Sinergie di Scuola

La sentenza di cui trattiamo in questo numero, Tribunale di Potenza n. 380 del 12/04/2021, fornisce l’occasione per fare il punto sul risarcimento dei danni, patrimoniali e non, che possono essere chiesti dal danneggiato che abbia subito un reato.

Innanzi tutto i fatti.

Un alunno di scuola elementare, dell’età di 10 anni, è stato vittima di un’aggressione da parte di un compagno, frequentante un’altra classe, all’interno dei bagni della scuola durante l’ora di ricreazione.

Al momento del fatto non era presente né il personale docente, né il personale ausiliario non docente; dell’episodio si è venuti a conoscenza solo dopo 45 minuti circa, allorquando l’insegnante, avvisata da altri bambini che l’aggredito era in bagno e perdeva sangue perché si era scontrato con un altro studente, riportava il minore nella sua classe.

Nessuno ha avvisato nell’immediatezza i genitori della vittima, nonostante presentasse visibili lesioni al viso; il bambino è comunque tornato a frequentare la scuola dopo alcuni giorni dall’aggressione.

Il Ministero dell’Istruzione, senza difendersi nel merito, ha unicamente contestato il difetto di legittimazione passiva (cioè non era il dicastero l’ente amministrativo che poteva essere chiamato innanzi al giudice), sostenendo che, conformemente ad una opinabile interpretazione del D.P.R. 275/1999, si sarebbe dovuto addossare la responsabilità dell’accaduto all’Istituto scolastico oppure, a norma dell’art. 2047 c.c., ai genitori dell’allievo autore dell’aggressione per carente educazione del proprio figlio, convocando davanti al tribunale unicamente questi due soggetti.

Questa tesi ministeriale, però, è stata giudicata palesemente infondata, poiché, per giurisprudenza unanime e consolidata, nell’ambito dell’amministrazione statale scolastica, legittimato passivo per le azioni di responsabilità derivanti da condotte di alunni e insegnanti poste in essere durante l’orario scolastico è unicamente il Ministero, e non i singoli Istituti.

Ciò perché questi ultimi, sottolinea il tribunale, «pur avendo autonoma personalità giuridica, restano organi della suddetta amministrazione, e l’autonomia gestionale e amministrativa di cui dispongono non impedisce di riferire a questa, nel suo complesso, e dunque al MIUR, gli effetti dei loro atti. Dette amministrazioni scolastiche agiscono in veste di organi statali e non di soggetti distinti dallo Stato onde, essendo riferibili direttamente al Ministero gli atti posti in essere dal personale (docente e non docente), nelle controversie relative agli illeciti ascrivibili a culpa in vigilando dello stesso, legittimato passivo è il Ministero e non l’Istituto. Ciò, in quanto il D.P.R. 275/1999 ha conferito loro autonomia gestionale e amministrativa, ma non li ha privati della qualità di organi dello Stato» (cfr. Cass. SS.UU. 9346/2002; Cass. 19158/2012; 6372/2011; 27246/2008; 10042/2006; 2839/2005).

Chi sono i responsabili?

Come ho più volte avuto occasione di scrivere su questa rivista, in caso di alunni che recano danno ad altri compagni di classe, si deve applicare senz’altro l’art. 2048, comma 2 del Codice civile che recita: «I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto».

Siamo di fronte ad un caso di responsabilità presuntiva e oggettiva, con la conseguenza che incombe sull’amministrazione scolastica, come conseguenza del comportamento negligente dell’insegnante poco attento a svolgere il suo compito di vigilanza, rispondere del fatto illecito commesso dagli allievi minori verso altri allievi.

Di tale responsabilità l’amministrazione si libera, ex art. 2048, comma 3 del Codice civile «soltanto se prova di non aver potuto impedire il fatto» (c.d. responsabilità aggravata).

In buona sostanza, è a carico della scuola la prova dell’inevitabilità del danno, verificato nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee a evitare il fatto, da allegare e provare in relazione al caso concreto (cfr. Cass., Sez. III, ordinanza 12/05/2020, n. 8811; Cass. 10/04/2019, n. 9983; Cass., 8/04/2016, n. 6444; Cass., 14/10/2003, n. 15321).

