È impossibile parlare di conduzione della classe senza parlare di relazione: nella vita di ogni giorno tutto passa attraverso una relazione. A quali relazioni dobbiamo prestare attenzione nella pratica educativo-didattica?
La relazione docente-alunno
Tutti i vari ambiti della nostra vita quotidiana sono segnati da relazioni. Nel contesto scolastico, ogni forma di insegnamento-apprendimento, ogni modalità di comunicazione, di collaborazione e anche di conflitto passa attraverso una relazione. Essa rappresenta il cuore pulsante del percorso di crescita personale di ogni studente. Possiamo afffermare di esistere come esseri umani solo se ci relazioniamo con altre persone; senza relazioni significative con chi sta attorno a noi non esistiamo, siamo solo contenitori vuoti. Per condurre efficacemente una classe, un docente deve sapersi relazionare in modo positivo e costruttivo con i propri alunni. In quest’ottica deve mostrare empatia, sicurezza, autorevolezza e determinazione.
Cosa può fare nel concreto in aula?
Un docente deve innanzitutto comunicare in modo chiaro e palese le sue aspettative rispetto ai comportamenti e agli apprendimenti. Gli studenti devo essere coinvolti in modo attivo nel loro percorso d’apprendimento attraverso discussioni di gruppo e decisioni assunte in modo democratico. I ragazzi, infatti, faticano molto ad accettare, e di conseguenza ad adeguarsi, a regole imposte dall’alto non concordate. Ovviamente ci sono regole di carattere generale che devono essere rispettate a scuola e che non possono essere messe in discussione: in questo caso parliamo con i ragazzi dei motivi alla base di queste regole e verifichiamo che abbiamo capito le direttive.
Un’altra mossa importante che il docente può fare per costruire relazioni solide e positive è incentivare il più possibile gli scambi interpersonali con i singoli allievi. Non è facile avere un dialogo individuale con ogni studente perché sappiamo bene quanto a scuola i ritmi siano incalzanti e il tempo sia sempre ridotto. Approfittiamo, quindi, di ogni ritaglio di tempo (la fine di una lezione, l’intervallo, il momento dell’uscita da scuola) per parlare singolarmente con i ragazzi. Ciò serve per stabilire una relazione profonda, basata su un interesse vero che l’insegnante nutre verso il proprio allievo.
È possibile accrescere il rapporto interpersonale anche partendo da occasioni che ci vengono fornite direttamente dai nostri studenti: quando, ad esempio, si avvicinano a noi per raccontarci della loro gara di sci oppure dell’ultimo film del loro attore preferito, oppure ancora del litigio che hanno avuto in giardino col compagno. Cogliamo queste preziose occasioni per ascoltarli, per dare loro i nostri consigli e per trasmettere il messaggio che possono sempre contare su di noi.
Infine, un docente competente cerca di costruire un percorso d’apprendimento non solo finalizzato al contesto scolastico, ma nella più ampia prospettiva della formazione della persona e del futuro cittadino. In questo senso deve facilitare la proposta didattica scegliendo attività adeguate per tutta la classe, comunicando gli obiettivi e motivando alla cooperazione.
Le relazioni fra gli alunni
A scuola non assistiamo solamente alla costruzione della relazione tra l’insegnante e i propri studenti, ma anche alle relazioni degli studenti tra loro. La scuola è un ambiente sociale che offre molte possibilità formative e che permette al singolo alunno di entrare in contatto con i pari; le relazioni tra i compagni di classe condizionano la vita sia dello studente stesso sia dell’intera comunità educativa.
Se un alunno instaura dei buoni rapporti con i coetanei e in classe respira un clima di apprezzamento e stima è più motivato ad apprendere e di certo darà il meglio di sé. Se, al contrario, l’allievo è preso di mira dai compagni, è emarginato, escluso dai giochi e mai scelto nei lavori di gruppo, sperimenterà un profondo senso di inadeguatezza e scarsa fiducia nelle proprie capacità. Le conseguenze dirette saranno demotivazione, scarso impegno, poca partecipazione e ritiro sociale.
