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Qualsiasi attività amministrativa deve essere ispirata, come sappiamo, ai fondamentali criteri di buona andamento, trasparenza, economicità e imparzialità. Anche in tale ottica, l’amministrazione può ricorrere all’autotutela, poiché detiene il potere di “ripensare” la propria azione qualora sia viziata ab origine o, comunque, non più conforme ai suddetti criteri.

Espressioni del potere di autotutela sono gli atti di ritiro, ed essenzialmente:

  • l’annullamento: è previsto dagli articoli 21-octies e 21-nonies della Legge 241/1990, come rimedio esperibile contro gli atti viziati da violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza. Si ricordi che tale fattispecie ha efficacia retroattiva, poiché incide su un atto viziato ab origine, quindi l’efficacia dell’azione di annullamento è ex tunc (ovvero fin dall’adozione dell’atto);
  • la revoca: è prevista dall’art. 21-quinquies, per «sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario». Il provvedimento può intervenire quindi nei confronti di atti non originariamente viziati, ma ritenuti non più opportuni a seguito di una valutazione discrezionale dell’amministrazione, e può essere disposto solo nei confronti di atti con efficacia che dura nel tempo; il suo effetto è infatti ex nunc, ovvero opera dall’emanazione della revoca in poi. La legge prevede che in caso la revoca provochi pregiudizi in danno dei soggetti interessati, l’amministrazione deve procedere al loro indennizzo.

Come abbiamo già ricordato su queste pagine, la differenza tra annullamento e revoca è sostanziale e non solo formale; troppo spesso le amministrazioni, per “ritirare” i propri atti, ricorrono indistintamente all’una o all’altra fattispecie, non tenendo in considerazione le profonde differenze tra i due istituti; è necessario rammentare sempre, invece, che anche confondere le norme significa violarle.

È da raccomandare quindi la massima attenzione nella valutazione, nell’applicazione ed uso degli atti di ritiro.

L’annullamento degli atti amministrativi

L’art. 21-nonies della Legge 241/1990 fino a poco tempo fa prevedeva così: «il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21 octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole».

Durante l’estate è però intervenuta l’approvazione della Legge 124 del 7/08/2015, entrata in vigore il giorno 28 e annunciata dai media nazionali come (l’ennesima, per amor di verità) “Riforma della Pubblica Amministrazione”. L’articolata legge reca in realtà poche disposizioni innovative; si tratta infatti di una legge-delega, che contiene numerose disposizioni di principio, che andranno necessariamente dettagliate con una serie di decreti di attuazione per essere concretamente applicabili.

Tra le poche disposizioni immediatamente operative, è da citare certamente l’articolo 6, che detta innovazioni proprio in tema di annullamento, intervenendo con due modifiche essenziali.

Termine per l’annullamento

Il comma 1 punto 2 dell’art. 6 integra l’art. 21-nonies, e prevede che, dopo le parole «Entro un termine ragionevole», sia inserito «e comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20». Con questo primo intervento di riforma, il legislatore mette quindi un limite alla possibilità di annullare gli atti, che si riferisce espressamente ai provvedimenti ampliativi dei soggetti beneficiari (autorizzazioni/attribuzioni di vantaggi economici); oltre i 18 mesi, nessun annullamento potrà essere disposto. Questa modifica amplia notevolmente i confini della tutela dell’affidamento, ovvero di quell’istituto che mira alla tutela di chi, in buona fede, ha confidato sugli effetti consolidati dell’azione amministrativa.

Ogniqualvolta si prenda in considerazione l’ipotesi dell’annullamento dell’atto, infatti, l’amministrazione deve soppesare con attenzione gli interessi coinvolti e comparare gli interessi, mirando ad evitare che gli effetti dell’annullamento causino conseguenza più gravi della nullità dell’atto.

