Sinergie di Scuola

Le lezioni svolte dall’insegnante in classe contengono solitamente una gran quantità di informazioni, e gli alunni non sempre riescono a prendere appunti completi, per i motivi più vari (il docente spiega molto velocemente, l’alunno ha oggettive difficoltà certificate da un medico ecc.).

Può capitare, pertanto, che lo studente registri la lezione per riascoltarla attentamente a casa, senza essere continuamente distratto dai compagni di classe.

Tale attività, come sino ad ora ritenuto dalla dottrina dominante, non necessita di autorizzazioni, purché la registrazione sia impiegata per scopi esclusivamente personali, senza essere diffusa al pubblico (soprattutto via internet) e senza ricavarne alcun lucro (come succederebbe se l’allievo mettesse in vendita la registrazione, violando, tra l’altro, il diritto di autore spettante all’insegnante).

Secondo l’art. 71-sexies della Legge 633/1941 sul diritto d’autore, è legittima la «riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali».

Ma vi è di più: se lo studente registrasse di nascosto la lezione, per documentare, ad esempio, il clima di angoscia e frustrazione provocato dal comportamento dell’insegnante, che sia abituato ad insultare o dileggiare gli alunni, la stessa registrazione, per consolidato orientamento giurisprudenziale, è idonea a costituire prova documentale in un procedimento giudiziario, sia civile che penale, contro il docente (tra le tante pronunce, si veda Cass. civ., Sez. III, ordinanza 1250/2018, la quale ha messo in evidenza che la possibilità di fare ricorso alle registrazioni effettuate all’insaputa dell’altro interlocutore, utilizzandole nell’ambito di un procedimento giudiziario, è circoscritta alle ipotesi di assoluta necessità di tutelare o far valere un diritto, e prevede che i dati raccolti siano trattati esclusivamente per finalità di difesa e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, come previsto dall’art. 24, comma 1, lett. f del D.Lgs. 196/2003, anche conosciuto come Codice della privacy. Precedenti interventi giurisprudenziali hanno statuito che «non è illecito registrare una conversazione perché chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione, ma è violata la privacy se si diffonde la conversazione per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui» Cass. pen., Sez. V, sentenza 41421/2018).

Tutto ciò ovviamente si dovrà coordinare, come già ribadito dal Garante della privacy nel 2016, con l’eventuale divieto dell’uso dei telefonini, previsto dai regolamenti scolastici: «Nell’ambito dell’autonomia scolastica, gli istituti possono decidere di regolamentare diversamente o anche di inibire l’utilizzo di apparecchi in grado di registrare».

Anche in questo caso, però, il divieto non potrà impedire allo studente di registrare la lezione per precostituirsi una prova da presentare in giudizio o se la registrazione sia uno strumento previsto specificamente per superare eventuali difficoltà o disabilità (si pensi agli strumenti compensativi previsti nei PDP o a quanto riportato nel PEI).

Se il docente registra la lezione

Questi ragionamenti sembrano essere stati, in parte, smentiti da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. lavoro, n. 14270 del 5/05/2022. Partiamo dai fatti di causa.

La Corte d’Appello di Milano aveva confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da un docente della scuola secondaria superiore statale, in cui contestava la legittimità dell’ordine di servizio del Dirigente dell’Istituto scolastico in cui l’insegnante prestava servizio, con il quale gli era stato vietato di registrare le lezioni svolte in classe.

La Corte meneghina, facendo applicazione dell’art. 2 del D.P.R. 249/1998 (Regolamento recante lo Statuto degli studenti della scuola secondaria), aveva ritenuto che il docente avrebbe dovuto coinvolgere gli studenti nelle decisioni rilevanti, quale quella di registrare le lezioni avvalendosi di un cellulare, tenendo conto del loro eventuale dissenso, cosa che non era accaduta.

Inoltre, a tenore dell’art. 4, comma 1, lett. a del Codice della privacy allora vigente, i giudici hanno stabilito che costituiva trattamento dei dati personali anche la loro registrazione, indipendentemente dalla successiva comunicazione o diffusione.

Secondo il provvedimento del Garante della privacy del 20/01/2005, in caso di registrazione di immagini e suoni, anche per uso personale, occorreva informare preventivamente gli interessati, acquisire il loro consenso informato e osservare tutte le cautele previste.

