Sinergie di Scuola

La gestione del personale configura uno dei settori più delicati e nevralgici a carico di un Dirigente scolastico, perché abbraccia una vasta congerie di aspetti del rapporto di lavoro, da quelli relazionali e motivazionali a quelli più prettamente legalistici, comportando un’attenzione massima nella gestione del procedimento e nella conclusiva irrogazione delle sanzioni.

Preliminarmente, occorre rispettare la disciplina di riferimento, recata essenzialmente dal D.Lgs. 297/1994, art. 492, dagli artt. 91 e 93 del CCNL del Comparto Scuola, dall’art. 55-bis, dettato per la vasta platea dei dipendenti pubblici, del D.Lgs. 165/2001.

Ricordiamo, sul punto, l’entrata in vigore, lo scorso 13 luglio (e sulla scia della vasta eco mediatica dei fenomeni di utilizzo del rilevatore delle presenze in maniera truffaldina) del D.Lgs. 116; il decreto detta nuove norme in tema di licenziamento disciplinare, prevedendo procedure rapidissime in caso di falsa attestazione della presenza accertata in flagranza.

L’attenzione e lo scrupolo richiesti nel rispetto delle norme regolanti il procedimento disciplinare non interessano il Dirigente scolastico solo dal punto di vista della gestione (nei termini autoritari) del personale, ma anche come possibile ritorno in senso negativo per il dirigente stesso, con possibile coinvolgimento, in modalità sanzionatoria, del giudice contabile qualora non si eserciti correttamente detto potere.

Due pronunce recenti possono far intendere efficacemente gli eventuali risvolti di una gestione del personale non pienamente corrispondente alle regole.

La sentenza n. 89/2016 della Corte dei conti Toscana

La pronuncia di condanna contenuta nella sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale Toscana, n. 89 del 2016, muove da un giudizio di responsabilità promosso dalla Procura della Corte medesima a carico di una dirigente ministeriale; il settore è diverso da quello scolastico, ma i principi desumibili dalla sentenza sono chiaramente estensibili anche ad altri settori pubblici.

Nel caso di specie, si contestava alla dirigente un provvedimento disciplinare illegittimo, già esitato in un annullamento in sede giurisdizionale a conclusione di contenzioso avviato dalla dipendente, che si era vista opporre un rimprovero verbale «per aver apposto sulla stanza dell’ufficio del gratuito patrocinio penale un cartello che recava un avviso circa la chiusura dell’ufficio per assenza del personale per ferie ed attività di assistenza istituzionale»; tale annullamento del giudice del lavoro aveva causato un esborso economico del Ministero, costretto a rifondere le spese alla dipendente.

Per la procura della Corte, nel caso de quo la dirigente sarebbe incorsa sia nella responsabilità per danno erariale (rifusione delle spese di giudizio a carico del Ministero) che nella sottospecie di danno da disservizio, poiché (si riportano le parole della Procura): «il suddetto comportamento [...] avrebbe comportato un danno da disservizio per l’inefficienza dell’azione amministrativa ed utilizzo di energie lavorative non comportanti utilità».

La colpa grave della dirigente, sempre per la Procura, sarebbe stata comprovata anche dai numerosi provvedimenti disciplinari adottati dalla stessa, spesso annullati dal giudice del lavoro e perfino oggetto di un esposto della magistratura.

La sentenza della Corte ripercorre la vicenda introducendo, preliminarmente, concetti fondamentali dell’attività amministrativa, come la differenza tra atto illegittimo e responsabilità dell’autore dello stesso, non necessariamente correlate ma da analizzare volta per volta nella loro sussistenza e relazione. A tale proposito «[...] la giurisprudenza della Corte dei conti» prosegue la magistratura contabile «da tempo evidenzia la distinzione tra illiceità del comportamento e illegittimità dell’atto, affermando che solo il primo e non il secondo è oggetto del giudizio di responsabilità amministrativa e che i vizi di legittimità di un atto, infatti, non comportano ex se un illecito contabile» poiché «l’illegittimità di un atto è soltanto un sintomo della illiceità del comportamento, alla cui produzione concorrono i requisiti della dannosità della condotta e dell’atteggiamento gravemente colposo del suo autore».

Questo assunto, confermato anche dalla Corte di Cassazione, pone l’accento su un elemento importante: l’atto può essere illegittimo, ma per sussistere la responsabilità del dirigente (o impiegato pubblico) occorre anche un comportamento illecito, ovvero un elemento soggettivo specifico.

Tanto premesso, e ribadita la necessità di valutare in concreto la sussistenza della violazione di uno specifico dovere di ufficio e del comportamento antigiuridico per la configurazione del danno erariale, nel caso di specie viene ravvisato come le accuse a base del provvedimento disciplinare mosso alla dipendente, basate sugli assunti del rischio di confusione ingenerata nel pubblico e della mancanza di segnalazione ai propri superiori, fossero non fondate (“inconsistenti”, per usare le parole della Corte), dovendosi, viceversa, apprezzare lo scrupolo della dipendente nell’informare gli utenti e lo sforzo della stessa nel cercare superiori cui riferire.

Proprio muovendo dall’inconsistenza delle contestazioni disciplinari, la Corte riconosce il danno, quantificabile nelle rifusione delle spese di lite, ma, soprattutto, l’elemento soggettivo di cui si parlava sopra, ovvero la colpa grave della dirigente che «si configura macroscopicamente deviante rispetto al comportamento che avrebbe dovuto tenere un dirigente che avesse improntato la condotta a diligenza anche minima [...] quando in realtà la situazione creata dipendeva esclusivamente dalla dirigenza stessa, [...] quando in realtà era emerso che la stessa avesse cercato due dei suoi superiori».

La Corte addebita alla dirigente un comportamento superficiale e approssimativo, riconoscendo l’elemento soggettivo della colpa grave e condannandola al pagamento delle spese processuali pagate già dal Ministero.

Viceversa, non viene riconosciuta la responsabilità per danno da disservizio, poiché l’accusa della Procura sarebbe troppo generica, poco circostanziata e non suffragata da idonei elementi probatori.

Il Giudice del Lavoro di Pavia

La FLC CGIL dà invece notizia di una importante sentenza del giudice del lavoro, precisamente il Tribunale di Pavia che, con la pronuncia n. 221 dell’estate del 2016, annulla la sospensione di 10 giorni irrogata da un Dirigente scolastico ad un docente. La sentenza, dichiarando l’illegittimità del provvedimento, ricostruisce la normativa sul punto applicabile, dettata dall’art. 492 del TU 297 del 1994, e dall’art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001, e stabilisce che «la competenza del Dirigente scolastico è limitata alle sanzioni di minore gravità per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di una sanzione inferiore alla sospensione del servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni».

La competenza, nel caso di specie e per il giudice del lavoro, spetta all’Ufficio Procedimenti Disciplinari dell’Ufficio scolastico competente, e non al Dirigente scolastico che in questo caso (per il tramite del Ministero che successivamente potrà rivalersi nei confronti del dirigente), si vede annullare il provvedimento e irrogare condanna a rifondere quanto illegittimamente trattenuto.

I principi desumibili

Dai due casi brevemente esaminati emerge la necessarietà di una attenzione particolare nell’irrogazione delle sanzioni disciplinari. La gestione del personale, anche quando si atteggia in un momento conflittuale, deve essere informata a canoni di buon senso e valutazioni analitiche complessive non solo per la probabile alterazione del clima lavorativo (che può certamente in determinati casi rivelarsi necessaria per ricondurre comportamenti illegittimi al rispetto della legge), ma anche perché può comportare conseguenze di vario tipo a carico del Dirigente scolastico.

Come insegnano le pronunce della Corte dei conti, l’elemento soggettivo è canone fondamentale per la configurazione del danno erariale, e lo stesso può desumersi anche dal comportamento complessivo del Dirigente, che dovrà porre particolare attenzione, nella gestione anche del contenzioso, alla figura emergente del danno da disservizio.

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