Sinergie di Scuola

Il Direttore generale dell’USR Piemonte, dott. Fabrizio Manca, ha pubblicato il 10 ottobre scorso la nota n. 10847, attraverso la quale ha integrato il contenuto della precedente nota n. 4992/2016, riguardante le dichiarazioni mendaci rese dal personale scolastico relative a pregresse condanne penali.

La nota n. 4992/2016

Nella nota più risalente, il Direttore generale aveva dato precise indicazioni operative per risolvere i casi di discordanza tra certificato penale del casellario giudiziale e autocertificazione resa dal personale scolastico, sia in fase di inserimento nelle graduatorie permanenti/24 mesi oppure nelle graduatorie di circolo e di istituto, sia in fase di sottoscrizione del contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato.

Tali indicazioni hanno fatto riferimento a fattispecie di reato non ostative all’instaurazione del rapporto di pubblico impiego, atteso che in presenza, invece, di reati ostativi, non possono sussistere dubbi circa l’impossibilità di prosecuzione ovvero di instaurazione di rapporti di lavoro con l’amministrazione scolastica.

Dopo aver premesso che, ai sensi dell’art. 25-bis del D.P.R. 14/11/2002, introdotto dal D.Lgs. 4/03/2014, n. 39, il datore di lavoro che intenda impiegare una persona, per lo svolgimento di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori, è tenuto a richiedere il certificato penale del casellario giudiziale e che, in tale sede, è possibile che si verifichi la non conformità dell’autocertificazione rilasciata dal dipendente rispetto a quanto riportato dal certificato penale del casellario giudiziale, il dott. Manca ha evidenziato che l’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, in materia di documentazione amministrativa, stabilisce che «Fermo restando quanto previsto dall’art. 76, qualora dal controllo di cui all’art. 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera» e all’art. 76, 1° comma, che «Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia».

Il Direttore generale ha sposato, citando sia precedenti sentenze dei giudici amministrativi sia contabili, l’interpretazione restrittiva dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, secondo la quale la decadenza dei benefici consegue, automaticamente, alla non veridicità delle dichiarazioni del personale scolastico, non rilevando la buona fede di questo ultimo (come dire: se il docente si è dimenticato di dichiarare, al momento della stipula del contratto di lavoro, una risalente condanna penale, anche se lieve o per la quale è stata concessa la non menzione nel casellario giudiziale, l’amministrazione deve procedere a dichiarare la decadenza e la risoluzione del contratto di lavoro, non avendo alcun margine di discrezionalità). Come giustamente rilevato «L’elemento psicologico del dichiarante sarà al più valutato al momento dell’irrogazione della sanzione penale, contemplata dall’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000 che, tuttavia, opera su un piano diverso da quello richiamato dall’art. 75 della stessa normativa».

La nota si è conclusa con l’avvertimento che, nelle ipotesi di riscontrate dichiarazioni non veritiere, dovrà provvedersi alla tempestiva segnalazione del fatto all’Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000 (trattandosi di reato procedibile d’ufficio), con conseguente decadenza dai benefici (inserimento in graduatoria e stipula del contratto di lavoro) conseguiti mediante la non veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazione, presentate dal personale scolastico.

Il caso in esame non potrebbe rientrare nella fattispecie attualmente disciplinata dall’art. 25, comma 5, del vigente CCNL Scuola, secondo cui «è comunque causa di risoluzione del contratto l’annullamento della procedura di reclutamento che ne costituisce il presupposto». Invero la clausola negoziale si riferisce più propriamente all’ipotesi di erronea individuazione dell’avente diritto e alla connessa rettifica, in sede di autotutela, della graduatoria, mentre l’ipotesi in argomento riguarda la diversa fattispecie di illegittima inclusione nella graduatoria in forza di una dichiarazione mendace.

In questa prospettiva, il Dirigente scolastico, sulla base del disposto di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000, potrà provvedere anzitutto a dichiarare l’esclusione dell’interessato dalla graduatoria e, successivamente, a far constare la sopravvenuta risoluzione del contratto di lavoro, da considerarsi travolto, in ossequio all’insegnamento della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che, con sentenza n. 13150 del 5/06/2006, ha dichiarato la nullità, per violazione di norme imperative, del contratto di lavoro comunque concluso con soggetto non inserito nella graduatoria. Ciò in quanto è fatto divieto al Ministero dell’Istruzione di derogare alle risultanze delle graduatorie, non avendo alcuna discrezionalità nella scelta del contraente.

La nota n. 10847/2016

Nel suo più recente intervento, il dott. Manca, ribadendo l’interpretazione restrittiva dell’art. 75 predetto, ha evidenziato il recente sviluppo giurisprudenziale in materia, citando la sentenza n. 11636 della Cassazione, pronunciata in data 7/06/2016, a mente della quale «il comportamento del dipendente pubblico è [...] sanzionato indipendentemente dalla circostanza che la falsità abbia fatto conseguire il posto di lavoro, essendo sufficiente [...] la condotta di avere prodotto la documentazione o la dichiarazione falsa, al fine o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro», ritenendo, di conseguenza, tale comportamento “truffaldino” sanzionabile con il licenziamento senza preavviso, ai sensi dell’art. 55-quater, lettera d del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale il licenziamento senza preavviso è irrogato nei casi di «falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera».

La sentenza ripercorre un filone giurisprudenziale ribadito, in ultimo, dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5973/2011, secondo la quale la dichiarazione non veritiera, in quanto preclusiva delle valutazioni dell’Amministrazione circa la sussistenza dei requisiti di un concorrente di una gara di appalto (ma le stesse conclusioni potrebbero riferirsi ad un docente che ha ottenuto la stipula di un contratto con il MIUR), rileva di per sé quale autonoma causa di esclusione, poiché altera il quadro conoscitivo della pubblica amministrazione e mette in grave discussione la lealtà e buona fede del concorrente (il docente, nel nostro caso).

Il Dirigente scolastico, datore di lavoro, ha diritto pertanto di verificare i precedenti penali dei soggetti ai quali affiderà gli alunni minorenni e, quindi, legittimamente richiedere ai candidati di dichiarare, lealmente e secondo buona fede, la loro situazione penale. L’insegnante che contravviene a tale obbligo, mentendo o comunque omettendo di rendere una dichiarazione conforme alla realtà, oltre a violare il codificato dovere di buona fede e a commettere un reato, impedisce al datore di lavoro di effettuare le necessarie valutazioni. In tal senso poco importa che la condanna in passato subita dall’insegnante, ove dichiarata, sarebbe stata ininfluente: ciò che rileva è invece l’ostacolo all’azione amministrativa. Tra l’altro, proprio l’art. 8, comma 4, D.M. n. 62/2011 prevede che «Fatte salve le responsabilità di carattere penale, è escluso dalle graduatorie, per tutto il periodo della loro vigenza, l’aspirante di cui siano state accertate, nella compilazione del modulo di domanda, dichiarazioni non corrispondenti a verità».

Non si può quindi aderire alla teoria del c.d. “falso innocuo”, secondo la quale la menzogna che non ha portato vantaggi al suo autore, che sarebbe stato inserito comunque nelle graduatorie anche se avesse rivelato la precedente condanna penale irrevocabile, non può essere sanzionata. Ciò tanto più quando si parla di concorsi o gare pubblici, poiché una dichiarazione inaffidabile (in quanto falsa o incompleta), è già di per se stessa lesiva degli interessi considerati dalla legge, a prescindere dal fatto che il soggetto meriti “sostanzialmente” di essere incluso nella graduatoria.

Un altro caso

La sanzione disciplinare estrema del licenziamento è stata applicata anche in un caso recente, che ha suscitato grande scalpore nell’opinione pubblica. Ci siamo recentemente occupati, infatti, proprio su questa rivista, del caso del professore di Filosofia licenziato l’11 gennaio scorso per aver crocettato, al momento dell’assunzione, la casella di un modulo nel quale dichiarava alla scuola, di non aver mai riportato condanne penali.

La dichiarazione era però falsa, poiché il docente aveva subito undici anni prima una condanna, passata in giudicato, per “atti contrari alla pubblica decenza” (era stato colto da una pattuglia dei Carabinieri a espletare un bisogno fisiologico all’aperto).

Il professore è stato però recentemente reintegrato nel posto di lavoro. Questo non cambia le conclusioni sin qui esposte, e cioè che l’insegnante che dichiara il falso deve essere sottoposto a procedimento disciplinare e, conseguentemente, licenziato, poiché, nel caso del professore, l’amministrazione ha (per la prima volta) distinto tra la decadenza (che riguardava la supplenza per la quale, alla presa di servizio, il docente non aveva dichiarato i precedenti penali) e il successivo incarico a termine (dove i precedenti erano dichiarati e che ha portato all’immissione in ruolo).

