Sinergie di Scuola

Dire ad un docente «lei dice solo stronzate» nel corso di una riunione del consiglio d’istituto può costare caro al preside. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34380 del 17 ottobre scorso, ha infatti accolto il ricorso di un docente che si era sentito rivolgere la frase offensiva dal Dirigente scolastico della scuola in cui prestava servizio di fronte a tutti i colleghi presenti.

In primo grado il Tribunale di Enna aveva assolto il preside per insussistenza del fatto dall’imputazione del reato di cui all’art. 594 del Codice Penale.

Per inciso, l’art. 594 prevede il reato di ingiuria, perseguibile a querela di parte, stabilendo che:

«chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire due milioni se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone».

Di diverso avviso è invece la Corte di Cassazione, che ha ritenuto il ricorso fondato, ha annullato la sentenza e ha previsto il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Caltanissetta per un nuovo esame che tenga conto degli aspetti motivazionali contenuti nella sentenza.

Le considerazioni che hanno portato la Suprema Corte ad esprimersi in tal senso sono così riassumibili: la collocazione dell’episodio in questione in una riunione di docenti di un istituto scolastico, lo svolgimento dello stesso in presenza di colleghi quotidianamente impegnati in un’attività professionale comune a quella del ricorrente e la provenienza dell’espressione contestata da parte di un immediato superiore sono elementi sicuramente rilevanti nel definire l’incidenza lesiva della condotta, la cui portata doveva conseguentemente essere esaminata ai fini di un compiuto giudizio sull’esistenza o meno di un pregiudizio per l’onore e il decoro della parte offesa nel proprio ambiente lavorativo e umano.

Scrive la Corte:

«Dei beni che costituiscono l’oggetto giuridico del reato in discussione l’onore attiene alle qualità che concorrono a determinare il valore di un individuo, mentre il decoro concerne il rispetto o il riguardo di cui ciascun essere umano è comunque degno».

Ne consegue che il giudizio sulla lesione effettiva di tali beni non può prescindere dal considerare se, rispetto all’ambiente nel quale una determinata espressione è proferita, la stessa «si limiti alla pura aspra critica di un’opinione non condivisa oppure trasmodi nello squalificare la persona destinataria» dell’osservazione offensiva.

Quindi, pur considerando la presenza dell’avverbio “solo” anteposto alla parola volgare, non è possibile valutare la portata offensiva o meno del termine oggetto dell’imputazione, sotto il profilo della sua incidenza sulla persona del docente ricorrente piuttosto che sulla sola validità dell’opinione dallo stesso manifestata, in una prospettiva avulsa dal contesto nel quale l’espressione è pronunciata.

In altri termini, il Tribunale di Enna avrebbe dovuto tener conto del luogo in cui la frase è stata pronunciata.

© 2024 HomoFaber Edizioni Srl - Tutti i diritti riservati. Sono vietate la copia e la riproduzione senza autorizzazione scritta. Sono ammesse brevi citazioni ed estratti indicando espressamente la fonte (Sinergie di Scuola) e il link alla home page del sito.