La qualità della relazione tra pari influenza profondamente il comportamento del singolo alunno. Per sollecitare l’instaurarsi di relazioni positive dobbiamo educare l’affettività a scuola: essa è importante tanto quanto l’italiano e la matematica. L’apprendimento non avviene senza relazioni e a prescindere dai sentimenti dei ragazzi – quindi occorre far circolare le emozioni, prenderne coscienza, parlare dei propri sentimenti per creare delle vere relazioni empatiche.
Le relazioni con i colleghi
Le classi che funzionano meglio sono quelle condotte da un team docenti unito, cioè disposto a comunicare, collaborare e trovare insieme le strategie più adatte per far fronte alle problematiche legate alla classe.
Il singolo docente non è l’unico responsabile del percorso d’apprendimento degli studenti: egli, infatti, deve condividere con i colleghi della classe stessa tutte le decisioni che riguardano quel particolare gruppo di alunni. Tutte le scelte operate devono trovare l’accordo del gruppo docenti che discute insieme gli interventi migliori da attuare nella classe.
Gli insegnanti devono curare con molta attenzione le relazioni con i colleghi: devono nutrire rispetto e fiducia reciproci ed essere consapevoli che solo il gioco di squadra massimizza i risultati. Se un insegnante ha la presunzione di decidere da solo senza coinvolgere i colleghi, ecco che la conduzione della classe non sarà affatto efficace, ma superficiale. Alla lunga, essa porterà ad un clima di classe negativo perché gli studenti percepiranno il disaccordo tra i loro insegnanti.
Questo potrebbe essere motivo d’insorgenza di comportamenti problematici difficili da arginare data la mancanza di comunicazione e collaborazione tra gli insegnanti. Qualora ciò accada, occorre un intervento mirato da parte del Dirigente scolastico che ribadisca l’importanza del lavoro congiunto per una conduzione efficace della classe.
Le relazioni con le famiglie
Famiglia e scuola sono i due capisaldi fondamentali per la crescita cognitiva, emotiva, relazionale e sociale dei ragazzi. Impossibile pensare ad una mancanza di azione congiunta e condivisione d’intenti.
La complessità della società moderna, e le difficoltà insorte con la DaD, impongono una grande attenzione da parte degli insegnanti nel costruire e mantenere nel tempo relazioni proficue con le famiglie. Nella società odierna il rapporto tra docenti e genitori non è sempre facile – inutile negarlo – e questo perché mentre in passato le famiglie erano alleate della scuola, negli ultimi anni stiamo assistendo ad un cambio di rotta. I genitori faticano a vedere gli insegnanti come educatori che lavorano per garantire la crescita cognitiva ed emotiva del bambino, ed ecco così che ogni osservazione mossa in classe al figlio viene vissuta come un attacco personale.
Il clima generale non pone di certo le basi per l’instaurarsi di rapporti sereni: mi capita spesso, infatti, nella pratica educativa, di incontrare e parlare con genitori che hanno perso fiducia verso la scuola o che sono molto preoccupati rispetto al percorso educativo dei figli, soprattutto dopo i mesi della didattica a distanza. Non mancano poi quelli ipercritici rispetto alle modalità di ripresa della didattica in presenza. Penso sempre che un genitore che critica o apertamente attacca la scuola sia in fondo un genitore in ansia, spaventato, che ha la necessità di esternare il suo malessere. Occorre ricostruire rapporti sereni, di reciproca fiducia: le famiglie devono essere consapevoli che gli insegnanti stanno lavorando con grande serietà, impegno e competenza, come sempre.
Dal canto loro, i docenti devono coinvolgere il più possibile i genitori nell’esperienza didattica, perché ciò produce un miglioramento nelle relazioni con i figli e una maggiore coscienza delle loro difficoltà. Ciò non significa certo permettere che essi si intromettano nel lavoro scolastico e didattico, prerogativa indiscutibile dei docenti. Relazionarsi con genitori difficili non è facile, il docente però deve sempre mantenere calma e riflessività, mostrando empatia (se un genitore attacca è perché ha paura, è spaventato e preoccupato) e professionalità.
A volte, superato il primo scoglio di chiusura, possiamo scoprire famiglie ostili solo perché spaventate o in ansia per il percorso del figlio, o perché non si sentono capaci di seguirlo come vorrebbero. Ricordiamoci sempre, da docenti professionisti quali siamo, di non essere affrettati nei giudizi, di non criticare a priori, ma di tentare di aprire un varco anche e soprattutto con i genitori più difficili, perché sono quelli che paradossalmente hanno più bisogno di noi.
