Sinergie di Scuola

Un recente parere dell’USR Umbria, n. 15099 del 26/10/2015, è occasione per affrontare un argomento discusso e dalla disciplina peculiare nel mondo della scuola, ovvero le dimissioni dal servizio e regolamentazione della fattispecie in questo ambito.

Il parere citato interviene a proposito delle dimissioni di una docente, rammentando preliminarmente che le dimissioni del personale scolastico sono ammesse in corso d’anno, ma le stesse decorrono solo dal 1° settembre dell’anno successivo; il D.P.R. 351/1998 prevede un termine entro il quale il personale può presentare/ritirare domanda di collocamento a riposo o dimissioni, termine che è fissato annualmente con decreto del MIUR. Il decreto valevole per l’anno 2015, risalente al 1° dicembre 2014, all’art. 3 stabilisce che le domande non necessitano di uno specifico provvedimento di accoglimento, tranne che l’accoglimento stesso debba essere disposto a causa di un procedimento disciplinare in corso.

La normativa sul punto, peculiare per l’ambito scolastico, è ovviamente dettata al fine di salvaguardare la regolare gestione dell’anno scolastico e programmare al meglio le sopraggiunte carenze di personale.

La Cassazione (sezione Lavoro del 12/02/2015, n. 2795) sul punto ha ricordato che «Nel sistema scolastico, tale principio – ovvero l’efficacia dell’atto di dimissioni a prescindere dall’accettazione del datore di lavoro – va contemperato con le esigenze di natura organizzativa collegate al buon andamento dell’attività scolastica e di razionalizzazione del servizio».

Ebbene, anche il parere USR Umbria citato, ricordando la regolamentazione del codice civile sul pubblico impiego privatizzato, rammenta anche che le dimissioni costituiscono un negozio unilaterale recettizio, e che non necessitano di un provvedimento di accettazione da parte dell’amministrazione per diventare efficaci; tale carattere è stato più volte ricordato anche dalla Corte di Cassazione, che con la recente sentenza citata e ai sensi della disciplina civilistica, precisa che le dimissioni sono idonee a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui la comunicazione venga conosciuta dall’amministrazione, indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro di accettarle.

Il parere dell’USR prosegue ritenendo che anche nel caso delle dimissioni volontarie occorra osservare un termine di preavviso, che deve essere “lavorato”, a meno che il dipendente decida di non osservare detto periodo patendone, tuttavia, le previste conseguenze economiche.

Il problema che si pone evidentemente è il seguente: se, come sembra plausibile e conforme alla normativa richiamata, le dimissioni dal servizio hanno un’efficacia differita alla prima data utile – come da decreto ministeriale – cosa succede a carico del lavoratore che, viceversa, voglia recedere dal contratto in via immediata?

La decisione, in questo caso, comporta delle conseguenze, economiche e disciplinari.


Conseguenze economiche del mancato preavviso

Il parere citato riconosce la possibilità di prendere atto di un recesso con effetto immediato; il dipendente che ricorra a tale istituto dovrà tuttavia sopportare le conseguenze economiche del comportamento, ovvero corrispondere l’indennità di preavviso che, per la scuola, è prevista dall’art. 23 CCNL vigente. Tale articolo prevede i seguenti termini, variabili in relazione all’anzianità di servizio del dipendente:

  • 2 mesi – anzianità fino a 5 anni;
  • 3 mesi – anzianità fino a 10 anni;
  • 4 mesi – anzianità oltre 10 anni.

Sembra evidente che, nel caso di specie, l’indennità da corrispondere non possa convergere con l’intero periodo di preavviso richiesto per i dipendenti scolastici, se con esso si intende il periodo di “attesa”, previsto dalla legge affinché le dimissioni abbiano efficacia; se così fosse, si creerebbe una situazione di oggettiva disparità tra dipendenti scolastici e altri dipendenti in generale, accollando ai primi un obbligo indennitario che può perdurare addirittura per periodi superiori all’anno e che, del resto, sarebbe ben superiore a quello riguardante il datore di lavoro.

Il richiamo alle conseguenze (indennità di preavviso) previste dall’art. 23 CCNL è quindi più che mai opportuno.

Conseguenze disciplinari del mancato preavviso

Il recesso del dipendente in ambito scolastico non si configura come negli altri settori, poiché lo stesso subisce le conseguenze “naturali” stabilite dalla legge, per questa fattispecie negoziale, proprio per le peculiarità sopra viste relative all’ambito scolastico.