Questo principio, che vale a nostro avviso tuttora anche prima che si maturi il termine dei 18 mesi, è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza. Il TAR Marche, ad esempio, con sentenza 34/2007, stabilì che la discrezionalità che conduce all’annullamento «consiste nel soppesare, comparandoli tra loro, l’interesse pubblico alla rimozione dell’illegittimità e quello privato alla conservazione di un atto che, medio tempore, ha prodotto validi effetti e suscitato legittime aspettative [...]».

Con la recentissima innovazione, il legislatore impone un termine entro il quale la comparazione degli interessi può essere effettuata, che corrisponde a 18 mesi dall’adozione del provvedimento; scaduto detto termine, la possibilità di annullare il provvedimento decade.

Eccezioni al termine per l’annullamento

La legge di riforma introduce nell’art. 21-nonies della Legge 241/1990 anche il comma 2-bis, che dispone:

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28/12/2000, n. 445.

L’ovvia eccezione alla decadenza della possibilità di annullare l’atto amministrativo è contenuta nel comma 2-bis, che prevede espressamente che, nei casi in cui l’atto si basi su dichiarazioni false che siano accertate con sentenza ormai inoppugnabili, il termine decadenziale non operi, ad evidente tutela del buon andamento dell’azione amministrativa che non può mai in qualche modo tollerare un reato quale le ipotesi di dichiarazioni false possono integrare.

Già il d.P.R. 445/2000, in tema di controlli sulle dichiarazioni sostitutive, espressamente prevede all’art. 73 che «Le pubbliche amministrazioni e i loro dipendenti, salvi i casi di dolo o colpa grave, sono esenti da ogni responsabilità per gli atti emanati, quando l’emanazione sia conseguenza di false dichiarazioni o di documenti falsi o contenenti dati non più rispondenti a verità, prodotti dall’interessato o da terzi».

Anche la giurisprudenza, da sempre piuttosto uniforme nel tutelare il legittimo affidamento dei terzi, ha ritenuto questo principio di valore molto più sfumato nel caso in cui l’atto derivi da comportamenti dal comportamento quanto meno negligente del privato destinatario.

Il Consiglio di Stato ad esempio, con sentenza 3154/2012 (in tema di concessioni edilizie), aveva già sostenuto, in linea con una costante giurisprudenza, che fosse esclusa «[...] la necessità di una comparata ponderazione dell’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio di un atto amministrativo e dell’interesse oppositivo del privato, quando si sia in presenza di sostanziale negligenza del privato stesso, il quale, per insufficiente rappresentazione di circostanze di fatto, non importa se per colpa o per dolo, abbia contribuito all’errore dell’Amministrazione inducendola, sostanzialmente, ad adottare atti poi rivelatisi palesemente illegittimi.

Orbene, se è vero [...] che è ius receptum che l’annullamento di ufficio di un provvedimento debba essere sorretto anche da autonome ed attuali ragioni di pubblico interesse laddove incida su posizioni giuridiche che risultino ormai consolidate in ragione del tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento annullato ed in ragione dell’affidamento [...] è, però, corollario di tale principio [...] che non occorre la presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico quando il soggetto nei cui confronti si esercita il potere di annullamento non sia in buona fede».

Limiti alla sospensione dei provvedimenti

Sempre in tema di efficacia dei provvedimenti amministrativi, la Legge 124/2015 con l’art. 6 interviene anche ad integrazione dell’art. 21-quater della Legge 241/1990, che, antecedentemente alla riforma, così disponeva:

Efficacia ed esecutività del provvedimento
1. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.
2. L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.

L’integrazione recata dall’art. 6 citato prevede che: «La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l’esercizio del potere di annullamento di cui all’articolo 21-nonies».

Dunque, anche il potere dell’amministrazione di sospendere un provvedimento amministrativo non può essere esercitato ad libitum, e non può, in concreto, superare il termine di 18 mesi, entro il quale la sospensione si deve convertire nella naturale efficacia/esecuzione dell’atto oppure, sussistendone tutti i presupposti, nell’annullamento.

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