La conduzione della classe nella DaD
A causa della pandemia, in particolare le classi delle scuole superiori (ma non solo) hanno dovuto affrontare gli ultimi mesi a casa in DaD. Questa esige di certo una rivoluzione dell’apprendimento e una co-costruzione del sapere, pur mancando la compresenza tra docenti e studenti.
La conduzione della classe a distanza non è un affare di poco conto, perché sono molte le variabili da considerare. I nostri studenti appartengono alla generazione dei cosidetti “nativi digitali”, così come li ha definiti il ricercatore americano Mark Prensky: sono nati e cresciuti con le tecnologie, hanno imparato ad organizzare le loro conoscenze non attraverso i classici schemi linguistico-simbolici, ma attraverso gli schemi sensomotori. Il click sullo schermo del cellulare o del tablet dei genitori è arrivato prima della parola “mamma”.
Contrapposta a questa generazione, sempre secondo Prensky, ci sono i cosidetti “immigrati digitali”: tutte le generazioni pre-tecnologiche che sono approdate al digitale solo più tardi, in età avanzata. Il gap, quindi, tra studenti di oggi e maggioranza dei docenti, è ampio.
Per condurre efficacemente una classe a distanza dobbiamo quindi considerare questo divario: le classi del nuovo millennio usano il pc con la stessa dimestichezza, competenza e desiderio di come noi usavamo anni fa il sussidiario o il pallottoliere. La tecnologia modifica tutto: come pensare allora alla DaD in modo davvero utile, efficace e che permetta un vero apprendimento?
DaD: alcuni consigli pratici
Per organizzare la DaD dobbiamo ricordare che essa non è la stessa cosa della didattica in presenza, quindi non possiamo pretendere di proporla alle classi senza nessun aggiustamento.
Con la DaD dobbiamo ridurre i contenuti per forza di cose, ma è normale. Fare meno, ma fare meglio: ecco l’obiettivo da perseguire.
Fare lezione davanti allo schermo del pc senza avere di fronte i propri studenti non è come entrare in aula e guardarli negli occhi. Non sto esprimendo un giudizio, non sto dicendo che una sia migliore dell’altra, anche perché in una situazione emergenziale come quella che stiamo vivendo avrebbe poco senso; sto affermando solo che si tratta di due modalità di insegnamento e conduzione della classe differenti e che quindi esigono scelte educative e didattiche ponderate e mai superficiali.
Per condurre in modo positivo una classe a distanza le lezioni non dovrebbero superarare i 25-30 minuti e non dovrebbero richiedere la memorizzazione dei contenuti trasmessi. Le lezioni a distanza dovrebbero, invece, proporre una sfida di ragionamento, non affidata al singolo studente, ma a gruppi di lavoro. L’aspetto sociale e relazionale deve essere garantito anche a distanza. A scuola, e ciò vale sia in presenza sia a distanza, dobbiamo lavorare come nella vita quotidiana. La DaD deve pensare alla restituzione di un compito: gli studenti devono ragionare, inventare, trovare soluzioni insieme.
Studio di un caso concreto
Tenendo sempre a mente il limite di tempo che ci siamo prefissati, proponiamo ai nostri studenti, divisi in gruppetti, un nuovo argomento. Forniamo loro non una spiegazione lunga e ricca di dettagli (come magari avremmo fatto in presenza), ma solo dei punti di riferimento che i ragazzi dovranno poi approfondire per ampliare e arricchire l’argomento base proposto dal docente.
Chiediamo infine al portavoce di ogni gruppetto la restituzione del lavoro di gruppo. Come? Attraverso, per esempio, la registrazione di ciò che hanno studiato insieme, oppure la registrazione delle discussioni nate tra loro per trovare la soluzione ad un certo quesito oppure ancora la creazione di un elaborato in Power Point. Accoglieranno la proposta con entusiasmo sia perché potranno condividerla con i compagni, e ciò ha una forte spinta sulla motivazione, sia perché potranno usare le tecnologie per poter restituire i loro lavori.