Per la legge quindi le dimissioni possono presentarsi in ogni momento, ma hanno effetto solo da un determinato periodo in poi. Qualora il dipendente non osservi queste scadenze e non si presenti in servizio, quindi, anche se ha presentato le dimissioni, sarà considerato come assente ingiustificato e patirà le relative conseguenze.

A questo proposito, il parere USR ricorda che il Dirigente dovrà diffidare il dipendente a riprendere servizio immediatamente, e attivare, in caso di inutilità del richiamo, il procedimento di decadenza. Per il parere richiamato, anche se il provvedimento di decadenza pare sia stato abrogato dall’art. 55-quater primo comma lett. b del D. Lgs. 165/2001 (che prevede l’ipotesi di licenziamento con preavviso in caso di assenza ingiustificata o mancata ripresa del servizio), lo stesso rimarrebbe in vigore «in caso di dimissioni volontarie del lavoratore con rinuncia al preavviso».

Va ricordato, a tale proposito, che la circolare USR Piemonte n. 7364 del 2014, intervenuta a proposito di “Assenze ingiustificate o prive di valida giustificazione. Chiarimenti ed indicazioni operative”, con riferimento ad ogni tipologia di assenza espressamente richiama «a non avviare nei confronti del personale (docente e ata) le procedure di decadenza previste dall’art. 127 D.P.R. 3/1957, nel caso in cui si verifichino assenze ingiustificate o prive di valida giustificazione o inottemperanza alle diffide a riprendere servizio». In questi casi, prosegue la circolare, i dirigenti dovranno immediatamente diffidare il personale a riprendere servizio, e solo nell’inottemperanza alla diffida sarà loro compito trasmettere all’USR una circostanziata relazione per l’avvio della sanzione disciplinare, dando contestuale comunicazione al dipendente dell’avvenuta attivazione di richiesta del provvedimento disciplinare.

Va rilevato, a fronte di queste presunte discordanze interpretative, che ogni Dirigente scolastico ha la possibilità di applicare le disposizioni normative secondo la propria interpretazione, essendo obbligato ad eseguire le interpretazioni di organi istituzionalmente superiori (come gli USR) qualora le stesse si atteggino quali vere e proprie disposizioni di servizio.


Divieto di monetizzazione delle ferie e preavviso

Come noto, e come ricordato dal parere USR Umbria, il preavviso deve essere lavorato, ovvero non si può fruire delle ferie durante detto periodo, per espressa disposizione del codice civile (art. 2109).

Questo divieto, combinato con il divieto di monetizzare le ferie non godute disposto per i soli dipendenti pubblici dall’art. 5 comma 8 del D.L. 95/2012 (c.d. Spending review), pone concreti problemi sia in ordine alle ferie già maturate sia, soprattutto, a quelle che si maturano nel periodo di preavviso.

Per costante giurisprudenza comunitaria e nazionale e per espressa disposizione costituzionale, infatti, le ferie sono un diritto irrinunciabile, e se le stesse non possono essere godute per esplicita disposizione di legge né monetizzate, si pone un concreto problema di fruizione di diritti costituzionalmente garantiti.

Come ricordato su queste pagine, il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 40033/2012, e la conforme interpretazione della Ragioneria Generale dello Stato n. 94806/2012, hanno operato una ricostruzione molto elastica, tesa a “consentire” la monetizzazione per i casi in cui la mancata fruizione non dipenda dalla volontà del lavoratore (es. decesso, dispensa per inidoneità, malattia, aspettativa, gravidanza); tale interpretazione, ancorché contrastante con il divieto assoluto stabilito dalla legge, ha trovato conforto non solo in un parere della Corte dei Conti (sez. Valle d’Aosta n. 20/2013), ma in una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 286/2013).

Anche le letture interpretative appena viste, orientate ad una interpretazione “morbida” del divieto, tuttavia non consentono di superare il problema delle dimissioni (atto volontario del lavoratore) che obbligano ad un preavviso lavorato nel quale maturano delle giornate di ferie che, a rigore di legge, non saranno fruibili né monetizzabili.

Non è mai inutile ricordare, alla luce delle discordanze richiamate, quanto il grave ritardo nella contrattazione pubblica sia distorsione da colmare senza ulteriore indugio.

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