La circostanza che ha fatto pendere l’ago della bilancia a sfavore dell’insegnante era stato, soprattutto, il fatto che, secondo alcuni studenti, il professore non solo non aveva informato gli alunni della registrazione, ma aveva perfino celato il registratore/telefonino dietro i libri, compiendo una scelta unilaterale non partecipata e non aveva chiesto alcun consenso.

La Corte d’Appello, inoltre, aveva rilevato che, secondo le direttive del M.I. e del Garante della privacy, era rimessa alla valutazione dell’Istituto scolastico la possibilità di disciplinare la registrazione della lezione o l’uso di videofonini.

Nella specie il regolamento dell’Istituto aveva vietato l’uso dei cellulari nelle classi; il divieto doveva estendersi a tutti gli apparecchi idonei a registrare audio o video. La condotta del docente aveva dunque violato un divieto legittimamente posto dal regolamento di Istituto.

Né poteva tacersi che gli interessati erano minorenni, sicché in tutte le decisioni doveva avere una considerazione preminente l’interesse superiore del fanciullo, ai sensi della Convenzione di New York del 20/11/1989.

Infine, i giudici di merito avevano posto in luce come il potere conformativo del datore di lavoro poteva estendersi a regolamentare le modalità di svolgimento delle mansioni e, di conseguenza, era stato legittimo il divieto rivolto all’insegnante dal Dirigente scolastico di registrare le lezioni, pratica che avrebbe potuto comportare la (non necessaria) registrazione delle conversazioni degli studenti, al fine di tutelare la loro riservatezza e di impedire contrasti tra alunni e docente. Nessun principio di rango costituzionale garantiva, invece, al docente il diritto a registrare le proprie lezioni, essendo inconferente il richiamo, fatto dal docente, all’art. 97 della Costituzione (in merito a questa affermazione dei giudici nulla quaestio: l’art. 97 prescrive, tra l’altro, che «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari», dando poco appiglio al docente circa la dimostrazione della legittimità della propria condotta, che invece avrebbe potuto essere, in astratto, giustificata dall’art. 33 della Costituzione, che prevede la libertà di insegnamento. Anche questa ultima norma, però, va letta insieme alle disposizioni che regolano l’attività dei docenti, quali l’art. 92 del CCNL Scuola che, alla lett. f, prescrive all’insegnante di favorire ogni forma di informazione e di collaborazione con le famiglie e con gli alunni, e alla lett. h: «durante l’orario di lavoro, mantenere nei rapporti interpersonali e con gli utenti condotta uniformata non solo a princìpi generali di correttezza ma, altresì, all’esigenza di coerenza con le specifiche finalità educative dell’intera comunità scolastica, astenendosi da comportamenti lesivi della dignità degli altri dipendenti, degli utenti e degli alunni»; e infine, alla lett. l, di «eseguire gli ordini inerenti all’esplicazione delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartiti dai superiori», come il Dirigente scolastico ha fatto nel caso che ci interessa. Ovviamente il potere “ordinatorio” del preside non può travalicare la libertà costituzionale di insegnamento, andando a sindacare il metodo adottato dal docente per la spiegazione dei fondamenti della propria materia curriculare.

Cosa ha deciso la Cassazione

La Cassazione, investita del ricorso da parte dell’insegnante soccombente, ha subito premesso che i fatti di causa si sono svolti in epoca antecedente al Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27/04/2016 – regolamento generale sulla protezione dei dati – entrato in vigore il 24 maggio 2016 e applicabile dal 25 maggio 2018 (art. 99 del Regolamento), dovendosi pertanto applicare l’art. 4, comma 1, lett. a del D.Lgs. 196/2003, a tenore del quale per «trattamento» si intende qualunque operazione, con o senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernente (tra le altre attività) la registrazione di dati.

Ai sensi della successiva lett. b dello stesso comma 1, è dato personale qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale.

L’espressione «qualunque informazione» comprende, in conformità alla disciplina europea – all’epoca costituita dalla Direttiva 95/56/CE, poi abrogata dal Regolamento del 2016, art. 94 – tanto dati oggettivi che mere valutazioni; ciò che rileva è che si tratti di informazioni inerenti ad una persona fisica e che quest’ultima sia identificata o identificabile (in termini: Cass. civ., Sez. I, 31/05/2021, n. 15161).