Non basiamo le lezioni solo sui contenuti, sarebbe un grave errore! La fase asincrona della DaD è questa: “mi devi restituire ciò che ti ho mandato”. In quest’ottica la DaD va a braccetto con la flipped classroom, ovvero la classe capovolta. Un nuovo modo di concepire la trasmissione e la scoperta di contenuti. I docenti assegnano a casa agli studenti un nuovo argomento senza fornire loro spiegazioni (come prevede invece la classica lezione frontale) e loro stessi, attraverso libri di testo e strumenti informatici, si adoperano per sviscerare i contenuti dell’argomento proposto. In classe ogni allievo espone le sue scoperte, ciò che ha capito e appreso, e insieme alla guida del docente si co-costruisce un nuovo sapere.
Un’altra questione che i docenti devono porsi è quella relativa alla valutazione, che è un diritto dello studente. Cosa e come valutare? Può risultare difficile valutare una versione di latino assegnata come verifica, se svolta a casa. Ecco allora una possibile alternativa: il docente fornisce quattro/cinque versioni di un brano e chiede allo studente di parlare delle differenze che nota, scrivendo delle riflessioni personali. Il docente valuterà questo.
Per condurre a distanza una classe non dimentichiamo infine il gioco di squadra che deve esserci tra i docenti di una stessa classe. La Legge 820/1971 trattava già allora di un obbligo deontologico ad organizzare le discipline in modo non rigido e in modo che gli insegnanti lavorino insieme (team learning). Oggi come allora lavoriamo in questo senso.
La conduzione della classe e la gestione delle dinamiche
Concentriamoci ora su alcuni pilastri della conduzione della classe che definiscono le strategie di azioni ritenute fondanti per un intervento efficace in aula.
La presenza efficace
Per condurre bene una classe occorre rendersi conto sempre di ciò che succede al suo interno, nel momento stesso in cui accade. Un docente deve cioè “essere dentro” alle dinamiche della propria classe e intervenire con tempestività per bloccare l’insorgere di eventuali situazioni-problema, ovvero comportamenti non adeguati al contesto classe che alcuni alunni potrebbero esibire se non sentissero la presenza efficace dell’insegnante. Più un docente è dentro la classe, attento, attivo, repentino nelle sue scelte educative, più gli alunni si sentono guidati da mani esperte e sicure e di conseguenza sono portati a manifestare comportamenti adeguati, rispettosi e collaborativi.
Gli studenti devono sapere che l’insegnante conosce molto bene ciò che è in atto nel gruppo ed è in grado di accorgersi subito di azioni inopportune. Devono avere la certezza che all’insegnante non sfugge niente.
Come può un docente mettere in atto questa strategia? Per essere dentro alla propria classe e alle dinamiche di gruppo, l’insegnante deve mostrare un atteggiamento pacato, ma allo stesso tempo vigile e attivo. Se un docente svolge le attività camminando tra i banchi, parlando con voce salda, ma tranquilla, si potrà accorgere di molti problemi al loro insorgere e agire con immediatezza. Per essere presente in modo efficace occorre anche identificare con precisione l’allievo responsabile di un comportamento non idoneo e agire subito quando in classe si manifesta un atteggiamento non conforme.
Il controllo prossimale
A volte può capitare che essere vigili e attenti non sia sufficiente per una gestione ottimale della classe; è così indispensabile attivarsi in altri modi.
Studio di un caso
Siamo in una classe quinta della scuola primaria.
La docente, dopo essere entrato in aula e aver salutato i bambini, si accinge ad iniziare la lezione di italiano. Ha chiaramente comunicato alla classe che oggi sarà introdotto un nuovo argomento, e che per i primi 15 minuti l’attenzione dovrà essere massima, dopo ci si potrà rilassare con un’attività più leggera e meno impegnativa.
Nonostante le consegne siano state chiare da parte della docente, un bambino pare non averle capite e così si distrae, si guarda attorno cercando di attirare l’attenzione del compagno e diventando in questo modo motivo di disturbo per tutti.
L’insegnante prosegue la sua attività, ma in modo intenzionale si indirizza verso quel bambino, cammina verso di lui guardandolo negli occhi, si avvicina e, senza ulteriori comunicazioni, gli fa capire che quel suo comportamento inadeguato deve cessare.
