Sinergie di Scuola

Sul numero di Sinergie di Scuola di giugno 2019 con l’articolo “Mangio solo il panino della mia mamma!” si approfondì il caso trattato dalla Prima sez. civ. della Corte di Cassazione che, con l’Ordinanza n. 6972/2019, rimise al Primo Presidente della Suprema Corte gli atti oggetto di giudizio per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

La vicenda in sintesi era la seguente: esiste, o meno, la possibilità/diritto che i ragazzi frequentanti la scuola dell’obbligo, consumino pasti portati da casa, invece che fruire del servizio mensa?

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 20504/2019 hanno fornito risposta negativa al quesito poiché non è configurabile un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale nell’orario della mensa e nei locali scolastici; le modalità di gestione del servizio mensa sono rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche in attuazione del principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica.

L’intervento del Consiglio di Stato

Una recente sentenza del Consiglio di Stato, la n. 7640/2020, ha affrontato nuovamente il tema dell’autorefezione individuale giungendo a conclusioni apparentemente diverse da quelle della Corte di Cassazione. Esaminiamone i motivi.

I genitori di alcuni alunni di una scuola primaria lombarda, avente un modello scolastico a tempo prolungato di 30 ore più quattro rientri pomeridiani obbligatori, con un servizio mensa e trasporto scuolabus, avevano impugnato in primo grado due deliberazioni del Consiglio di Istituto, con cui si vietava l’esercizio dell’autorefezione per gli alunni della scuola primaria, con richiesta:

  1. di accertamento del diritto dei propri figli a consumare alimenti di preparazione domestica nel locale adibito a refettorio, senza divisioni e discriminazioni, sotto la vigilanza e con l’assistenza educativa dei docenti, per condividere i contenuti educativi connessi al tempo mensa;
  2. di accertamento del diritto dei propri figli a poter beneficiare, durante il tempo mensa e dopo mensa, senza ulteriori oneri, della vigilanza e dell’assistenza educativa del personale docente all’interno del locale adibito a refettorio, quale esso sia, unitamente e contemporaneamente ai compagni di classe;
  3. della conseguente condanna dell’Istituto scolastico ad organizzarsi in tal senso, e quindi ad adottare, e/o far adottare, nell’interesse generale dell’intera comunità scolastica, tutti i necessari provvedimenti per disciplinare la coesistenza di pasti di preparazione domestica e di pasti forniti dalla ditta comunale di ristorazione collettiva nel medesimo locale adibito a refettorio, garantendone vigilanza e assistenza educativa senza oneri in capo alle famiglie.

Per i genitori ricorrenti la posizione giuridica azionata avrebbe consistenza di diritto soggettivo ma comunque, anche se dovesse ritenersi di interesse legittimo, l’Amministrazione avrebbe potuto solo organizzare l’autorefezione ma non vietarla.

Così descritti in sintesi i motivi del ricorso, esaminiamo le motivazioni del Consiglio di Stato partendo da una premessa fondamentale: la posizione giuridica soggettiva azionata dagli appellanti deve qualificarsi di interesse legittimo, e non di diritto soggettivo, avendo dunque ciascun Istituto scolastico una vera e propria potestà organizzativa in merito all’offerta formativa, implicante motivate valutazioni discrezionali, anche in ordine alle modalità della relativa prestazione, «che possano renderne sicuro ed efficiente lo svolgimento, nel bilanciamento dei contrapposti interessi ed all’esito di un’adeguata istruttoria».

La necessità di far fronte alla pandemia da Covid-19 impone che detto bilanciamento sia effettuato con particolare attenzione sotto il profilo igienico-sanitario: relativamente al servizio di mensa, il Consiglio di Stato ritiene che la soluzione prospettata dagli appellanti sia, in ipotesi, funzionale al contenimento del contagio, in quanto il pasto da casa – salvo prova contraria – viene in contatto con le mani dei soli genitori degli alunni.

Inoltre, continua il Giudice amministrativo, l’interesse pubblico connesso all’esercizio delle mense scolastiche trascende quello dei singoli utenti, riferendosi in primis alla cura del diritto alla salute, in quanto la ristorazione scolastica non è soltanto il mero soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali, ma anche educazione e promozione per una corretta abitudine alimentare dei minori, coinvolgente anche i docenti e i genitori attraverso la promozione di abitudini alimentari corrette.

Con queste premesse sono stati scrutinati gli atti dell’Istituto scolastico impugnati.

