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Il congedo parentale per i lavoratori padri è stato istituito dall’art. 4, comma 24, lett. a della Legge 92/2012 (Legge Fornero“Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”).

Nonostante, come di seguito vedremo, la parità genitoriale sia un principio fondamentale nell’Unione Europea, l’Italia si colloca piuttosto in basso, a confronto con gli altri Paesi, per quanto riguarda il numero di giorni di congedo obbligatorio – e parentale in generale – sia fruito che concesso ai lavoratori padri. Solo dal 2021 i giorni di congedo obbligatorio per i dipendenti sono passati a 10, ma permane una contraddizione inspiegabile, che dura ormai da anni, a danno dei lavoratori dipendenti pubblici.

Il diritto al congedo obbligatorio consiste nella possibilità per i padri lavoratori dipendenti (per padri si considerano padri naturali ma anche adottivi, affidatari o collocatari) di fruire, entro il quinto mese dalla nascita del bambino, di 10 giorni di congedo appunto obbligatorio.

Il congedo può essere richiesto:

  • durante il periodo di congedo di maternità della madre;
  • indipendentemente dal diritto della madre stessa.

I giorni di congedo sono fruibili anche in via non continuativa, purché entro il termine previsto dei cinque mesi.

Tale diritto si configura come autonomo e aggiuntivo, quindi, rispetto al medesimo diritto della madre e al congedo parentale facoltativo, sia del padre che della madre, che permane.

I congedi possono essere fruiti anche in caso di morte perinatale del minore; ciò è previsto dalla circolare INPS n. 42 dell’11/03/2021, la quale specifica così il caso in questione:

Il congedo può essere fruito, sempre entro i cinque mesi successivi alla nascita del figlio, anche nel caso di:
1) figlio nato morto dal primo giorno della 28° settimana di gestazione (il periodo di cinque mesi entro cui fruire dei giorni di congedo decorre dalla nascita del figlio che in queste situazioni coincide anche con la data di decesso);
2) decesso del figlio nei dieci giorni di vita dello stesso (compreso il giorno della nascita).
Il periodo di cinque mesi entro cui fruire dei giorni di congedo decorre comunque dalla nascita del figlio e non dalla data di decesso.

Per i giorni di congedo obbligatorio al lavoratore padre spetta una indennità lavorativa pari al 100% della giornata, a carico dell’INPS (con riconoscimento dell’indennità per le sole giornate lavorative).

Una misura finalmente strutturale

Il congedo obbligatorio per il lavoratore padre, introdotto dal 2013, è stato inizialmente previsto come una misura sperimentale da confermare di anno in anno; è poi stato effettivamente implementato nel corso del tempo, passando da 2 giorni ai 10 giorni attuali con l’art. 1, comma 363, lett. a della Legge 178/2020 (Legge di bilancio 2021).

La Legge di bilancio 2022 (n. 234 del 30/12/2021), con l’art. 1, comma 134 ha reso strutturale la misura, che quindi non avrà più bisogno di conferme e reiterazioni di anno in anno.

Ulteriori modifiche, in senso migliorativo, sono attese con la riforma dei congedi parentali (c.d. Family Act) in corso di definizione, come di seguito.

I dipendenti pubblici esclusi

I dipendenti pubblici sono rimasti ad oggi discriminatamente esclusi dalla misura.

L’esclusione è avvenuta per mezzo di un parere reso ad un ente pubblico nel 2013; il Dipartimento Funzione Pubblica ritenne, infatti, che la misura non fosse direttamente applicabile ai dipendenti della P.A., con riferimento sia al congedo del lavoratore padre sia alle misure di sostegno economico per la madre lavoratrice (lett. a e b del citato art. 4); tale esclusione venne prevista nonostante la Legge 92/2012 si riferisse proprio, indistintamente, «al padre lavoratore dipendente», disponendo che quelle norme fossero state introdotte «al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro [...]».

La norma, per inciso, non escludeva i lavoratori padri dipendenti pubblici, ma prevedeva, con l’art. 1, comma 8, interventi di armonizzazione del Ministro per la Pubblica amministrazione solo laddove la legge non disponesse espressamente (quindi non in questo caso, ci sembra), rimanendo fermi, per le amministrazioni pubbliche, i principi e i criteri della stessa.

Orbene, il parere di risposta ad un Comune, sopra ricordato, in riferimento al congedo del lavoratore padre, venne immediatamente recepito dalla circolare INPS n. 40/2013.

Da quel momento, nessun intervento ministeriale risulta intervenuto per sanare questa evidente aporia normativa, che, del resto, si scontra con i diritti del lavoratore padre ma anche con quelli della madre che, a prescindere dal fatto che sia lavoratrice, non può beneficiare, se il padre sia dipendente pubblico, dell’ausilio nei doveri connessi alla genitorialità che l’originaria norma del 2012 iniziava a riconoscere. A quanto risulta, nemmeno ipotizzabili interventi giurisdizionali sono intervenuti su una questione, negli anni, pressoché dimenticata.

Novità dalle direttive comunitarie

È recentissima la notizia per cui il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 31 marzo 2022, ha approvato due decreti legislativi (ancora da pubblicare) in attuazione di due direttive europee.

In particolare, la direttiva UE 2019/1158 ha previsto alcune misure dirette all’attuazione della condivisione tra genitori degli obblighi di cura e assistenza familiare, nel rispetto della parità di genere nel campo lavorativo e familiare; la parità è, del resto, principio fondamentale dell’Unione, prescritto dall’art. 3, comma 3 del TUE.

La nuova misura prevede che il congedo, obbligatorio e di 10 giorni lavorativi, sia fruibile nel periodo intercorrente tra i 2 mesi precedenti e i 5 successivi al parto.

Il testo del decreto non è ancora disponibile, e non è dato conoscere con certezza se, finalmente, le discrepanze tra lavoratori pubblici e privati, a ormai dieci anni dall’intervento normativo che ha riconosciuto il congedo in questione, saranno colmate.

Tuttavia, la risposta fornita dalla Sottosegretaria per il lavoro e le politiche sociali Tiziana Nisini, espressa in sede di interrogazioni in seno alla Commissione lavoro e politiche sociali del 16 marzo 2022, e resa pubblica, fa emergere finalmente un quadro di novità anche per i dipendenti pubblici, cui sembra verrà esteso il beneficio che, con tutta probabilità, sarà inserito direttamente nel D.Lgs. 151/2001, recante, come noto il Testo Unico sulla maternità e paternità, come tale già rivolto a tutta la platea dei lavoratori dipendenti.

La pubblicazione del decreto è attesa a breve e dipanerà la questione.

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