Sinergie di Scuola

Negli ultimi mesi hanno avuto vasta eco mediatica le situazioni in cui, anche a seguito dei trasferimenti/presa di servizio di docenti in sedi lontane dalla propria residenza, l’assunzione in servizio di fatto veniva ritardata o sospesa ricorrendo a diritti o benefici di legge, vissuti dall’opinione pubblica come “stratagemmi”.

Non è tuttavia così semplice, come vedremo di seguito, utilizzare diritti o benefici consentiti dalla legge per aggirare i doveri contrattuali. La giurisprudenza ci ricorda, con una interessante recente pronuncia, che l’ambito amministrativo e quello negoziale debbono coniugarsi con le norme di legge, anche con il codice civile e, più in generale, con la fiducia e la correttezza che debbono connotare qualsiasi rapporto contrattuale, anche e soprattutto di lavoro.

La recente pronuncia della Corte dei conti, analizzata di seguito, offre importanti indicazioni pratiche sul corretto modo di intendere il rapporto di lavoro e i diritti e i doveri contrattuali, trattando della aspettativa per realizzare una diversa attività lavorativa.

Ricordiamo che, a norma dell’art. 18, comma 3 del CCNL Scuola, nell’ambito del più generale diritto alla aspettativa: «Il dipendente è inoltre collocato in aspettativa, a domanda, senza assegni per realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per superare un periodo di prova».

Anche il legislatore è intervenuto sul punto con il c.d. Collegato lavoro, ovvero la Legge. 183/2010, che al comma 1 dell’art. 18 così prevede: «I dipendenti pubblici possono essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell’anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali. L’aspettativa è concessa dall’amministrazione, tenuto conto delle esigenze organizzative, previo esame della documentazione prodotta dall’interessato».

Il fatto

La Corte dei conti sezione regionale di controllo per il Piemonte, con deliberazione n. 32 del 2017, interviene su coinvolgimento della Ragioneria Territoriale dello Stato di Torino, che si era espressa in senso ostativo al visto alla concessione, da parte di un Dirigente scolastico nei confronti di una docente, dell’aspettativa per svolgere diversa attività lavorativa. Il coinvolgimento della Corte avveniva dopo che la Ragioneria Generale aveva già contestato la concessione, sull’assunto che la docente già svolgeva il medesimo lavoro nella stessa struttura presso cui, successivamente, riprendeva l’attività.

Dalla ricostruzione istruttoria si evince che effettivamente la docente cessa il proprio lavoro presso la struttura precedente esattamente il giorno prima della presa in servizio (posticipata all’assunzione risalente a qualche mese prima), presso l’amministrazione scolastica, e che, contestualmente, richiede aspettativa per svolgimento di altra attività, con decorrenza di appena qualche giorno successiva, ma con stipulazione anteriore alla concessione dell’aspettativa. Dalle prime comunicazioni istituzionali rese dalla struttura privata ai fini dell’assunzione, si evince poi che la mansione della docente era la stessa svolta in precedenza; solo successivamente ai rilievi della Ragioneria, viene presentato dalla docente stessa un certificato attestante un cambio di mansione tra il vecchio e il nuovo contratto di lavoro.

La ricostruzione mostra un quadro abbastanza palese di continuità tra il precedente lavoro e il successivo, e porta la Corte ad una pronuncia di ricusazione del visto e della concessione dell’aspettativa, per i motivi di seguito esposti.