Questo è il cosidetto controllo prossimale: il docente intenzionalmente si avvicina fisicamente all’alunno che sta disturbando l’attività in classe. Le modalità specifiche di controllo prossimale possono essere:
- orientare il proprio corpo verso lo studente;
- camminare verso di lui;
- appoggiare una mano sul suo banco;
- toccare o rimuovere l’oggetto che causa distrazione;
- appoggiare con gentilezza una mano sulla spalla dello studente: in questo caso, però, occorre avere molta confidenza con i ragazzi per potersi avvicinare in questo modo.
La strategia del controllo prossimale permette di modificare il comportamento inadeguato di un allievo senza la comunicazione verbale e senza intervenire pesantemente, compromettendo la relazione con il soggetto.
L’effetto onda
L’effetto onda consiste nel riprendere uno studente indisciplinato di fronte a tutti, con lo scopo che tutto il gruppo classe possa imparare dalla situazione.
In determinati contesti educativi è uno strumento molto efficace in mano al docente: non dobbiamo infatti dimenticare che quando un insegnante interviene per riprendere un alunno, ciò ha una inevitabile ricaduta su tutta la classe. La strategia dell’effetto onda permette di modificare una situazione negativa e comunicare a tutti gli studenti che una certa regola è stata violata (per esempio fare silenzio oppure parlare una alla volta alzando la mano).
Nel mettere in atto questa strategia, però, occorre ricordare che il docente non deve biasimare l’alunno, ma il suo comportamento, il linguaggio non adeguato, la sua azione. C’è, infatti, una bella differenza tra dire «Marco sei stato sciocco» e «Il tuo comportamento, Marco, è stato sciocco». Nel primo caso il docente biasima la persona, nel secondo invece il comportamento.
L’effetto onda è tanto più efficace quanto meno viene messo in atto: è funzionale solo se usato di rado, altrimenti rischia di perdere di efficacia.
La comunicazione didattica
Altro caposaldo per una conduzione efficace della classe è senza dubbio la capacità da parte del docente di comunicare in modo chiaro. Occorre dare agli studenti consegne chiare e precise che non generino equivoci o malintesi. Dire, per esempio, che «l’argomento è molto complesso e occorre essere attenti» non spiega agli alunni quele comportamento devono tenere. Meglio comunicare in questo modo: «l’argomento che tratteremo richiederà la vostra attenzione per i primi 15 minuti della lezione. Dopo, nei successivi 15 minuti, ci sarà spazio per le vostre domande e alla fine svolgeremo un’attività tutti insieme per consolidare quanto imparato».
Molto utile, per favorire una buona comunicazione didattica, la costruzione di un piano di lavoro all’inizio di ogni lezione, o almeno di quelle che i docenti ritengono più impegnative per i loro allievi. Il piano di lavoro, scritto dal docente sulla LIM, su un cartellone o sulla lavagna, racchiude in pochi chiari passaggi cosa accadrà nella lezione con la relativa scansione temporale.
ESEMPIO DI PIANO DI LAVORO
LEZIONE DI OGGI:
Introduzione del nuovo argomento di storia: le guerre puniche (15 minuti)
Visione di un video alla LIM (10 minuti)
Spazio per le domande (15 minuti)
Lavoro sul quaderno (10 minuti)
Per i ragazzi è molto importante conoscere in partenza ciò che li aspetta durante la lezione e il carico di impegno e di attenzione che devono sostenere. Sapere che dopo la spiegazione ci sarà un’attività più leggera (come la visione di un video) aumenta la loro attenzione e crea più interesse. Sapere poi che potranno fare delle domande, attraverso le quali esprimere anche delle loro curiosità, sostiene la lezione in modo efficace.
Il piano di lavoro, comunicato dal docente in modo chiaro, evita l’insorgere di comportamenti inadeguati e di interventi inopportuni. Qualora qualche studente dimentichi la consegna, il docente indirizzerà prontamente la sua attenzione al piano di lavoro e ricorderà cosa occorre fare.
L’uso della voce
Lo strumento più usato in ogni contesto educativo è senza dubbio la voce. Essa permette di gestire la classe in modo funzionale: ci accorgiamo dell’importanza del tono della voce quando siamo in riunione con i colleghi oppure ad un corso di formazione e facciamo commenti sul relatore. La professionalità e competenza del docente passano attraverso la sua voce, i toni, la tranquillità con cui scegli le parole.
