Sinergie di Scuola

La complessità del mondo della scuola determina spesso il verificarsi di controversie di carattere giudiziario, nelle quali inevitabilmente il personale scolastico può trovarsi coinvolto nell’ambito dello svolgimento dei propri compiti istituzionali. Si pensi, per esempio, al Dirigente scolastico chiamato in causa per mobbing, al docente accusato di non aver vigilato in occasione dell’infortunio di un alunno, al collaboratore scolastico accusato di molestie, al DSGA accusato di essersi appropriato indebitamente di somme dell’Istituzione scolastica.

Spesso tali vicende giudiziarie si risolvono favorevolmente per il dipendente, che nel frattempo ha però dovuto affrontare le spese per la sua difesa.

A questo punto si pone il seguente problema: le spese legali, sostenute dal personale per la difesa in giudizio, vengono rimborsate dall’amministrazione nel cui interesse è stata espletata l’attività che ha originato la controversia?

Ebbene, al verificarsi di determinati presupposti, i dipendenti pubblici hanno diritto, da parte dell’Amministrazione di appartenenza, al rimborso delle spese legali sostenute a causa e in dipendenza di un procedimento giudiziario, per responsabilità civile, penale e amministrativa, relativo a fatti e comportamenti connessi direttamente all’espletamento del servizio e/o all’adempimento di doveri d’ufficio.

In questa sede illustreremo la disciplina del rimborso delle spese di patrocinio legale nei giudizi di responsabilità nei confronti di dipendenti pubblici, ai sensi dell’art. 18 del D.L. 67 del 25/03/1997, convertito nella Legge 135 del 23/05/1997.

Disciplina normativa

L’art. 18 (Rimborso delle spese di patrocinio legale), comma 1 del D.L. 67/1997 dispone che: «Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti e atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità».

La ratio della norma è quella di sollevare i dipendenti pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio e tenere perciò indenni i soggetti, che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse dell’Amministrazione, dalle spese legali sostenute per difendersi dalle accuse di responsabilità, poi rivelatesi infondate.

Dall’anali della norma è possibile rilevare come il diritto al rimborso dipenda dal verificarsi di alcuni presupposti e sia, inoltre, limitato nel quantum a quanto ritenuto congruo dall’Avvocatura dello Stato.

I presupposti sono i seguenti:

  • giudizio promosso nei confronti del (e non dal) dipendente pubblico, nel quale non è parte l’amministrazione di appartenenza;
  • connessione dei fatti contestati con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali;
  • sentenza o provvedimento che abbia escluso la responsabilità.

Giudizio contro il dipendente pubblico

Il diritto al rimborso delle spese legali sorge solo per i procedimenti giudiziari che sono stati promossi nei confronti del dipendente pubblico, cioè nei quali il dipendente risulti essere convenuto in giudizio contro la propria volontà e non risulti, invece, essere attore.

Inoltre, l’art. 18 non è applicabile nei giudizi tra l’Amministrazione statale il proprio dipendente, riguardanti aspetti di responsabilità di quest’ultimo: in tal caso sarà il giudice a decidere, secondo le regole della soccombenza (art. 91 c.p.c.), se e in quale misura le spese legali vadano rimborsate dall’Amministrazione al proprio dipendente.

Dipendente che agisce per l’Amministrazione

Il beneficio dell’art. 18 cit. si applica solo a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse dell’amministrazione.

Nel comportamento del soggetto deve ravvisarsi il cosiddetto “nesso di immedesimazione organica”. Ciò significa che gli atti e i fatti devono essere riconducibili all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attività che necessariamente si ricollegano all’esercizio diligente della pubblica funzione.

Tale connessione sussiste, sia pure in modo peculiare, qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).

Sono esclusi, pertanto, tutti quei fatti che prescindono dal rapporto organico, quali le attività attinenti in via esclusiva alla sfera del soggetto considerato nella sua individuabilità, e in ogni caso dalla qualificazione di dipendente, così che sia estranea qualsiasi connotazione propria dell’attività e dei rapporti di servizio.