Più precisamente, l’ammissione dell’allievo a scuola determina l’instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge, a carico dell’Istituto, l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni e, quindi, di predisporre gli accorgimenti necessari affinché non venga arrecato danno agli alunni in relazione alle circostanze del caso concreto.

Applicando i suddetti principi al caso di specie, è di tutta evidenza che la responsabilità debba essere ascritta esclusivamente a colpa della scuola e degli insegnanti che non hanno vigilato, in quanto non hanno fornito la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che è stata esercitata la sorveglianza sugli allievi con una diligenza idonea a impedire il fatto.

Ciò, nel caso concreto, è stato dimostrato dal fatto che nessuno dei preposti ha saputo riferire dell’accaduto. È pacifico, infatti, che l’alunno sia stato autorizzato a recarsi da solo nei bagni dell’Istituto senza che l’insegnante provvedesse ad accompagnarlo o si premurasse di verificare che il minore entrava nella sfera di vigilanza di altri preposti (bidelli o altro insegnante).

Il danno biologico

Tornando al caso trattato, non essendo stata fornita prova contraria, il giudice ha ritenuto che il comportamento omissivo degli insegnanti abbia occasionato al minore danni patrimoniali e non patrimoniali, che sono stati liquidati come vedremo subito.

Relativamente al danno patrimoniale, in seguito ad apposita perizia del consulente tecnico, è stato stimato un danno per un importo pari a 4.400 euro, per spese odontoiatriche che il minore ha sostenuto e dovrà sostenere per le terapie e cure occasionati dalla lesione degli incisivi inferiori.

Circa il danno non patrimoniale, è interessante analizzare come il giudice potentino lo abbia determinato. Per la liquidazione ha fatto riferimento ai criteri di risarcibilità contenuti nell’ordinanza della Cass., Sez. III, 27/03/2018, n. 7513, la quale prende in considerazione, come voci del danno non patrimoniale, il danno biologico e il danno morale.

Prima di tutto, però, occorre evidenziare che il danno biologico è quella lesione che colpisce l’integrità psico-fisica della persona, andando a diminuirla e ad incidere sulla capacità del danneggiato di continuare le proprie normali attività quotidiane.

Il calcolo del danno biologico prende in considerazione diversi parametri:

  1. l’invalidità temporanea, ovvero tutti quei giorni che intercorrono tra l’incidente e il completo ristabilimento del danneggiato o il momento in cui si evinca che qualsiasi cura o terapia non migliorerebbe la situazione;
  2. l’invalidità permanente, quando le conseguenze del sinistro non sono eliminabili con cure o terapie. Il senso è qui più ampio di quello comune, nella misura in cui anche una frattura, anche se l’arto in questione tornerà ad essere utilizzato, segnerà sempre la persona;
  3. il danno tanatologico, che è il danno causato a terzi da morte altrui e si applica alle persone legate in via ereditaria alla persona morta, se il decesso che ha causato il danno è dovuto ad un fatto o ad una condotta illeciti. Se riconosciuto, il danno tanatologico è risarcito come danno biologico agli eredi del defunto.

L’invalidità temporanea o permanente che sia, deve essere accertata in seguito a visite e perizie medico legali, cui il danneggiato deve sottoporsi.

Il medico, effettuata la visita, attribuisce un valore, espresso in percentuale, ai postumi permanenti al soggetto. Secondo una tabella unica, valida sul territorio nazionale, ad ogni punto percentuale viene attribuito un valore economico.

Per fare un esempio concreto, alla famiglia del bambino aggredito in bagno è stata liquidata, tra l’altro, la somma di 1.198,76 euro per danno biologico, calcolata moltiplicando la percentuale di invalidità permanente del minorenne, ritenuta essere dalla perizia (1%), per 1.198,76 (valori stabiliti in una tabella predisposta dal Tribunale di Milano e applicata in tutta la nazione).