Quali caratteristiche deve assumere la voce a fini educativi? Un docente deve parlare con toni pacati ma sicuri, comunicando le aspettative. Il tono deve essere fermo e alto, anche se ciò non significa urlare. Inoltre deve parlare rispettando gli altri: deve pretendere silenzio quando lui parla e fare silenzio, a sua volta, quando un alunno parla. Nel modulare la voce, meglio evitare questi errori:
- parlare a voce bassa;
- parlare in modo sempre uniforme, monotono;
- parlare mostrando insicurezza;
- parlare in modo aggressivo.
La comunicazione non verbale
Accanto a quella verbale, in classe un docente deve adottare la non meno importante comunicazione non verbale. In cosa consiste?
Il ruolo della comunicazione non verbale nella gestione della classe è indispensabile. Essa si basa fondamentalmente su questi aspetti:
- il portamento: la postura eretta e l’incedere sicuro del docente comunicano professionalità e competenza;
- stare in piedi e camminare: come abbiamo già avuto modo di vedere prima con la presenza efficace, stare in piedi e camminare tra i banchi permette al docente di controllare la classe sia dal punto di vista comportamentale che didattico;
- l’espressone facciale: l’espressività del viso permette al docente di comunicare svariati messaggi. Dalla disapprovazione per un comportamento inadeguato, al rammarico per un atteggiamento sbagliato, all’approvazione per un intervento pertinente fino alla complicità;
- il contatto visivo: gli occhi parlano e sono un mezzo estremamente efficace per comunicare agli allievi la correttezza o meno dei loro atteggiamenti;
- la respirazione: sembra assurdo, ma la respirazione influisce sulla gestione della classe. I sospiri marcati comunicano irritazione che gli alunni percepiscono molto bene e possono anche comunicare ansia o partecipazione emotiva.
La didattica differenziata per una conduzione ottimale
Saper gestire in modo efficace la classe significa conoscere molto bene i propri allievi, i loro punti di forza e debolezza. Il docente deve riservare una particolare attenzione agli studenti più fragili, quelli che presentano delle difficoltà che nella pratica educativa possono essere molto varie.
Occorre mettere in atto una didattica differenziata che tenga conto delle specificità di questi allievi e che permetta loro di raggiungere un adeguato successo formativo. Nello specifico, mi voglio soffermare sull’allievo straniero e sull’allievo con sindrome dello spettro autistico.
L’allievo straniero
Gestire una classe multiculturale è ormai una pratica educatica assodata: nelle classi possiamo incontrare alunni provenienti da Paesi vicini a noi (come la Romania e l’Albania), oppure molto lontani (come il Perù, la Cina e il Giappone).
Le variabili da considerare per l’integrazione dell’alunno straniero sono tante e diverse, perché tante e diverse sono le culture di appartenenza.
Insegnare in una classe multiculturale significa innanzitutto riconoscere l’altro come uguale a noi, anche se diverso. Dobbiamo assolutamente evitare atteggiamenti di chiusura o pregiudizio e favorire il graduale inserimento dell’alunno straniero e della sua famiglia. Coinvolgere la famiglia dei bambini stranieri è un passo fondamentale, con l’aiuto magari di un mediatore linguistico, che faciliti gli scambi comunicativi.
L’allievo che non conosce l’italiano ha bisogno non solo di prendere confidenza con la lingua e la cultura in cui è stato catapultato, ma anche di imparare alcune abilità fondamentali senza le quali l’integrazione risulta difficile: penso, ad esempio, all’autonomia sociale e relazionale.
Il docente deve lavorare insieme al mediatore linguistico, alla famiglia dell’alunno straniero e a tutta la classe per creare un clima di accoglienza positiva che permetta al nuovo membro del gruppo di non sentirsi escluso. La classe deve essere preparata all’arrivo del nuovo compagno e, almeno nei primi momenti, occorre favorire l’integrazione con una modalità didattica che favorisca le competenze relazionali tra gli alunni, usando spesso il lavoro in piccoli gruppi, e proponendo attività che partano dall’esperienza dei bambini e da situazioni concrete.
