Come anticipato da Sinergie di Scuola con un articolo sul sito del 18 luglio 2011, il massimo consesso della Giustizia Amministrativa ha definitivamente sancito che, in materia di impugnativa delle graduatorie ad esaurimento del personale docente scolastico, la competenza è del Giudice Ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro.
Come vedremo, è una pronuncia questa che non dovrebbe lasciare attoniti più di tanto, atteso che già molte erano state le decisioni della Corte di Cassazione in tal senso.
In realtà la notizia è di quelle da prima pagina perché, soprattutto da parte di molte Organizzazioni Sindacali di categoria, sono stati presentati centinaia di ricorsi, di cui molti tuttora pendenti, di fronte ai Tribunali Amministrativi Regionali competenti per territorio.
Ricorsi che, alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato, dovranno essere riassunti di fronte alla Magistratura del Lavoro. Certo è che i ricorsi furono presentati al TAR, e non al Giudice del lavoro, perché lo stesso Consiglio di Stato nel 2007 si era pronunciato in senso diametralmente opposto.
La vicenda trae origine da un ricorso presentato al TAR Lazio da parte di una docente della scuola secondaria di primo grado, avente ad oggetto l’impugnazione della graduatoria del personale docente. Il tribunale amministrativo dichiarò il proprio difetto di giurisdizione in favore di quella del Giudice Ordinario – Magistratura del Lavoro.
Cosa stabilisce la sentenza
La decisione dell’Adunanza Plenaria (sentenza n. 11 del 12 luglio 2011), articolata su motivazioni rinvenibili in precedenti pronunce della Corte di Cassazione, affronta tematiche di non poco rilievo per il personale docente, valevoli non solo e non tanto per l’oggetto della decisione medesima (a quale Giudice presentare ricorso in materia di graduatorie ad esaurimento?), ma utili per individuare il Giudice competente cui presentare ricorso anche in altre ipotetiche cause contro l’Amministrazione aventi diverso oggetto.
Nel caso specifico la controversia trova il suo riferimento normativo sia nel testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (D.Lgs. 297/1994 e s.m.i.), e in particolare l’art. 401 (graduatorie permanenti) e l’art. 522 (graduatorie provinciali per le supplenze), sia nella legge finanziaria 2007 (legge 296/2006 art. 1 comma 605, lett. c) nella parte in cui ha statuito che le graduatorie permanenti di cui all’art. 1 del D.L. 97/1994, convertito con modificazioni dalla Legge 143/2004, sono trasformate in graduatorie ad esaurimento.
Queste graduatorie, come peraltro stabilito dalla Corte di Cassazione a sezione unite con sentenza n. 3032 dell’8 febbraio 2011, pur se formalmente chiamate dalla legge “graduatorie” per l’appunto, in realtà non costituiscono l’atto finale di una procedura concorsuale tipica, quale quella disciplinata dalla norma fondamentale in materia di concorsi pubblici di cui al DPR 487/1994, ma rappresentano altresì degli elenchi in cui viene inserito il personale docente avente titolo all’assunzione.
È opportuno richiamare testualmente il principio diritto sancito dalla Corte di Cassazione nella sentenza citata:
«In materia di graduatorie ad esaurimento del personale docente della scuola di cui alla Legge 296/2006 art. 1 comma 605 lett. c), e con riferimento alle controversie promosse per l’accertamento del diritto dei docenti già iscritti in determinate graduatorie ad esaurimento e che si siano avvalsi della facoltà di essere inseriti in altre graduatorie provinciali, di non essere collocati in coda rispetto ai docenti già iscritti in queste ultime graduatorie, diritto negato dall’Amministrazione in applicazione della disciplina del DM 42/2009, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, venendo in questione atti che rientrano tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (D.Lgs. 165/2011 art. 5, comma 2), di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi, avendo la pretesa ad oggetto al conformità a legge degli atti di gestione della graduatoria utile per l’eventuale assunzione».
Orbene, per l’iscrizione nelle graduatorie di cui trattiamo, il personale docente non ha partecipato a un concorso pubblico regolarmente bandito per un numero determinato di posti, né tanto meno ha sostenuto prove selettive in competizione con altri candidati, ma ha dovuto semplicemente produrre una domanda d’iscrizione all’Autorità scolastica, che d’ufficio ha provveduto a inserire in graduatoria i richiedenti e aventi titolo per l’iscrizione. Per il Consiglio di Stato dunque dette graduatorie non possono essere ricomprese nelle procedure di concorso, la cui competenza a decidere in base all’art. 63 comma 4 D.Lgs. 165/2001 è attribuita al Giudice Amministrativo.
