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Si è trattato spesso, su queste pagine, del danno all’immagine, fattispecie complessa per gli interventi normativi stratificati e per la difficoltà conseguente ad inquadrare questa tipologia.

Nella rubrica di marzo 2019, in particolare, avevamo trattato dell’art. 55-quater, comma 3-quater del D.Lgs. 165/2001.

Le nuove disposizioni introdotte dal D.Lgs. 116/2016 avevano prodotto particolari disposizioni in caso di assenteismo fraudolento e, nei casi di accertamento in flagrante di falsa attestazione delle presenze, ovvero che la «denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro venti giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L’azione di responsabilità è esercitata [...] entro i centocinquanta giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia».

La nuova norma, insieme alla successiva di cui all’art. 55-quinquies, aveva “tipizzato” la figura del danno all’immagine, che precedentemente, lo ricordiamo, esigeva due elementi:

  • una sentenza di condanna;
  • la ricorrenza del c.d. clamor fori, ovvero l’accertata risonanza dell’episodio nella pubblica opinione, tale da svilire l’elemento fiduciario che deve intercorrere tra cittadino e Amministrazione.

La tipizzazione del danno erariale era stata acclarata anche dalla Corte dei Conti; con la sentenza della Sezione Sicilia, n. 177/2018, emanata su giudizio di appello promosso dalla Procura nei confronti di una dipendente per danno patrimoniale e all’immagine a causa di vari episodi di assenteismo fraudolento, già accertato con sentenza di condanna. La Corte riconobbe la ricorrenza del danno all’immagine, proprio per il suo il carattere “tipico” e speciale così delineato dall’art. 55-quinquies del D.Lgs. 165/2001, tale da far ritenere pienamente legittima l’azione. Soprattutto, la Corte ritenne non indispensabile la circostanza che il fatto illecito avesse avuto ampia risonanza sui mass media, poiché il presupposto infatti non risulta contemplato dall’art. 55-quinquies del D.Lgs. 165/2001.

Ebbene, nello stesso periodo la Corte dei Conti Umbria, con l’ordinanza 76 dell’ottobre 2018, in proposito della ipotesi di cui all’art. 55-quater, rinviò la questione della quantificazione del danno all’immagine in via automatica alla Corte Costituzionale, ritenendo che detta quantificazione contemplasse effetti eccessivi, ingiusti e irragionevoli; di fatto, per la Corte la norma precludeva ogni intervento del giudice, obbligandolo a condannare il convenuto nella misura minima non inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento. Per la Corte dei Conti l’obbligo del minimo edittale e la preclusione del principio di proporzionalità poteva produrre effetti irragionevoli e sproporzionati, come nel caso oggetto della pronuncia, di fatto molto esiguo come configurazione concreta (quattro giorni di attestazioni false per un totale di quattro ore di violazione) ma dagli effetti economici piuttosto elevati (importo di 20.000 euro).

Sul punto si è recentemente pronunciata la Corte Costituzionale, accogliendo la tesi della Corte dei Conti Umbria.

Cosa prevede la Corte Costituzionale

Con la sentenza n. 61 del 10/04/2020, la Consulta rammenta previamente la figura del danno all’immagine, frutto di un’elaborazione giurisprudenziale poi normata dall’art. 17, comma 30-ter, del D.L. 78/2009, convertito nella Legge 141/2009.

Questa norma disponeva che la Corte dei Conti esercitasse l’azione per danno all’immagine nei casi previsti dall’art. 7 della Legge 97/2001, ovvero nei casi di sentenza irrevocabile di condanna nei confronti di dipendenti pubblici per i delitti contro la pubblica amministrazione.

Quest’ultima norma è stata poi abrogata dal Codice di giustizia contabile, D.Lgs. 174/2016, art. 4, all. 3.

Rimane, comunque, in vigore quanto disposto dall’art. 51 del Codice, che fa riferimento ad una generica sentenza irrevocabile di condanna per l’avvio dell’azione di danno erariale (in generale); sul punto, ovvero se serva una sentenza per reati specifici per avviare l’azione di danno all’immagine, non vi è stata ancor oggi interpretazione concorde in dottrina e giurisprudenza.

Specificamente, in relazione alla ipotesi prevista dal sopra richiamato art. 55-quater, la Corte rammenta che la stessa venne introdotta con il D.Lgs. 116/2016, a sua volta emanato a seguito della Legge delega 124/2015, che prevedeva, tra i principi e i criteri direttivi, testualmente «s) introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare [...]».

La Corte Costituzionale, rammentando che «l’art. 17, comma 1, lettera s), di detta legge prevede unicamente l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare», sottolinea come «la materia delegata è unicamente quella attinente al procedimento disciplinare, senza che possa ritenersi in essa contenuta l’introduzione di nuove fattispecie sostanziali in materia di responsabilità amministrativa».

Come già affermato dalla Corte più volte, e nel rispetto del dettato sancito dall’art. 76 della Costituzione, il legislatore deve attenersi scrupolosamente, con un limitato margine di discrezionalità, ai principi e criteri direttivi emanati dal legislatore con la legge di delega.

La Corte, quindi, ha ritenuto fondata la questione di costituzionalità promossa dalla Corte dei Conti sezione Umbria, proprio per “eccesso di delega”, concludendo come non possa «ritenersi compresa» in quanto specificamente delegato dal legislatore, «la materia della responsabilità amministrativa e, in particolare, la specifica fattispecie del danno all’immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici».

Ancora, la Corte Costituzionale giunge a ritenere illegittimo costituzionalmente non solo quanto disposto dal comma 3 (azione di danno a seguito di licenziamento disciplinare), ma anche quanto previsto dal secondo e terzo periodo, poiché tali disposizioni sono inscindibilmente connesse con quella sollevata dal giudice contabile.

Vengono così sanciti quali illegittimi costituzionalmente il secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater del D.Lgs. 165/2001.

Cosa cambia in concreto

Le novità sul tema, già notevolmente dibattuto, del danno all’immagine, e seguito del recente intervento della Consulta, sono rilevanti.

Non sussiste più nell’ordinamento, infatti, l’ipotesi della automatica azione della Corte dei Conti per danno all’immagine al termine della procedura di licenziamento, né si verifica più l’automatismo della sanzione (prima non inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio) rimanendo l’ammontare valutabile equitativamente dal giudice.

Il danno all’immagine quindi, come sembra possa evincersi dall’intervento della Corte, non è più direttamente conseguente al licenziamento disciplinare per assenteismo fraudolento, ma deve connettersi, come per le altre ipotesi di danno erariale, ad una apposita sentenza di condanna della giurisdizione penale.

Un intervento non da poco, che stigmatizza, non per la prima volta, gli interventi del Governo a seguito della vasta campagna contro i fenomeni di assenteismo fraudolento verificatisi nella Pubblica Amministrazione.

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