Sinergie di Scuola

Finalmente la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità, sollevata dal Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del lavoro, sul procedimento pendente tra alcuni dipendenti della scuola e il Miur, relativa all’articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito con modificazioni in legge 6 agosto 2008, n. 133.

La questione riguarda dunque le decurtazioni economiche previste per i dipendenti pubblici; in particolare:

1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni […], nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa. […]
6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi.

Prima di addentrarci nell’esame della sentenza n. 120 del 7/05/2012, premettiamo che i dipendenti pubblici possono mettersi l’anima in pace. La Corte Costituzionale ha infatti considerato non fondate le questioni di legittimità costituzionale avanzate e quindi lo stipendio, in caso di assenze per malattia, verrà decurtato.

Le richieste

Alcuni dipendenti del comparto scuola avevano proposto ricorso innanzi al Tribunale per ottenere l’accertamento del diritto a ricevere, in caso di malattia, l’intero trattamento retributivo in busta paga, e non solo il trattamento “minimo o fondamentale”, con conseguente condanna del Miur a corrispondere l’intero trattamento retributivo, spettante anche in caso di malattia del lavoratore, previa disapplicazione della norma censurata.

Questo perché la precedente normativa, che prevedeva invece che il trattamento retributivo del periodo di malattia non fosse diverso da quello di effettivo lavoro, senza alcuna decurtazione retributiva, a giudizio dei ricorrenti sarebbe stata modificata in senso deteriore e peggiorativo per i lavoratori del comparto scuola.


Le osservazioni del Tribunale di Livorno

L’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008 risulterebbe, innanzitutto, in palese contrasto con l’art. 3 Cost., il quale tutela la persona e la sua dignità e stabilisce il principio generale di eguaglianza dei cittadini di fronte all’ordinamento.

La disposizione censurata infatti, per il Giudice, determinerebbe un’illegittima disparità di trattamento nel rapporto di lavoro dei dipendenti del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato.

Conseguentemente, poiché la parità di condizioni, sancita dall’art. 3 Cost. come vincolo inderogabile posto al legislatore ordinario, può essere derogata solo sulla base di criteri o elementi che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato, il legislatore avrebbe nella specie finito col trattare in maniera differente le due categorie di lavoratori, discriminando quelli del settore pubblico. In altri termini, il legislatore avrebbe violato il principio di uguaglianza tra i lavoratori, la cui appartenenza al settore pubblico o privato non giustificherebbe la disparità di trattamento sotto il profilo in esame, «in quanto entrambi [i] rapporti di lavoro sono caratterizzati dagli stessi elementi di subordinazione ed in quanto la malattia è un evento rispetto al quale non ha alcuna rilevanza la natura pubblica o privata del datore di lavoro».

Inoltre, sempre secondo il Giudice del lavoro, la citata normativa si ripercuoterebbe negativamente sulla retribuzione del lavoratore in malattia, cui sarebbero sottratti, durante il periodo d’infermità, indennità o trattamenti aggiuntivi comunque di sua spettanza per diritto in tal senso già acquisito e sancito in busta paga e costitutivi della sua retribuzione globale di fatto, pur differenziata in varie voci.

Il lavoratore legittimamente ammalato verrebbe dunque a subire una riduzione dello stipendio in busta paga. Riduzione che, dati i livelli degli stipendi ad oggi percepiti dai lavoratori del comparto pubblico, sarebbe tale da non garantire agli stessi una vita dignitosa, in contrasto con l’art. 36 Cost.

È inoltre necessario tener conto che la Costituzione tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, per cui la norma in questione, incidendo pesantemente sulla retribuzione del lavoratore ammalato, determinerebbe un abbassamento del livello di protezione della salute del lavoratore, il quale, spinto dalle necessità economiche, sarebbe in concreto indotto a lavorare, con la conseguenza di aggravare il proprio stato di malattia con danno per se stesso e la collettività, in palese violazione dell’art. 32 Cost.