Da parte del docente, è importante controllare il parlato e trovare strategie efficaci per farsi comprendere: usare un italiano semplice, parole comuni, concrete, parlare in modo lento ripetendo più volte un concetto o una frase.
Per favorire l’inserimento dell’alunno straniero, il docente potrebbe anche trasmettere all’intera classe la cultura d’origine del nuovo compagno, la religione professata in famiglia, i valori, i riti, le abitudini alimentari in quanto è molto più facile rispettare ciò che si conosce.
Occorre anche essere molto attenti ai momenti meno strutturati della vita scolastica, penso ad esempio all’intervallo, al gioco libero in giardino, ai momenti ricreativi e osservare l’alunno straniero per rilevare il suo eventuale disagio rispetto al rapporto con i compagni.
L’allievo autistico
La scuola italiana, negli ultimi anni, ha saputo integrare in classe tanti allievi con disabilità. Molti di loro non solo hanno frequentato le scuole dell’obbligo, ma anche le superiori e l’università. Tuttavia il cammino dell’integrazione non è finito: quando un insegnante sa di dover accogliere nella propria classe un allievo con disturbo autistico, spesso si allarma.
Le preoccupazioni possono essere affrontate e superate solo con una conoscenza approfondita della disabilità dell’alunno. Spaventa e preoccupa, infatti, solo ciò che non si conosce. In questo senso ribadisco l’importanza della formazione da parte di ogni docente, che non deve essere vissuta solo come un obbligo, ma come un modo per migliorare ad arricchire la propria professionalità.
Per conoscere la sindrome occorre innanzitutto fare riferimento al DSM 5 (Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders). Per essere diagnosticato come disturbo dello spettro autistico, un individuo deve presentare:
- deficit persistente della comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti;
- pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi.
Le manifestazioni del disturbo variano a seconda del livello di sviluppo dello studente e dell’età cronologica; non esiste quindi una persona autistica, ma persone con autismo molto diverse tra loro che presentano, però, tratti comuni nell’interazione sociale, nella comunicazione e negli interessi ed attività.
Quali sono le problematiche fondamentali dell’alunno autistico che il docente deve conoscere molto bene per poter intervenire in modo competente? Lo studente autistico può:
Nell’interazione sociale a scuola
- rifiutare il contatto con i compagni e i docenti;
- relazionarsi solo con poche persone;
- voler stare da solo e isolarsi;
- non essere capace di mantenere il contatto visivo;
- avere, a volte, manifestazioni aggressive.
Nella comunicazione a scuola
- parlare poco o parlare solo con alcune persone;
- non avere intraprendenza comunicativa;
- parlare in modo monotono e ripetitivo.
Negli interessi e nelle attività a scuola
- avere rituali ben precisi;
- manifestare comportamenti stereotipati e ripetitivi;
- avere abitudini rigide;
- avere interessi eccessivi, quasi maniacali, per alcuni oggetti.
Ci sono alcuni criteri guida che permettono al docente di gestire la classe con un allievo autistico in modo positivo ed efficace. Innanzitutto, occorre conoscere molto bene lo studente e le sue problematiche: utilissimo un colloquio preliminare con gli esperti che hanno in carico lo studente (neuropsichiatra infantile e psicologo) per raccogliere le informazioni di base, e poi un colloquio con la famiglia per approfondire il quadro generale. Questi colloqui devono essere organizzati con cadenza regolare durante l’anno scolastico e comunque tutte le volte che il docente nota un cambiamento significativo di funzionamento dell’alunno. La classe deve essere preparata ad accogliere il nuovo compagno: raccogliamo pensieri e idee rispetto a ciò che pensano dell’autismo e rimandiamo poi con poche, ma chiare e precise informazioni tecniche rispetto ai tratti caratteristici di questa sindrome.
Valorizziamo la diversità proponendo attività che facilitino l’integrazione dello studente autistico con compiti che possono essere alla sua portata.
Sottolineiamo all’allievo, come a tutti, ogni suo successo. Incoraggiamo il manifestarsi di comportamenti di reciproca collaborazione tra gli alunni e scoraggiamo atteggiamenti inadeguati proponendo opzioni utili ed allettanti.
Occorre tempo, pazienza e grande intenzione educativa, ma gli sforzi congiunti possono portare a splendidi risultati.