Con la deliberazione n. 18 del Consiglio di Istituto del 28/05/2019, erano state accolte le richieste di autorefezione individuale presso la scuola secondaria di primo grado, ma non quelle presso la primaria, per i seguenti motivi:

  1. il modello scolastico “modulare”, diverso dal tempo pieno, di 30 ore settimanali, escluderebbe il tempo mensa;
  2. non vi sarebbe personale ATA per le mansioni di preparazione e pulizia del locale mensa;
  3. negli edifici dell’Istituto non vi sarebbero locali mensa o refettori, né luoghi diversi e idonei da destinare all’autorefezione, privi di frigoriferi e forni;
  4. vi sarebbero quindi rischi igienico-sanitari, allergie, e/o di contaminazione alimentare, con possibili conseguenze sulla salute degli alunni in mancanza di linee guida ministeriali sulla consumazione del pasto domestico.

Con la deliberazione n. 28 del 29/06/2019, il Consiglio di Istituto aveva poi stabilito che, pur se il Comune avesse accolto le richieste di riunire in un unico locale gli alunni aderenti alla mensa comunale e quelli in autorefezione individuale, non sarebbe però stata assicurata la vigilanza degli allievi non aderenti al servizio mensa.

Contro le descritte deliberazioni gli appellanti mossero riserve motivate sulla ingiustificata limitazione delle libertà individuali, in assenza di dimostrate e proporzionate ragioni ostative, anche con riferimento alle caratteristiche del locale mensa, ritenuto dai genitori idoneo per tutte le tipologie di pasti, compresi quelli provenienti da casa.

Una ferma censura era poi avanzata verso la determinazione dell’Istituto scolastico di non farsi carico della vigilanza degli allievi non aderenti al servizio mensa, e dunque in violazione sia dell’art. 7, comma 4 del D.Lgs. 59/2004 («allo scopo di garantire le attività educative e didattiche, [...] nonché l’assistenza educativa da parte del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa [...] è costituito l’organico di istituto»), sia della circolare n. 29/2004 («nell’orario di insegnamento [...] è compresa l’assistenza educativa svolta nel tempo dedicato alla mensa»), oltre che dell’art. 26, comma 10 del CCNL («il servizio di mensa rientra a tutti gli effetti nell’orario di attività didattica»).

Siamo alla decisione definitiva?

Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il ricorso, disponendo l’annullamento degli atti impugnati, per i seguenti motivi:

  • La vigilanza, durante il tempo mensa, deve essere affidata in ogni caso al personale insegnante, dato che nell’orario obbligatorio è compreso anche quello dedicato alla refezione.
  • Il servizio di mensa scolastica è definibile non soltanto «facoltativo a domanda individuale» (D.M. 31/12/1983 del Ministero dell’Interno), ma anche come strumentale all’attività scolastica e tuttavia strettamente collegato al diritto all’istruzione (art. 6 del D.Lgs. 63/2017: «[...] laddove il tempo scuola lo renda necessario, alle alunne e agli alunni delle scuole pubbliche dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado sono erogati, nelle modalità di cui all’art. 3, servizi di mensa, attivabili a richiesta degli interessati [...] nei limiti dell’organico disponibile e senza nuovi o maggiori oneri per gli enti pubblici interessati»).
  • La richiesta di consumare individualmente il proprio pasto in linea di principio deve dunque ammettersi e può essere accolta, seppure secondo modalità che favoriscano la socializzazione degli alunni, ma soprattutto ne azzerino i rischi in materia di salute e sicurezza (art. 26, comma 5 del D.Lgs. 81/2008), e in ogni caso sotto la vigilanza del corpo docente.

Sulle difese dell’Istituto scolastico il giudizio del Consiglio di Stato non consente equivoci:

  1. (memo: il modello scolastico “modulare”, diverso dal tempo pieno, di 30 ore settimanali, escluderebbe il tempo mensa) il motivo non è fondato perché l’orario in questione prevedeva quattro rientri pomeridiani obbligatori;
  2. (memo: non vi sarebbe personale ATA per le mansioni di preparazione e pulizia del locale mensa) il motivo non è fondato perché è ovvio ritenere che il personale ATA e gli spazi per la mensa, se sono sufficienti per coloro che ne utilizzano i servizi, lo saranno anche per chi fa autorefezione;
  3. (memo: negli edifici dell’Istituto non vi sarebbero locali mensa/refettori, né luoghi diversi ed idonei da destinare all’autorefezione, privi di frigoriferi e forni) il motivo non è fondato per quanto detto sub b);
  4. (memo: vi sarebbero quindi rischi igienico-sanitari, allergie, e/o di contaminazione alimentare, con possibili conseguenze sulla salute) il motivo non è rilevante per quanto detto in narrativa.

Pur se di rilievo secondario, si evidenzia che le spese di giudizio sono state compensate, in ragione sia delle oscillazioni della recente giurisprudenza ordinaria e amministrativa, sia della lacuna normativa e regolamentare in materia.

(le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione)

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