Sempre per il Tribunale, vi sarebbe infine una lesione dell’art. 38 Cost., integrata dalla privazione, in corso di malattia, di una parte della retribuzione globale di fatto dovuta al lavoratore, in misura tale da far mancare al cittadino, in quel momento inabile al lavoro, i mezzi di mantenimento e di assistenza.

La decisione della Corte Costituzionale

«La disposizione censurata – si legge nella sentenza – prevede inderogabilmente la detrazione delle competenze accessorie dal trattamento dovuto al lavoratore in malattia per i primi dieci giorni, in un quadro di misure dirette alla riduzione dei giorni di assenza per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di «riportare il tasso di assenteismo del settore pubblico nei limiti di quello privato» (relazione al disegno di legge n. 1386 presentato alla Camera dei deputati il 25 giugno 2008) e con l’effetto dichiarato di utilizzare i risparmi in tal modo realizzati per il miglioramento dei saldi di bilancio delle pubbliche amministrazioni, senza alcuna confluenza nei fondi per la contrattazione integrativa».

Per la Corte, deve essere anzitutto esclusa la denunciata violazione dell’art. 3 Cost. In primo luogo, l’art. 2110 del codice civile dispone che, in caso di malattia, spettano al lavoratore la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità.

In secondo luogo, l’impianto normativo del lavoro pubblico non è confrontabile con quello del lavoro privato, per il fatto che nell’ambito di quest’ultimo convivono regimi notevolmente diversificati.

Nel lavoro pubblico privatizzato – al quale appartengono i lavoratori della scuola – la materia è sostanzialmente demandata alla contrattazione collettiva, in ossequio ai principi regolatori della normativa del settore, con una varietà di discipline che risentono delle peculiarità di ciascun comparto di riferimento.

Per tale ragione, i due sistemi, privato e pubblico, già significativamente differenziati al loro interno, risultano assolutamente incomparabili proprio in relazione al regime della malattia.

Peraltro, la scelta di depurare del trattamento accessorio la retribuzione fissa mensile del dipendente assente per malattia, sia pure con diverse sfumature, rappresenta una costante nei contratti collettivi del pubblico impiego, e non soltanto nel comparto scuola.

Neppure la questione di legittimità dell’art. 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, proposta in relazione all’art. 36 Cost., è fondata.

La conservazione del trattamento fondamentale garantisce, per definizione, l’adeguatezza della retribuzione e la sua funzione alimentare durante il periodo di malattia, tanto più che la durata della riduzione è contenuta dalla disposizione censurata nei limiti della decade.

Del resto, la Corte ha più volte chiarito che il giudizio sulla conformità di un trattamento all’art. 36 Cost. non può essere svolto per singoli istituti e per singole giornate, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza. Ne consegue che la decurtazione del trattamento accessorio per i soli primi dieci giorni di malattia non arreca – secondo la Corte – alla retribuzione del lavoratore una perdita che possa pregiudicarne la “proporzionalità” o la “sufficienza”.

Per ragioni analoghe, non c’è neppure alcun contrasto della norma in oggetto con l’art. 38 Cost. Infatti, nessuna disposizione impone che la prestazione economica in costanza di malattia coincida o tenda a coincidere con la retribuzione del lavoratore in servizio o con una sua determinata porzione.

Pertanto, il paragone al mero trattamento fondamentale per i soli primi dieci giorni di assenza non è così drastico da privare il lavoratore infermo di mezzi idonei di sussistenza.

Infine, conclude la Corte, non sussiste la denunciata lesione dell’art. 32 Cost. Non è infatti sostenibile che la riduzione di retribuzione sancita dalla norma in questione, con la salvezza del trattamento fondamentale e la brevità della durata, costringa il lavoratore ammalato a rimanere in servizio pur di non subirla, anche a costo di compromettere ulteriormente la salute.

Per la Corte, il diritto alla salute deve essere contemperato con altre esigenze costituzionalmente tutelate. E nel caso in questione è inoltre rilevante l’aspetto principale della norma censurata, vale a dire il tentativo di perseguire il buon andamento della pubblica amministrazione disincentivando l’assenteismo.

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