Cari Lettori, buon rientro e buon inizio di anno scolastico.
In questo primo redazionale dopo la pausa estiva, intendo affrontare uno dei temi che ha tenuto banco in estate, l’uso dei cellulari a scuola in rapporto al divieto appena introdotto.
È indubbio che i social media, i giochi e le notifiche sottraggano l’attenzione degli studenti, riducendo la partecipazione e la produttività in classe. Recentemente è circolata la notizia che, in Olanda, le scuole che hanno vietato i cellulari hanno osservato un aumento della concentrazione e del clima collaborativo; anche a Sydney in Australia, una scuola ha rilevato una riduzione del 90% nei problemi comportamentali dopo l’introduzione del divieto. È convinzione medica comune che l’uso prolungato possa causare affaticamento visivo, postura scorretta e problemi legati al sonno. Occorre anche rilevare che molti studenti continuano a usare i telefoni in classe per scopi personali.
Altro enorme problema, legato all’uso dello smartphone in età evolutiva, consiste nel fatto che può sfociare in dipendenza; tale dipendenza alimenta fenomeni come il phubbing (isolamento sociale dovuto allo smartphone) impoverendo le relazioni interpersonali, tendenza aggravata dall’uso del telefono anche durante le pause scolastiche al posto di socializzare.
Sono quindi conscio dei problemi esistenti, ma debbo anche rilevare che il cellulare consente ricerche istantanee, l’uso di app educative e strumenti interattivi, permette di coinvolgere in tempo reale gli studenti ed è particolarmente utile per studenti con bisogni speciali: app per la comunicazione aumentativa e alternativa (CAA), promemoria visivi, timer, gestione medica, musica rilassante.
Sul piano logistico facilita messaggi rapidi e discreti tra scuola e casa: comunicazioni, invio di materiali dimenticati, rassicurazioni e coordinamento di progetti o compiti, favorisce l’apprendimento collaborativo e l’interazione tra studenti e insegnanti.
Secondo alcuni neuropsicologi non c’è evidenza che il telefono sia di per sé dannoso. L’uso problematico può essere sintomo di disagi preesistenti, e va affrontato attraverso l’educazione piuttosto che con divieti assoluti. Peraltro, l’UNESCO raccomanda politiche chiare, non indiscriminate, con regole, responsabilità e conseguenze ben definite: l’approccio integrato e consapevole può trasformare la tecnologia in un’opportunità educativa anziché in un ostacolo. Ad esempio, percorsi di digital wellbeing possono migliorare il benessere degli studenti e ridurre l’uso eccessivo del dispositivo; l’educazione ai media è dunque fondamentale: insegnare a leggere, produrre e capire criticamente i contenuti veicolati.
Divieti totali (come il deposito del cellulare) possono rafforzare la concentrazione, ma rischiano di essere difficili da applicare o generare insicurezze, mentre regole mirate (zone o orari specifici, uso solo per compiti approvati) insieme a strumenti didattici possono trovare un equilibrio più efficace.
In definitiva, ritengo che l’uso del cellulare a scuola presenti sia rischi significativi che grandi potenzialità. La chiave è promuovere un’integrazione responsabile, evitando divieti generali non educativi e prediligendo regolamentazioni ben strutturate, affiancate da alfabetizzazione digitale, strategie di digital wellbeing e coinvolgimento attivo di studenti, famiglie e insegnanti.