Le graduatorie ad esaurimento inoltre, e diversamente da un’ordinaria graduatoria di concorso, non sono immutabili ma vengono periodicamente aggiornate, in particolare avuto riferimento ai nuovi iscritti e all’aver conseguito ulteriori titoli valutabili successivamente alla prima iscrizione (peraltro la quasi totalità dei ricorsi hanno ad oggetto proprio gli aggiornamenti delle graduatorie).
In buona sostanza le graduatorie ad esaurimento vivono di un dinamismo che non modifica la posizione giuridica degli iscritti nelle medesime, che è sempre quella di diritto all’assunzione.
Il Consiglio di Stato infatti chiaramente afferma che l’Amministrazione scolastica non ha alcun potere discrezionale sulle predette graduatorie, ma provvede agli aggiornamenti delle medesime esercitando i poteri del privato datore di lavoro.
In tal senso, e per ribadire l’assenza dell’esercizio di qualsiasi potere autoritativo in subiecta materia, l’Amministrazione scolastica, nel momento in cui ha determinato il numero di docenti da immettere in ruolo ovvero da chiamare per le supplenze, ha l’obbligo di attingere dalle graduatorie ad esaurimento, così come ha l’obbligo di procedere all’aggiornamento delle stesse; da qui l’ovvia considerazione che tutto il personale iscritto nelle suddette graduatorie vanta un diritto soggettivo, tutelabile avanti al Giudice del Lavoro, e non già un interesse legittimo, conosciuto dal Giudice Amministrativo, e ciò per l’ovvia considerazione che sia l’inserimento in graduatoria sia il relativo aggiornamento non sono altro che frutto di un calcolo matematico (a tale titolo corrisponde tale punteggio), come tale oggettivo e non suscettibile di interpretazione discrezionale.
In buona sostanza, e con sforzo di sintesi, l’attuale sistema normativo sulle graduatorie ad esaurimento conosce una fase sicuramente discrezionale da parte dell’Autorità scolastica che è quella relativa al contingente del personale da assumere, suddiviso per classi d’insegnamento, mentre la successiva, l’assunzione tramite le graduatorie ovvero il loro aggiornamento, non è altro che l’assolvimento dell’obbligazione datoriale all’assunzione dei lavoratori.
Nell’evidenziare che la decisione dell’Adunanza Plenaria ha già trovato riscontro in altre pronunce del Consiglio di Stato (ex multis CdS sez. VI n. 3551/2011 e CdS sez. VI n. 4389/2011), come in narrativa anticipato si approfondiscono di presso due temi che emergono dalla citata pronuncia, l’uno relativo al perché di tanto clamore, l’altro sul riparto di giurisdizione in materia di pubblico impiego.
Perché la sentenza ha avuto tanta risonanza nel mondo della Scuola
La risposta parrebbe sin troppo ovvia. Eppure, nonostante il peso di una pronuncia che mette luce su di una problematica vissuta dal personale docente di estrema importanza – perché decisiva ai fini della tutela del diritto all’assunzione – il vero clamore è dato dalla circostanza che lo stesso Consiglio di Stato non molti anni prima si era pronunciato in senso diametralmente opposto.
Con decisione n. 8/2007 l’Adunanza plenaria del Consiglio stabilì che in materia di ricorsi avverso le graduatorie permanenti la competenza fosse del Giudice Amministrativo, sulla considerazione che il riparto di giurisdizione posto dall’art. 63 comma 4 D.Lgs. 165/2001 dovesse essere interpretato non limitatamente alle procedure concorsuali in cui fossero messi a bando un numero determinato di posti, assegnati ai vincitori a seguito di prove selettive, ma comprendendovi ogni procedura indetta dalla Pubblica Amministrazione che fosse finalizzata all’instaurazione di un rapporto di pubblico impiego.
In tal senso il Consiglio di Stato ritenne che la posizione giuridica degli iscritti nelle graduatorie permanenti fosse di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.
Le motivazioni alla base di tale statuizione sono le seguenti:
«Anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità valutativa o tecnica, quindi, occorre aver riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, alla finalità perseguita dalla norma primaria, per cui quando l’attività amministrativa, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo».
Sulla scorta di un simile pronunciamento, che seguiva un orientamento quasi generalizzato dei Giudici Amministrativi di primo grado, il personale docente, anche per il tramite delle Organizzazioni Sindacali di categoria, ha dunque fatto ricorso al TAR per impugnare le suddette graduatorie e relativi aggiornamenti.
Cosa succede dunque dopo la Plenaria del 12 Luglio?
A rigore i ricorsi pendenti dovrebbero conoscere la medesima sorte di quello presentato avanti il TAR Lazio, da cui poi nacque la decisione dell’Adunanza Plenaria in commento, e dunque il Giudice Amministrativo dovrebbe declinare la propria giurisdizione in favore di quella del Giudice Ordinario – Magistratura del lavoro, fissando anche un termine per la riassunzione del ricorso di fronte a tale organo giudicante.
