La riforma del mercato del lavoro (legge n. 92 del 2012), meglio nota come Legge Fornero, costituisce solo un primo passo verso il perfezionamento del cammino di riforma del mercato del lavoro, e richiede un lungo e articolato percorso di perfezionamento, sia per ciò che concerne la risoluzione immediata di alcune questioni rimaste irrisolte, sia per gli effetti che alcune disposizioni produrranno nell’ordinamento civile.
La Legge Fornero contiene principi e criteri valevoli anche per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ma spetterà al ministero competente definire «mediante iniziative normative gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione nel rispetto della specificità dei diversi comparti».
Tra le varie novità contenute nel testo di legge, una riguarda modifiche concrete ai contratti di lavoro, perseguendo come obiettivo la lotta contro l’uso elusivo di tipologie contrattuali atipiche (contratti a progetto, contratti a termine, collaborazioni rese da titolari di partita IVA ecc). Spesso accade infatti che queste forme contrattuali in realtà nascondano un rapporto di lavoro di tipo subordinato, per cui – proprio per impedire l’abuso del ricorso a tali tipologie contrattuali – sono state introdotte nella riforma delle misure restrittive che puntano ad evitare queste elusioni.
Il contratto a progetto è una delle tipologie contrattuali più diffuse sia per la semplicità sia per il risparmio economico a favore dei datori di lavoro: viene erogato solo il compenso indicato nel contratto e il committente non ha a proprio carico obblighi e spese quali tredicesima, ferie e trattamento di fine rapporto.
La Legge Fornero ha limitato il ricorso ai contratti a progetto, che «devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore» per cui «l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e la mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato».
Per di più il progetto «non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente», per cui se il progetto non è specifico ed è riconducibile all’oggetto sociale del committente, si presume che il collaboratore sia titolare di un rapporto di lavoro di tipo subordinato.
Inoltre «Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». In riferimento a questa novità e al collegamento con le attività aziendali svolte dai dipendenti c’è anche la modifica del comma 2 dell’art. 69 del D.Lgs. 276 del 2003:
Salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La riforma del lavoro specifica anche che «il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale». La descrizione del progetto indicato nel contratto deve essere «con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire». Quindi nel contratto deve essere indicato per iscritto non solo un progetto specifico, non rientrante del tutto nell’oggetto sociale aziendale, ma anche il risultato finale che si intende perseguire. Si tratta di una distinzione chiara e netta, destinata a mutare profondamente l’applicazione di questa forma contrattuale.
Compenso
Il D.Lgs. 276 del 2003 prevedeva che il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto fosse proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e tenesse conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.
La Legge n. 92 del 2012 dispone invece che lo stesso compenso sia proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e, in relazione a ciò, nonché alla particolare natura della prestazione e del contratto che la regola, non possa essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività.
Aliquota contributiva Inps
Dalla riforma del lavoro arriva anche una novità di tipo contributivo che incide sulla valutazione della convenienza dei contratti a progetto: è stato deliberato un incremento dell’aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla Gestione Separata Inps e della corrispondente aliquota per i pensionati o iscritti ad altra gestione previdenziale. I contributi dovuti per i contratti a progetto aumenteranno gradualmente di un punto percentuale per ogni anno dal 2013 – 28% (19% per i pensionati o iscritti ad altra gestione previdenziale) al 2018 – 33% (24% per i pensionati o iscritti ad altra gestione previdenziale).
Partite Iva e trasformazione del contratto
Il contratto di prestazione d’opera svolto da titolari di partita Iva è stato molto limitato dalla Legge Fornero, che prevede, nel caso in cui il professionista lavori per 8 mesi in regime di monocommittenza con un datore di lavoro, la presunzione di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con tutte le conseguenze e, se il progetto non esiste «salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente», prevede anche la trasformazione in un rapporto di lavoro di tipo subordinato a tempo indeterminato.
La presunzione di subordinazione scatta nel caso in cui ricorrano almeno due dei successivi presupposti:
- la collaborazione abbia una durata complessiva superiore a otto mesi nell’arco dell’anno solare;
- il corrispettivo derivante da tale collaborazione costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;
- il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
L’onere di provare il contrario passa al committente. La presunzione si applica ai rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della legge sulla riforma lavoro (18 luglio 2012). I rapporti in corso a tale data vanno adeguati entro il mese di luglio 2013.
Sono escluse dal campo di applicazione della norma le prestazioni lavorative connotate da competenze teoriche di grado elevato, quelle svolte da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 18.663 euro e quelle svolta da un professionista iscritto agli ordini professionali.
Riforma del Lavoro e P.A.
Le nuove norme per le partite IVA introdotte dalla riforma del lavoro si applicano solo al settore privato: quindi i contratti di collaborazione a progetto fra settore pubblico e professionisti con partita IVA non sono assoggettate ai nuovi obblighi di trasformazione del contratto previsti dalla riforma del lavoro.
Lo specifica una nota del ministero della Funzione Pubblica del 25 settembre 2012, esprimendo un parere alla Provincia di Bari in merito a prestazioni professionali svolte nei confronti delle P.A. da parte di titolari di partita IVA.
La stessa riforma del lavoro, ai commi 7 e 8 dell’articolo 1, specifica le modalità di applicazione alla P.A. delle nuove norme:
Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono princìpi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Sarà il ministro per la pubblica amministrazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, a definire:
anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Quindi, conclude il Ministro, considerato che le disposizioni sulle collaborazioni contenute nel citato decreto non contengono una previsione di immediata applicabilità nei confronti delle pubbliche amministrazioni, la relativa normativa riguarda solo i rapporti di lavoro fra privati.
Per la P.A., in mancanza di altre disposizioni, al momento resta valido quanto disposto dall’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, comma 6: «Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria».