Sinergie di Scuola

Lo scorso luglio è mancata a soli 40 anni Maryam Mirzakhani, l’unica donna ad avere mai vinto la medaglia Fields – nel campo della matematica equivalente al Premio Nobel. Di origine iraniana, docente a Stanford dall’età di 31 anni, si è sempre parlato di lei come di un genio, fin da quando, ancora adolescente, aveva cominciato a collezionare medaglie d’oro alle Olimpiadi matematiche.

Guardando al suo curriculum, viene facile pensare a uno di quei bambini dotati fin dalla tenera età di un talento speciale. In realtà, da bambina non era affatto interessata alla matematica (e i risultati scolastici ne risentivano), preferendo di gran lunga le lettere. Solo a un certo punto il fratello maggiore la incuriosì con un problema matematico pubblicato su una rivista. Da quel momento esplose il suo interesse per la materia.

Questo background non è affatto inconsueto. Molti premi Nobel hanno avuto un’infanzia normale. Caso emblematico, a tutti noto, è quello dei problemi scolastici di Einstein. Negli anni ‘20, in America, uno studio su 1.400 soggetti classificati da giovani con un alto QI ne indagò i successi professionali: il risultato fu che nessuno di loro aveva ottenuto risultati significativi in età adulta; viceversa, allo studio sfuggirono due premi Nobel per la Fisica, scartati perché all’epoca non avevano superato quel test QI.

Grazie alle ricerche degli ultimi decenni, è stato chiarito che il cervello umano è plastico, e il QI non è un valore fisso. Leggere Guerra e Pace a 5 anni non significa che si sarà sempre più brillanti dei coetanei con l’avanzare dell’età. Le neuroscienze hanno appurato che qualunque persona normodotata può raggiungere vette di eccellenza in pressoché ogni campo grazie a un corretto metodo di apprendimento, al giusto approccio alla materia, e ad alcune qualità – queste sì, specifiche degli high performers – quali curiosità, persistenza e duro lavoro.

Un altro elemento ritenuto fondamentale dalle scienze cognitive è rappresentato da una famiglia che sa incoraggiare e sostenere i figli, ancor più quando condividono la stessa passione dei figli e offrono un esempio quotidiano di dedizione e attaccamento a ciò che fanno. Uno studio americano su 3.000 persone provenienti da contesti disagiati (metà avevano diritto al pasto gratis a scuola perché di famiglia povera, più della metà erano figli di madri single, quattro su cinque vivevano in zone malfamate), e che tuttavia avevano ottenuto risultati importanti da adulti, ha indagato su un possibile filo conduttore che legasse queste storie. Praticamente tutti condividevano l’esperienza di uno o più adulti importanti nella loro infanzia (dei quali avevano piena fiducia e che prendevano a modello – un genitore, parente, insegnante) che davano importanza all’istruzione, li spronavano a impegnarsi a scuola e li supportavano nello studio.

Einstein scrisse: «Io non sono un genio, dedico solo più tempo ai problemi. Molti affermano che sia l’intelletto a fare un grande scienziato. Ebbene, si sbagliano: è questione di carattere».

E Maryam Mirzakhani una volta rispose in una intervista: «Il momento di massima soddisfazione è quello in cui esclami “Aha!” per l’eccitazione della scoperta e il piacere di comprendere qualcosa di nuovo – la sensazione di avere raggiunto la cima del monte e avere finalmente una visuale chiara. Ma per la maggior parte del tempo, fare matematica per me è come intraprendere un lungo cammino, senza una traccia da seguire e senza avere la meta in vista». È sempre questione di carattere.

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