Le motivazioni

La Corte dei conti osserva, anzitutto, che la richiesta della docente si pone in contrasto con il dettato del’art. 18 CCNL sopra visto, rammentando anche precedenti pronunce per cui «il concetto di “diversa esperienza lavorativa” impone che la stessa si manifesti, non solo come diversa da quella di docente scolastico (il che è ovvio), ma anche come diversa da quella precedentemente svolta. Diversamente opinando, infatti, non si comprende quale potrebbe essere il vantaggio dell’istituzione scolastica (a fronte dell’evidente disservizio di perdere un docente proprio all’inizio dell’anno scolastico), né l’interesse del lavoratore (se non quello, certamente non accettabile nella logica del sistema, di rifiutare una sede indesiderata e sperare, l’anno successivo, di ottenere una sede migliore). Tale interpretazione (letteralmente corretta atteso che “realizzare” significa creare una cosa nuova e, unito al predicato “diversa”, non può che significare la realizzazione di un’esperienza prima non posseduta), appare l’unica coerente con la ratio della norma contrattuale, idonea a contemperare le esigenze di entrambe le parti».

Per la Corte quindi, ed è questo lo spunto di vero interesse “pratico” per le amministrazioni scolastiche, il datore di lavoro dovrebbe accertare che l’attività lavorativa per cui si richiede l’aspettativa non sia la mera continuazione di quella svolta in precedenza, al fine di evitare che, in realtà, l’attività lavorativa pregressa prosegua senza soluzione di continuità, peraltro con lo stesso datore di lavoro, e corrisponda alla stessa attività, ovvero consista nella medesima attività di cui si chiede la “sospensione”; tutto questo per ottemperare al dettato contrattuale, ma anche normativo, configurandosi, altrimenti, una sorta di simulazione, ovvero una fruizione di un diritto per ottenere un risultato artificiosamente (evitare un trasferimento indesiderato).

Un ulteriore punto di contrasto viene dalla Corte evidenziato in riferimento al dovere di esclusiva previsto dalle norme che regolano le incompatibilità dei pubblici dipendenti, ovvero l’art. 53 D.Lgs. 165/2001, l’art. 60 D.P.R. 3/1957 e l’art. 297 D.Lgs. 297/1994.

Per inciso, le norme che regolano l’incompatibilità sono solo un corollario diretto del dovere di esclusività, che è dettato dall’art. 98 della Costituzione, per cui «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».

Tale contrasto non deriva dallo svolgimento di altro lavoro durante il periodo di aspettativa (come visto, ipotesi consentita dal CCNL Scuola e dalla Legge 183/2010), ma dalla tempistica delle comunicazioni e della stipulazione del contratto di lavoro; la docente infatti avrebbe sottoscritto il nuovo contratto di lavoro (in realtà mera prosecuzione del precedente), prima ancora di ottenere l’aspettativa. Per la Corte «il precedente rapporto di lavoro, infatti, viene fittiziamente interrotto solo per la presa di servizio presso l’istituto [...] ma in realtà, ciò è di tutta evidenza, le parti private avevano dall’inizio concordato l’immediata ripresa, così di fatto simulando l’interruzione del rapporto di lavoro [...]».

In conclusione, la Corte giunge ad acclarare l’illegittimità del decreto di concessione dell’aspettativa, poiché fondato su presupposti illegittimi, ricusando visto e registrazione del decreto di concessione dell’aspettativa a firma del Dirigente scolastico.

Conclusioni

Dalla ricostruzione esposta emergono due elementi di importanza pratica per il datore di lavoro pubblico. Anzitutto, viene in evidenza che l’aspettativa non è concessione da riconoscere sulla base di mera richiesta del lavoratore, ma soggetta a valutazione attenta in ordine alle motivazioni rese e alle finalità per cui il beneficio si richiede.

Secondariamente, è obbligo delle amministrazione sottoporre ad opportuni controlli la veridicità delle dichiarazioni rese in sede di richiesta. Non si tratta di trasformarsi in investigatori, esorbitando dalla proprie competenze, ma di adottare le misure richieste dalle norme che regolano, in primo luogo, l’autocertificazione: rammentiamo che, a norma dell’art. 71 del D.P.R. 445/2000, primo comma, «Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47».

I fondati dubbi, nel caso di specie, ben potevano emergere dalla singolarità di tempi e modalità di richiesta dell’aspettativa.

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