La voce di una persona registrata da un apparecchio elettronico costituisce, dunque, un dato personale se e in quanto essa consente di identificare la persona interessata. Del resto, dai considerando nn. 16 e 17 della Direttiva 95/46/CE, risulta che essa si applica al trattamento di dati in forma di suoni o immagini relativi a persone fisiche, se è automatizzato.

Ciò premesso, i giudici della Cassazione hanno evidenziato che, nella registrazione della lezione che si svolge in una classe, possono essere contenuti interventi degli studenti, la cui persona è facilmente identificabile, trattandosi di una comunità ristretta.

Il docente, al fine di giustificare le proprie azioni, ha affermato che non vi era stata alcuna lesione delle norme di tutela della privacy degli studenti, dovendosi applicare l’art. 5, comma 3 del D.Lgs. 196/2003, nella formulazione all’epoca vigente, secondo la quale: «Il trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali è soggetto all’applicazione del presente codice solo se i dati sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione. Si applicano in ogni caso le disposizioni in tema di responsabilità e di sicurezza dei dati di cui agli articoli 15 e 31».

Il “fine personale” consisteva, a detta dell’insegnante, nel miglioramento della propria didattica tramite il riascolto, a casa, della lezione.

Rispetto a tale fine, però, pur a volerne ipotizzare il carattere «esclusivamente» personale, i giudici di legittimità hanno rilevato che sarebbe del tutto inconferente e inutile la registrazione delle voci degli studenti; ed è pacifico in causa che l’intervento del Dirigente fu determinato proprio dai rilievi degli studenti, che lamentavano la lesione dei propri diritti.

Né risulta essere stato dimostrato dal docente, ha rincarato la dose la Cassazione, sul quale ricadeva il relativo onere, che le registrazioni non comprendessero gli interventi degli alunni.

Ne è derivato che, secondo la Suprema Corte, legittimamente il Dirigente scolastico, richiesto dagli alunni di adottare provvedimenti, aveva disposto la cessazione delle registrazioni.

Alcune considerazioni

Dall’esame delle motivazioni della sentenza illustrata, risulta un passaggio argomentativo un po’ debole.

Mi riferisco all’affermazione dei giudici circa il dovere dell’insegnante di dimostrare che le registrazioni erano prive, o erano state private, degli interventi degli alunni. In pratica, mi è parso di capire che i giudici di legittimità avrebbero giustificato il comportamento dell’insegnante, sebbene avvenuto di nascosto, qualora si fosse limitato a registrare unicamente la propria voce (e non avesse violato il regolamento di istituto).

Questo requisito, però, non era richiesto dalle norme allora vigenti, che imponevano il rispetto del Codice della privacy a tutela dei soggetti registrati, dovendone richiedere il preventivo consenso, solo qualora la registrazione stessa, che comunque doveva avvenire per motivi esclusivamente personali, fosse stata divulgata urbi et orbi.

Secondo questo ragionamento, quindi, anche l’alunno che volesse registrare la lezione in aula dovrebbe chiedere il permesso non solo all’insegnante, ma anche ai singoli compagni, trattandosi di trattamento di dati personali, indipendentemente da una successiva divulgazione a terzi, si pensi via internet o cedendo il materiale registrato.

Ciò ovviamente va contro non solo ogni norma di buon senso, ma anche contro l’espresso parere del Garante della privacy, il quale, nel rispondere sul proprio sito alla domanda “È possibile registrare la lezione da parte dell’alunno?”, risponde che è senz’altro lecito registrare la lezione per scopi personali, ad esempio per motivi di studio individuale, compatibilmente con le specifiche disposizioni scolastiche al riguardo (vedi i divieti eventualmente contenuti nel regolamento di istituto di cui si è parlato sopra). Per ogni altro utilizzo o eventuale diffusione, anche su Internet, è necessario prima informare le persone coinvolte nella registrazione (professori, studenti ecc.) e ottenere il loro consenso.

In conclusione, tale onere informativo presuppone una comunicazione del contenuto della registrazione, avvenuta ad opera dello studente, a persone estranee alla classe, non richiedendosi alcuna autorizzazione preventiva nel caso di uso privato o domestico.

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