è scritto molto, e molti casi diversi hanno occupato gli uffici del personale come le aule dei tribunali, e interessato ovviamente la vasta platea di lavoratori coinvolti.

Di recente sono intervenute alcune ulteriori interpretazioni, di cui riteniamo utile dare conto.

Illegittimità del trasferimento di sede senza consenso

Il Tribunale di Teramo, con la sentenza 345 del giugno 2014, è intervenuto riguardo al caso di una dipendente scolastica trasferita, senza il suo consenso, da una scuola primaria ad una scuola dell’infanzia.

Il Tribunale, nel caso di specie, ha dato ragione alla ricorrente, in quanto la stessa (che contestava il trasferimento invocando appunto i benefici della legge 104) non aveva mai avanzato richiesta formale di trasferimento, nonostante la difesa del dirigente che aveva disposto il provvedimento avesse rilevato una istanza presentata in maniera del tutto informale che, come tale, era stata ritenuta priva di rilevanza dal Tribunale. 

Inoltre, il trasferimento, prevedendo il passaggio da sei giorni la settimana a cinque, comportava un maggior carico di lavoro giornaliero per la lavoratrice, che poteva assistere il familiare disabile solo nelle ore serali.

Al di là delle singole e contingenti preferenze del lavoratore beneficiario dei permessi di cui alla legge 104, la sentenza in esame pone l’attenzione sul diritto di scelta del lavoratore, e sulle situazioni soggettive di preferenza, che possono differire l’una dall’altra e che vanno considerate in relazione alle singole esigenze di assistenza al familiare in difficoltà. 

La ratio della norma, stabilisce la pronuncia, è infatti «evitare di sottoporre il lavoratore che assiste il familiare disabile a tutti quei disagi che un trasferimento comporta (tra i quali va certamente ricompresa una diversa riorganizzazione del lavoro) che potrebbero rendere più difficoltosa l’assistenza continuativa al soggetto gravemente handicappato».

Rammentando altre pronunce, il Tribunale di Teramo conclude, in accoglimento del ricorso della lavoratrice, ritenendo «illegittimo il trasferimento adottato contro la volontà del lavoratore, precisando peraltro che per trasferimento debba intendersi qualsiasi modifica unilaterale della sede in cui il lavoratore svolge la propria attività e che pregiudichi la continuità dell’assistenza»


Legittimità del trasferimento senza consenso

La Cassazione è intervenuta con sentenza del 5/11/2013, n. 24775 a disciplinare un caso particolare di trasferimento senza consenso del lavoratore.

La Cassazione, anche in questo caso, ha ribadito che assistere un parente in situazione di disabilità senza rischiare trasferimenti operati dal datore di lavoro in assenza di consenso è un diritto connesso a principi e valori costituzionalmente tutelati. Tale diritto tuttavia non è assoluto; trova delle limitazioni, come nel caso di specie, quando sia accertata (e la valutazione deve essere condotta rigorosamente) l’incompatibilità della permanenza del dipendente nella propria sede di lavoro.

Il giudice delle leggi in questo caso esamina i diritti della persona handicappata e la sua “inamovibilità” e le attribuzioni dei familiari che assistono il disabile; questo diritto deve conciliarsi con altri interessi rilevanti e non ha i caratteri dell’assolutezza.  

Chiarisce la Corte, relativamente al caso in questione, precisando che: «la situazione di incompatibilità ambientale, se pure prescinde da ragioni punitive o disciplinari ed è riconducibile in via sistematica all’art. 2103 c.c., si distingue dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo in quanto costituisce essa stessa causa di disorganizzazione e disfunzione realizzando, di per sé, un’obiettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro [...] Pertanto, la particolarità delle esigenze sottese a tale situazione, riconducibili a valori di rilievo costituzionale e allo stesso mantenimento dell’assistenza alle persone handicappate, determina la inapplicabilità, in caso di incompatibilità ambientale, della tutela di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 6».

In conclusione «il diritto della persona handicappata di non essere trasferita senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda, non è invece attuabile ove sia accertata la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro».

Con sentenza del marzo 2014 il Tribunale del Lavoro di Bari è intervenuto sul medesimo argomento della non assolutezza del diritto di assistenza; si trattava, in questo caso, di trasferimento disposto per chiusura della sede originaria. La pronuncia in questione richiama le numerose sentenze sul punto intervenute e il concordare delle stesse sulla necessità di conciliare i numerosi interessi che possono concorrere e le singole situazioni e peculiarità. Il mutamento della sede, nel caso affrontato, è stato ritenuto “necessitato” dalla cancellazione della sede originaria, il che prevale, per ovvi motivi, sul diritto all’inamovibilità del lavoratore.

Parenti e affini entro il terzo grado

Il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, con l’interpello 19 del 26 giugno 2014, interviene su un punto di notevole interesse pratico a proposito dell’assistenza a persone con handicap.

L’argomento verte sulla possibilità di parenti o affini entro il terzo grado di beneficiare dei tre giorni di permesso mensile, e in quali casi sia consentito. 

Ricordiamo che l’art. 33 comma 3 della legge 104/92,  modificato dall’art. 24 comma 1 lett. a della legge 183/2010, espressamente prevede che «a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora il genitore o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa anche in maniera continuativa».   

Ebbene, a proposito del caso particolare evidenziato della disposizione, il Ministero è intervenuto in senso favorevole al lavoratore, disponendo che «può fruire dei permessi in argomento il parente o affine entro il terzo grado anche qualora le condizioni sopra descritte» – ovvero minimo 65 anni di età, deceduti o mancanti, oppure anch’essi affetti da patologie invalidanti – «si riferiscano ad uno solo dei soggetti indicati dalla norma».

Una interpretazione diversa (tutti i soggetti interessati nella impossibilità di prestare assistenza al disabile), indica il Ministero, restringerebbe fortemente la platea dei beneficiari.

Il Ministero conclude disponendo che, ai fini della fruizione del beneficio, sia necessario dimostrare esclusivamente che il coniuge e/o i genitori del disabile si trovino in quelle condizioni di limitazione previste dalla norma, non rilevando né essendo richiesto di riscontrare la presenza nel’ambito familiare di parenti ed affini di primo e di secondo grado.

Per approfondimenti si veda la rubrica “Abilitando”.

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