Esclusione di responsabilità

Altro aspetto essenziale per poter applicare l’art. 18 è la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento che escluda la responsabilità del dipendente. Ne consegue che il diritto al rimborso delle spese legali sorge soltanto con l’esito processuale, che riconosce nel merito l’infondatezza dell’ipotesi accusatoria.

La sentenza o il provvedimento, inoltre, devono essere connotati da stabilità, ossia non più impugnabili secondo il loro particolare regime giuridico. Una sentenza provvisoria, ancora suscettibile di impugnazione ordinaria, non è idonea allo scopo di conseguire il rimborso.

Nell’ipotesi di sentenza del giudice civile o contabile la stabilità si consegue con il giudicato, che matura allorché la sentenza non è più soggetta a mezzi di impugnazione ordinaria (art. 324 c.p.c.; art. 177 c.g.c.).

In materia penale, nell’ipotesi di provvedimento di archiviazione del giudice delle indagini preliminari, la stabilità si consegue quando lo stesso non è più soggetto a reclamo ex art. 410-bis c.p.p. Nel caso di sentenza di non luogo a procedere del giudice dell’udienza preliminare, la stabilità si consegue quando la stessa non è più soggetta ad appello ex art. 428 c.p.p. Infine, una volta pronunciata la sentenza in giudizio penale, la stabilità si consegue con la irrevocabilità, che matura allorché la stessa non è più soggetta a mezzi di impugnazione diversi dalla revisione (art. 649 c.p.p.).

Altro aspetto da considerare per valutare il sorgere del diritto al rimborso delle spese legali è il contenuto del provvedimento definitivo. Non tutti i provvedimenti definitivi, infatti, sono idonei allo scopo.

Nei giudizi civili, così come in quelli contabili, il diritto al rimborso spetta allorché il processo si concluda con sentenza di rigetto nel merito dell’azione di responsabilità. Non spetta, invece, il rimborso nell’ipotesi in cui il giudizio si concluda con sentenza definitiva dichiarativa di una questione pregiudiziale di rito (sui presupposti processuali, sulle condizioni dell’azione, su nullità processuali) o su una questione preliminare di merito (prescrizione o sull’ammissibilità dell’intervento).

Anche per i giudizi penali costituisce idonea condizione del diritto al rimborso, un provvedimento che si pronunci sul merito dell’azione penale (e nel senso di escludere la responsabilità penale), diversamente non è utile allo scopo un provvedimento che si pronunci su una condizione di procedibilità, sul rito, sulla prescrizione.

In materia penale, è utile esaminare le varie tipologie di provvedimenti utili a far sorgere il diritto al rimborso, in relazione alle fasi del procedimento.

Indagine preliminare

Nell’ipotesi in cui non venga presentata la richiesta di rinvio a giudizio e, quindi, il procedimento non prosegua dinanzi al giudice dell’udienza preliminare, le indagini preliminari si concludono con il provvedimento di archiviazione del GIP su richiesta del PM.

Il diritto al rimborso dipende dal contenuto del provvedimento di archiviazione. Esso, infatti, può essere esercitato nel caso di provvedimento di archiviazione per infondatezza della notizia di reato (artt. 408-410 c.p.p.) o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (411 c.p.p.).

Diversamente, non costituisce titolo al rimborso il provvedimento di archiviazione ex art. 411 c.p.p. emesso nei seguenti casi:

  • per mancanza di una condizione di procedibilità;
  • perché la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell’art. 131-bis c.p.p.;
  • per particolare tenuità del fatto;
  • perché il reato è estinto.

Udienza preliminare

Nell’ipotesi in cui non venga pronunciato il decreto che dispone il giudizio e, quindi, il procedimento non prosegua dinanzi al giudice del dibattimento, l’iter processuale si chiude con la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. In tal caso il diritto al rimborso può essere esercitato nell’ipotesi di sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso oppure il fatto non è previsto dalla legge come reato o anche il fatto non costituisce reato, nonché quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio.

Anche in tal caso il diritto non spetta nell’ipotesi di sentenza di non luogo a procedere per mancanza di una condizione di procedibilità, perché il reato è estinto o per qualsiasi causa di non punibilità dell’imputato.

Fase del dibattimento

Nell’ipotesi in cui il procedimento penale prosegua nella fase del dibattimento, se non viene pronunciata sentenza di condanna, lo stesso si chiude con la sentenza di proscioglimento.

In tal caso il rimborso delle spese spetta nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento per motivi di merito, ossia perché:

  • il fatto non sussiste;
  • l’imputato non lo ha commesso;
  • il fatto non costituisce reato;
  • il fatto non è previsto dalla legge come reato;
  • il reato è stato commesso da persona non imputabile.

Il rimborso non spetta nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento per motivi di rito, cioè:

  • per mancanza delle condizioni di procedibilità e di proseguibilità;
  • perché il reato è stato commesso da persona non punibile;
  • perché il reato è estinto (es. prescrizione).

Giudizio di congruità

L’art. 18 cit. prevede, inoltre, che le spese del patrocinio legale siano rimborsate nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato.

Ebbene, prima di procedere al rimborso, l’amministrazione di appartenenza del dipendente deve interpellare l’Avvocatura dello Stato per l’acquisizione del parere, obbligatorio e vincolante, di congruità delle spese.

Il giudizio di congruità si basa sulla valutazione delle prestazioni defensionali, che hanno originato il diritto a spese e onorari e il riscontro della corrispondenza degli importi delle relative prestazioni professionali con quelli previsti dalle tariffe in materia.

Tale valutazione sul quantum debeatur, da parte dell’Avvocatura dello Stato, ha connotati di evidente discrezionalità tecnica, in quando non si limita ad un mero accertamento della spesa, bensì alla congruità della stessa in base al giudizio complessivo di tutta la vicenda giudiziaria. Tale valutazione comporta un necessario bilanciamento tra l’interesse del dipendente ad essere tenuto indenne dalle spese legali sostenute e l’interesse pubblico ad evitare erogazioni non appropriate, cioè non congrue in relazione al rilievo e all’importanza dell’attività difensiva necessaria. Il giudizio, pertanto, non si limiterà all’eliminazione delle spese relative a prestazioni professionali eccessive o superflue (legittimamente può essere negato il rimborso delle spese per un secondo difensore, in un incarico congiunto, in una controversia non connotata da particolare complessità), ma sarà il frutto della correlazione dei parametri normativi e tariffari ai tratti salienti della vicenda giudiziaria e, cioè, alla natura, complessità e gravità della causa e delle questioni giuridiche o probatorie che vi sono sottese, nonché alla posizione istituzionale dell’imputato, alla durata del procedimento, alla composizione della difesa in relazione all’impegno professionale ad essa richiesto.

Il parere attiene solamente alla determinazione del rimborso dovuto al dipendente, non a quella del compenso dovuto dalla parte al difensore. È esclusa, quindi, la coincidenza tra il diritto al rimborso delle spese legali con quanto effettivamente pagato dal dipendente.

Si evidenzia, inoltre, che il giudizio dell’Avvocatura investe legittimamente anche i profili di merito, vale a dire la determinazione dell’an debeatur, con riguardo alla sussistenza dei presupposti previsti dalla norma.

Anticipazione del rimborso

La norma in esame consente la concessione di un acconto del rimborso delle spese legali.

L’anticipazione è una facoltà dell’amministrazione e non un atto dovuto e prevede, in maniera inequivocabile, la rivalsa sul dipendente, qualora la sua responsabilità venga accertata a qualsiasi titolo, con sentenza passata in giudicato.

L’amministrazione di appartenenza del dipendente concederà l’acconto ove reputi che il dipendente non abbia responsabilità sui fatti rilevanti e che quindi il giudizio dovrebbe concludersi, in base ad una attenta valutazione, con rigetto dell’azione di responsabilità.

È del tutto evidente che devono esserci tutte le altre condizioni del diritto al rimborso previste dalla norma.

L’acconto è una misura provvisoria, che risente dell’esito del giudizio: si consolida con la pronuncia della sentenza o del provvedimento connotati da stabilità, che escludano la responsabilità del dipendente, con diritto alla differenza rispetto al quantum definitivamente dovuto; va restituito nel caso di pronuncia della sentenza definitiva che accerti la responsabilità.

Nel caso in cui il giudizio non pervenga ad una pronuncia sul merito, ma, ad esempio, si estingua, l’anticipazione del rimborso andrà restituito.

È il caso di sottolineare che la disposizione, riferendosi ad un “anticipazione del rimborso”, presuppone che parte dell’attività del professionista di fiducia sia già stata svolta: essa, dunque, non intende consentire la creazione di un “fondo cassa” a cui attingere per il futuro, ma semplicemente rifondere, prima della conclusione definitiva del procedimento, parte delle spese già sostenute dal dipendente per la propria difesa.

Gli anticipi verranno concessi previo il necessario parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato.

Modalità di liquidazione

Al fine di conseguire il rimborso delle spese o la loro anticipazione, è necessario che il dipendente abbia pagato gli onorari al suo legale e chieda la relativa liquidazione, presentando la fattura quietanzata a comprova dell’avvenuto pagamento.

Non è ammesso il pagamento diretto in favore del difensore di fiducia del dipendente.

Cosa deve fare il dipendente

Relativamente al personale della scuola, al verificarsi di tutti i presupposti previsti dalla norma, il rimborso delle spese legali deve essere effettuato dall’Ufficio Scolastico Regionale e non dall’Istituzione scolastica, e ciò ancorché la controversia abbia avuto origine da fatti di servizio avvenuti presso di essa.

Tra gli adempimenti posti a carico dell’Ufficio Regionale rientra anche l’acquisizione del visto di congruità da parte dell’Avvocatura dello Stato.

Sarà cura del dipendente trasmettere la richiesta di rimborso delle spese legali sostenute, insieme alla documentazione relativa al procedimento giudiziario.

Le istanze di rimborso, complete dei dati anagrafici degli interessati (e dell’eventuale indirizzo di posta elettronica certificata), del relativo codice fiscale e delle coordinate bancarie, debbono essere corredate da:

  • copia conforme all’originale rilasciata dalla Cancelleria del Tribunale competente della o delle sentenze di assoluzione, complete dell’attestazione del passaggio in giudicato, ovvero dei provvedimenti di archiviazione (corredati della richiesta del PM) che hanno concluso i procedimenti giudiziari;
  • altri atti salienti relativi al procedimento (ad es. atto di nomina del legale di fiducia depositato nel corso delle indagini, copia dell’avviso di garanzia e dell’eventuale verbale di interrogatorio, istanze, memorie, estratti di atti processuali in cui sia chiaramente indicato il nominativo del legale);
  • originale delle parcelle quietanzate rilasciate dai propri legali, con annessa notula spese recante l’indicazione analitica delle singole voci costituenti le parcelle stesse. A tal proposito, l’Avvocatura Generale dello Stato ha avuto modo di precisare che «potrà darsi corso all’esame della richiesta anche sulla base di un prospetto dettagliato delle attività defensionali svolte, di modo che la pratica possa essere compiutamente istruita; dopodiché fissato l’importo ritenuto congruo – previa ammissibilità del rimborso – si procederà agli ulteriori adempimenti (emissione del titolo di spesa ecc.) previa produzione della parcella quietanzata (in regola con le disposizioni IVA) per ottenere in concreto il rimborso della somma effettivamente pagata nei limiti di quanto, appunto, ritenuto congruo».

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