I ricorsi che diversamente siano già arrivati a sentenza definitiva, quelli che per intenderci hanno esaurito ogni possibile fase di giudizio, non saranno interessati da tale pronuncia e pertanto, in caso di esito favorevole per i lavoratori, non dovranno altro che trovare puntuale ottemperanza da parte dell’Amministrazione.
Giudice del Lavoro e Giudice Amministrativo
La sentenza del Consiglio di Stato è importante anche perché permette di approfondire un tema di ampio respiro: il riparto di giurisdizione nel pubblico impiego privatizzato, quale è tutto il personale della scuola.
La vicenda oggetto della pronuncia del massimo consesso della Giustizia Amministrativa evidenzia infatti un punto dolente della riforma del pubblico impiego: non sempre, con chiarezza e certezza, i lavoratori sanno a quale Giudice rivolgersi per la tutela dei propri diritti.
Come si è evidenziato, le oscillazioni giurisprudenziali, che tanto interesse possono suscitare per i giuristi e gli operatori giuridici in genere, possono avere pesanti ripercussioni per chi tali incertezze le subisce, non foss’altro per le inevitabili lungaggini che si determinano per ogni dubbio, anche il più elementare, che debba essere chiarito.
Si dirà che nulla è pregiudicato, chi ha erroneamente presentato ricorso al TAR è incorso in un errore scusabile dovuto a contrasto giurisprudenziale e può sempre ripresentare ricorso al giudice del lavoro. Tutto vero, ma nel frattempo, magari, sono già passati due anni davanti al Giudice Amministrativo e poi altri due davanti al Giudice Ordinario; e poi, certo, viene riconosciuto il diritto all’assunzione, magari anche agli arretrati... però il nostro povero docente che aveva diritto all’assunzione come ha passato questi anni? Dietro avvocati, giudici e carte bollate, non sulla cattedra che gli spettava di diritto.
Dunque, la norma fondamentale cui fare riferimento è l’art. 63 del D.Lgs. 165/2001. Il comma 1 individua la competenza del Giudice del Lavoro su tutti gli aspetti relativi al rapporto di lavoro, dal momento dell’assunzione sino alla cessazione.
Sono dunque a titolo esemplificativo – e non esaustivo – di competenza del Giudice del Lavoro tutte le problematiche relative all’instaurazione del rapporto di lavoro quando, come si è letto, non vi è esercizio di potere discrezionale da parte della PA, alla materia disciplinare, all’affidamento delle mansioni lavorative, tra cui gli incarichi dirigenziali, alla fruizione degli istituti di legge e contrattuali (ferie, permessi, progressioni orizzontali di carriera, indennità varie, aspettativa), all’assegnazione della sede di servizio, alla fruizione dei diritti sindacali.
In tutte le materie di competenza del Giudice del Lavoro laddove vengano in rilievo degli atti amministrativi presupposti questi possano essere disapplicati dal giudice se lesivi dei diritti riconosciuti al lavoratore.
Si evidenzia che per atti amministrativi presupposti si intendono quelli di cosiddetta macro-organizzazione, ad esempio un decreto ministeriale o del direttore regionale, che presuppongono l’esercizio di un potere discrezionale (autoritativo) da parte dalla PA; al contrario, gli atti gestionali dei singoli rapporti di lavoro, ad esempio “l’ordine di servizio” rivolto a un lavoratore, anche se adottati nella consueta forma dell’atto amministrativo (nr. protocollo, premessa, dispositivo) in realtà rilevano quali atti adottati nella qualità di datore di lavoro (art. 5 comma 2 D.Lgs. 165/2001: «le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro»).
Rimangono invece affidate alla competenza del Giudice Amministrativo le controversie in materia di concorsi pubblici, e dunque l’impugnativa del bando di concorso, se ritenuto immediatamente lesivo dei propri interessi, la valutazione dei titoli e delle prove selettive, il corretto andamento delle selezioni, la composizione della commissione giudicatrice, l’approvazione della graduatoria finale.
La competenza del Giudice Amministrativo si arresta dunque alla graduatoria finale del concorso. Al riguardo si segnala che i vincitori del concorso, vantando un diritto all’assunzione che esercitano dopo l’approvazione della graduatoria, in caso di controversia sulla mancata assunzione, debbono presentare ricorso al Giudice del Lavoro, mentre gli idonei al concorso, per giurisprudenza non unanime ma maggioritaria, non vantando un diritto allo scorrimento della graduatoria, ma una mera aspettativa, possono proporre ricorso al TAR se, ad esempio, la PA invece di scorrere la graduatoria indice un concorso analogo senza dar conto dei motivi di mancato scorrimento della predetta graduatoria.
(Le considerazioni qui esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore
e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza)