Sinergie di Scuola

La sentenza n. 1322 del 26/01/2016 è servita alla Cassazione per chiarire che l’insegnante non è responsabile del danno provocato da un allievo a terzi durante l’ora di educazione fisica, qualora la lesione sia conseguenza del fatto non illecito dello studente e se è dimostrabile che l’insegnante, sotto la cui guida il gioco si svolge, non avrebbe potuto impedire il fatto lesivo.

I fatti risalgono al lontano 1990, in seguito ai quali una insegnante di scienze motorie ha convenuto in giudizio il Ministero della Pubblica Istruzione e la compagnia assicuratrice, quale responsabile civile in forza di una polizza assicurativa contro gli infortuni stipulata dal Ministero, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti in occasione di un incidente in cui era stata coinvolta presso il liceo in cui lavorava.

Nel corso dell’ora di educazione fisica, mentre la classe maschile affidata al collega era impegnata in una partita di pallavolo nel cortile della scuola, uno degli alunni si era staccato dal gruppo e aveva calciato violentemente il pallone, colpendo al viso la docente, che stava tenendo la lezione di educazione fisica per la classe femminile nello stesso cortile, provocandole danni gravissimi sia di natura biologica che patrimoniale.

Il Ministero della Pubblica Istruzione e la società assicuratrice si sono difesi, tra l’altro, eccependo che non era ravvisabile alcuna culpa in vigilando degli insegnanti (ai sensi dell’art. 2048 c.c.), essendo l’incidente ascrivibile al caso fortuito.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda della docente, ritenendo che il contesto in cui si era verificato l’incidente e la repentinità del gesto portavano ad escludere un’azione anche solo colposa da parte dell’allievo; inoltre, poteva ritenersi raggiunta la prova liberatoria da parte del MIUR, in considerazione delle modalità dell’incidente e del gioco, svolto in un contesto del tutto usuale e ordinato, alla presenza dell’insegnante.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto corretta la motivazione espressa nella sentenza di secondo grado, dando torto alla danneggiata, essenzialmente perché:

  1. il calcio del pallone da parte dell’alunno è avvenuto all’interno di una fase di gioco della partita di pallavolo, inserendosi nel contesto della stessa partita e costituendo, quindi, un rischio insito nell’attività sportiva in corso;
  2. l’azione dell’alunno non ha avuto natura colposa e non è stata connotata da particolare durezza, ritenendola eccezionale, repentina e imprevedibile, tale quindi da integrare gli estremi del caso fortuito (se sussiste il caso fortuito è esclusa la colpa);
  3. è stata raggiunta la prova liberatoria, consistente nell’adempimento all’obbligo di sorveglianza da parte dell’insegnante della classe maschile, e nell’impossibilità, per lo stesso docente, di impedire il fatto.

Nonostante la Corte abbia ritenuto pacifico che l’incidente si fosse verificato a causa del calcio al pallone sferrato dall’alunno che si era allontanato dalla partita di pallavolo – precisando ulteriormente che il pallone in questione era lo stesso con cui si stava disputando la partita – ha comunque confermato la sentenza di appello nella parte in cui ha escluso la responsabilità ex art. 2048 c.c. a carico del Miur e della società assicuratrice.

Occorre infatti ricordare, precisa la Suprema Corte, che la norma richiede che il danno sia conseguenza del fatto illecito di uno studente, e ulteriormente richiede che la scuola non abbia predisposto le misure atte a consentire che l’insegnante, sotto la cui guida il gioco si svolge, sia stato in grado di evitare il fatto. Da ciò discende che il fatto illecito va provato dal danneggiato, mentre il non averlo potuto evitare va provato dalla scuola (v. Cass., Sez. III, 14/10/2003, n. 15321).


Comportamento lecito e comportamento punibile

Nel caso, rileva il dato che l’azione dannosa si è consumata nel corso di una gara sportiva, sia pure connotata da prevalenti aspetti ginnici, anziché agonistici. I giudici hanno quindi fatto riferimento ai principi elaborati in tema di responsabilità per i danni causati da un atleta ad altro atleta impegnato nel corso di una gara sportiva.

Al riguardo, hanno affermato che il criterio per distinguere tra comportamento lecito e quello punibile va individuato nel collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo. Tale collegamento va senz’altro escluso se l’atto è compiuto allo scopo di ledere, o con violenza incompatibile con le caratteristiche del gioco. In tal caso, la condotta è sempre punibile anche se in ipotesi non avesse violato regole dell’attività sportiva svolta.

Viceversa, la responsabilità non sussiste se, come nel caso in esame, le lesioni sono la conseguenza di un atto posto senza la volontà di ledere e se, pur in presenza di violazione delle regole di gioco, l’atto è a questo funzionalmente connesso (Cass. n. 12012/2002).

Ebbene, le ricostruite modalità del sinistro – calcio al pallone con cui si disputava la partita di pallavolo, presumibilmente per rimettere la palla in campo – depongono per la mancanza di una finalità di ledere in capo all’alunno e per l’esistenza di collegamento funzionale tra l’azione di questi e il gioco in atto, pur se con violazione delle regole del gioco stesso, che non ammette lanci con i piedi.

La responsabilità civile nello sport

La sentenza sin qui esaminata ha posto in luce un aspetto peculiare: la responsabilità civile, per danni a terzi, nello sport.

La giurisprudenza ha da tempo affermato che sussiste il diritto al risarcimento del danno subito nel corso di una manifestazione sportiva qualora la condotta dell’avversario abbia travalicato il cosiddetto rischio sportivo consentito. Colui che pratica uno sport, infatti, accetta di esporsi ad eventi che possono originare un danno. Il rischio sportivo consentito permette di rendere lecito qualcosa che normalmente, secondo le regole ordinarie, sarebbe considerato illecito.

Per capire quali siano i limiti entro cui opera la presunzione di liceità dell’attività sportiva, è necessario far riferimento alle regole del gioco, con la consapevolezza che non tutte le inosservanze costituiscono fatto illecito (Cass. n. 12012/2002).

È del tutto evidente, inoltre, che l’azione del danneggiante va rapportata al particolare momento in cui si colloca la condotta: il comportamento lesivo tenuto in allenamento dovrà essere valutato con maggiore rigore rispetto a quello tenuto in gara. Per la posta in palio, infatti, in una gara è più facile che l’atleta impieghi una forza più intensa di quella normalmente utilizzata durante un allenamento, aumentando così, giustificatamente, il rischio di procurare un danno all’avversario.

L’esercizio dell’attività sportiva e la giustificazione del rischio sportivo consentito, a ben vedere, deriva dalla considerazione opportuna che lo Stato tutela e promuove lo sport e riconosce come legittima l’esistenza di un vero e proprio ordinamento sportivo (CONI), cui lo stato demanda ampia autonomia per la produzione di regole interne.

Se non vi fosse la tolleranza per gli incidenti sportivi che rientrano nella normale alea dello sport praticato, nessuna attività fisica, ludica o agonistica, sarebbe più praticata, violando addirittura la Costituzione italiana, considerata la stretta connessione tra pratica sportiva e tutela della salute (art. 32 Cost.).

La peculiarità del caso

Dobbiamo spendere ancora due parole in merito alla particolarità del caso deciso dalla sentenza n. 1322/2016 della Cassazione, poiché il danneggiato, in questo caso, non era un partecipante all’attività sportiva, bensì uno “spettatore”, anche se rivestiva il ruolo di insegnante. Questo ultimo, quindi, non poteva pretendere il risarcimento del danno dall’alunno che ha calciato il pallone, poiché in un certo senso anche il danneggiato, con la sua presenza nello stesso luogo in cui si svolgeva l’attività sportiva, ha accettato il rischio che potesse accadergli un infortunio.

Come docente di scienze motorie, in aggiunta, il rischio di venire colpita da una palla scagliata da un allievo sembra rientrare tra i rischi connessi al suo lavoro, anche se l’alunno non appartiene alla sua classe. I giudici di legittimità, quindi, correttamente hanno confermato il principio secondo il quale l’imprevedibilità e repentinità dell’atto dannoso e l’assenza di intenzionalità di ledere in capo al minorenne provoca il rigetto della pretesa risarcitoria del danneggiato.

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