Sinergie di Scuola

Argomento ricorrente in tema di incompatibilità coinvolge le Partite IVA, che sarebbero motivo discriminante (in senso ostativo) per la concessione delle autorizzazioni a svolgere attività all’esterno.

Preliminarmente, va sottolineato che non risultano norme che escludono la possibilità di concedere l’autorizzazione al “doppio lavoro” ai possessori di Partita IVA. Questo documento, si ricorda, è un codice che identifica i contribuenti, ed è utilizzato dai lavoratori autonomi, a prescindere dall’iscrizione degli stessi ad albi professionali. È previsto dal D.P.R. 633/1972, che all’art. 35 dispone che:

1. I soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione, devono farne dichiarazione entro trenta giorni ad uno degli uffici locali dell’Agenzia delle entrate a seguito del quale gli uffici rilasciano un codice di Partita IVA [...]

La Partita IVA, quindi, non identifica un tipo solo di lavoratore (operazione ardua soprattutto oggi con l’attuale mercato del lavoro), ed è conseguenza non scontata ritenere il possesso della stessa preclusivo in tema di incompatibilità nel pubblico impiego. Alcune professioni intellettuali prevedono l’apertura della partita IVA, e possono astrattamente rientrare nelle attività consentite dall’art. 53, comma 6 del D.Lgs. 165/2001. Va ricordato, tuttavia, che l’art. 5 del D.P.R. citato esclude dall’esercizio di “arti e professioni” quelle svolte occasionalmente e senza abitualità, carattere, questo, precipuo delle attività consentite ai pubblici dipendenti; l’art. 4 del medesimo D.P.R., poi, disegna l’impresa, anche per prestazioni di servizi, come attività caratterizzata dall’abitualità.

Sembrerebbe quindi che il possesso di Partita IVA sia del tutto incompatibile con l’attività di pubblico dipendente; alcune interpretazioni istituzionali, tuttavia, sembrano confutare l’assoluta certezza sul punto.

Si prenda ad esempio, per il solo caso dei docenti (ricordiamolo, sottoposto a normativa speciale sul punto delle incompatibilità) quanto affermato dalla Corte dei Conti Sezione giurisdizionale Trentino Alto Adige con la sentenza 55/2018; intervenendo sul caso di un docente di un conservatorio che aveva svolto attività libero professionale, in presunto contrasto con l’art. 53 D.Lgs. 165/2001, commi 7 e 7-bis, la Corte giunge ad assolvere il docente, contestando la tesi della Procura per cui la titolarità della Partita IVA avrebbe dimostrato la consapevolezza dello svolgimento di attività professionale abituale. Ebbene, la Corte, rammentando l’art. 508, comma 15 del D.Lgs. 297/1994 (che consente lo svolgimento dell’attività professionale per i docenti), giunge a ritenere la Partita IVA «funzionalmente correlata allo svolgimento dell’attività libero professionale in oggetto», escludendo un conflitto con l’attività di docente pubblico.

Viceversa, la Corte dei Conti sezione giurisdizionale Lombardia, con la pronuncia 199/2018, stigmatizza, esitando in condanna, il caso di una operatrice sanitaria che aveva svolto attività di consulenza (ex se vietata) «addirittura con apertura di partita IVA»; le due pronunce, dello stesso anno, intervengono in due ambiti diversi, pur se rivolte entrambe a pubblici dipendenti; i docenti, ripetiamo, sono soggetti a regime di maggior favore.

Ancora, un parere reso dal Dipartimento Funzione Pubblica alla Corte dei Conti del 24/01/2012, in proposito dell’ammissibilità dell’attività di mediatore svolta da pubblici dipendenti, suggerisce alle pubbliche amministrazioni di adottare criteri generali che regolino il regime delle autorizzazioni, indicando fattori preclusivi come, ad esempio, la Partita IVA.

Ad ingenerare dubbi, con due circolari del 1997, confermate da interpretazioni giurisprudenziali (TAR Basilicata n. 195/2003), la Funzione Pubblica aveva tuttavia ritenuto poi non del tutto incompatibile con il pubblico impiego la partita IVA agricola, pur se accompagnata dagli ordinari e richiesti requisiti di occasionalità e non abitualità.

In conclusione, la Partita IVA non è caratteristica ex se vietata dalla normativa in tema di incompatibilità, ma costituisce, nella maggioranza dei casi, sintomo di abitualità, ed è proprio l’abitualità che impedisce l’esercizio della seconda attività.

È quindi opportuno che le richieste di autorizzazione o le eventuali misure dirette a vietare una seconda attività prescindano da questo unico metro di valutazione, anche alla luce delle ondivaghe interpretazioni istituzionali sul punto.

Lavoratori in part-time e partita IVA

Se non è del tutto pacifico che l’esercizio di attività professionale tramite Partita IVA sia esclusa per i dipendenti pubblici, a fortiori tale preclusione deve intendersi in modo più elastico nel caso di lavoro pubblico esercitato a tempo parziale, in regime inferiore al 50%.

La Legge 662/1996, con l’art. 1, commi 56 e seguenti, infatti, consente ai dipendenti pubblici con prestazione di lavoro part-time non superiore al 50% di svolgere attività libero-professionale e attività di lavoro subordinato o autonomo; tale previsione è rammentata anche da pronunciamenti del Dipartimento Funzione Pubblica, es. con il parere 220/2005, che ricorda come anche «la Corte Costituzionale, in diverse pronunce relative all’art. 1, commi 56 e 56-bis della Legge 662/1996 [...] ha avuto modo di affermare che il legislatore ha posto in essere un sistema di cautele idoneo ad evitare situazioni di incompatibilità per i dipendenti in regime di tempo parziale, prescrivendo che le amministrazioni individuino le attività non consentite e ponendo, pertanto, rigorosi limiti all’esercizio di ulteriori attività lavorative».

La medesima legge poi, con il comma 58-bis dispone che «Ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interesse, le amministrazioni provvedono, [...] ad indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno».

Ancora, il Dipartimento della Funzione Pubblica nel Documento del 24/07/2013, recante “Criteri generali in materia di incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche” (reperibile qui), rammenta al punto c quali sono gli incarichi preclusi a tutti i dipendenti, a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro; tali incarichi sono quelli che in generale interferiscono in ogni modo con l’attività lavorativa ordinaria, compromettendo l’attività di servizio anche con l’utilizzo di mezzi o strumenti dell’amministrazione, che si svolgono in orario di ufficio (ipotesi foriera di danni ulteriori per l’amministrazione), e tutti quelli per cui, essendo prevista l’autorizzazione, la stessa non sia stata rilasciata (o non siano decorsi i termini del silenzio/assenso, nei casi previsti, in caso di mancato rilascio).

Il documento ricorda, per il personale in part-time, anche la preclusione per gli incarichi che non siano stati comunicati al momento della riduzione del rapporto di lavoro o in un momento successivo.

Si ritiene necessario, anche in caso di attività lavorativa svolta in regime inferiore al 50%, che l’attività ulteriore sia comunque comunicata al datore di lavoro, anche solo per adempiere agli obblighi relativi alla comunicazione degli interessi finanziari di cui all’art. 6 del D.P.R. 62/2013, cui si rimanda.

Tale comunicazione si ritiene ancor più necessaria in caso di seconda attività svolta con apertura di partita IVA.

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