La decadenza è stata confermata solo per l’anno di supplenza, il 2013/2014 (quello interessato dal mendacio) con la perdita del punteggio relativo, mentre l’anno 2014/2015 è ritenuto valido. Inoltre, il docente ha ottenuto, oltre al reintegro, il pagamento degli arretrati (da fine 2015 in poi).

La procedura in caso
di dichiarazioni false

In conclusione sembra utile riportare il suggerimento dato dall’avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, in un parere reso nel 2012, per i casi di false dichiarazioni:

  • segnalare all’Autorità giudiziaria tutte le ipotesi di dichiarazioni non veritiere riscontrate in sede di controllo, ancorché esse non abbiano ad oggetto requisiti espressamente previsti a pena di esclusione dalla procedura;
  • comminare la decadenza dalla graduatoria con riferimento a tutte le dichiarazioni non veritiere che abbiano ad oggetto un requisito espressamente previsto dalla singola legge ai fini dell’inclusione nella graduatoria stessa;
  • comminare la decadenza dalla graduatoria laddove, con riferimento ai precedenti penali, venisse riscontrata la pregressa condanna per reati a sfondo sessuale in danno di minorenni e, con prudente apprezzamento per altre fattispecie delittuose che, se commesse in servizio, giustificherebbero la sanzione del licenziamento disciplinare;
  • laddove, invece, risultasse che la dichiarazione non veritiera abbia avuto ad oggetto un reato bagatellare (come, ad esempio, quello commesso dal professore di cui poco sopra), non espressamente previsto dalla legge come causa di esclusione e, comunque, non tale da assumere rilievo preclusivo rispetto alla continuazione del rapporto di lavoro, la scuola comunque procederà alla comunicazione all’Autorità giudiziaria della notizia di reato, senza tuttavia adottare il procedimento di esclusione dalla graduatoria. Potrà invece valutarsi l’apertura di un procedimento disciplinare a carico dell’interessato ai sensi dell’art. 55-quater, lett. d, D.Lgs. 165/2001.

Questi consigli sono stati resi «salvo diversa indicazione da parte del Ministero dell’Istruzione»: proprio il ministero, attraverso l’USR del Piemonte, con l’ultima nota n. 10847 all’inizio citata, sembra propendere, in caso di discordanza tra il certificato penale del casellario giudiziale e autocertificazione resa dal personale scolastico, per l’ultima soluzione (senza peraltro distinguere tra reato lieve e grave), preferendo, all’applicazione automatica della sanzione della decadenza da parte del Dirigente scolastico, la comunicazione tempestiva, da parte di questo ultimo, all’Ufficio Scolastico Regionale del mendacio, di modo che posso essere eventualmente avviato il procedimento disciplinare che prevede come punizione estrema il licenziamento in tronco.

È infine utile rammentare che, per licenziamento in tronco, deve intendersi la risoluzione del contratto di lavoro immediata, senza concessione di alcun preavviso. Questo riguarda non solo colui che dichiara o documenta il falso, in sede di autocertificazione, al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro, ma anche per chi attesta falsamente la propria presenza a lavoro, chi si rende ripetutamente protagonista di gravi azioni violente, aggressive, minacciose, ingiuriose o che comunque arrecano danno all’onore e alla dignità di altri soggetti o chi viene condannato in sede penale e, per l’effetto, subisce l’interdizione perpetua dai pubblici uffici o la cessazione del rapporto di lavoro.

La competenza in tema di licenziamento disciplinare dell’insegnante spetta all’Ufficio Scolastico Regionale e, in particolare, all’ufficio procedimenti disciplinari incardinato presso tale struttura. Il provvedimento finale, dunque, è firmato non dal Dirigente scolastico, ma dal Direttore generale dell’USR.

Come affermato ripetutamente dalla giurisprudenza, il licenziamento in tronco è comunque una sanzione comminabile come extrema ratio, solo in caso di inadempimenti o violazioni di legge talmente gravi da rendere impossibile l’effettiva prosecuzione del rapporto di lavoro, atteso il venir meno del rapporto di fiducia tra amministrazione e dipendente pubblico (così Cassazione 14103/2016).

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