Tale somma sarebbe stata anche più cospicua se il tribunale avesse ritenuto che, nel caso di specie, occorrevano specifiche condizioni eccezionali ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione (c.d. personalizzazione del danno).

Non possono essere considerate circostanze eccezionali e peculiari, tali da aumentare il risarcimento, né l’impossibilità per la vittima a cimentarsi in attività fisiche, né la lesione alla capacità lavorativa generica, che è già ricompresa nell’ambito delle conseguenze ordinarie del danno biologico.

Potrebbe esserlo, per un pianista, la frattura di un dito della mano, tale da causare una invalidità permanente, poiché subirebbe un pregiudizio ulteriore rispetto a quello subito dalla persona comune.

Nel caso in cui la perdita della capacità di svolgere quella attività riguardi tutti coloro i quali abbiano subito una menomazione identica a quella del danneggiato che chiede il risarcimento, il danno sarà integralmente risarcito come danno biologico, secondo i criteri di cui alle tabelle legali o giurisprudenziali; nel caso in cui, invece, la incapacità di continuare a svolgere quella attività di vita o relazionale riguardi soltanto il danneggiato che chiede il risarcimento, il danno biologico dovrà essere aumentato attraverso la sua personalizzazione (tra le tante, si veda Cass., Sez. III, 11/11/2019, n. 28988).

Il danno morale

Il Tribunale di Potenza ha riconosciuto anche il risarcimento del danno morale.

Questo ultimo, come più volte precisato dalla Corte di Cassazione, è autonomo e non compreso nel danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, quindi meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della “personalizzazione”, e detta le regole precise per la sua liquidazione (ex multis, Cass. 7024/2020, 25164/2020, 910/2018, 7513/2018).

Come ricorda il giudice, l’autonomia del danno morale è da leggersi nella più grande fenomenologia del danno non patrimoniale al bene salute. La sofferenza conseguente alla lesione del bene salute, infatti, può essere declinata in due differenti contenuti: quella “fisica e della vita di relazione” e quella “interiore” intesa come dolore, la vergogna, la paura, la disistima, la disperazione. Trattasi, in altre parole, di un disagio psicologico che non si traduce quindi nella compromissione delle “attività quotidiane” e degli “aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”, ma comporta comunque intense reazioni emotive e comportamentali del soggetto, e rilevanti strategie di adattamento.

Tuttavia, come per la personalizzazione del danno biologico, il danno morale necessita di prova.

Il Tribunale ha tenuto conto, nel determinare la somma da risarcire, che il minore era stato per ben 45 minuti circa da solo senza far rientro in classe: ciò è indice di quel turbamento d’animo, del dolore interiore, della vergogna di farsi vedere dall’insegnante e dai compagni di classe nella particolare condizione di “sconfitto e umiliato” dalla disputa avuta con altro coetaneo.

Allo stesso modo non è stata sottovalutata la circostanza che l’aggredito abbia ripreso la frequentazione dell’Istituto scolastico dopo diversi giorni. Tale circostanza, accompagnata dalla verosimile intenzione di voler cambiare definitivamente scuola, depone per la sussistenza di quel disagio e disistima che ha accompagnato il minore nei giorni immediatamente successivi all’aggressione.

Non meno influente, ai fini della verifica della sussistenza dei criteri presuntivi, è stata la circostanza che il minore al momento dell’accaduto, era nel pieno della età evolutiva (10 anni, ricordiamo), in cui i rapporti sociali nell’ambiente che si frequenta assumono particolare rilevanza. L’età (pre)adolescenziale è connotata da peculiare fragilità soprattutto nell’ambiente scolastico e nei rapporti esterni di frequentazione tra coetanei, in quanto proprio in quella fase evolutiva i bambini tendono caratterialmente a “prevalere sull’altro”, sino ad instaurare una sorta di competizione caratteriale e fisica tra i consociati che talvolta sfocia in fenomeni di bullismo.

Il danno è stato liquidato applicando una maggiorazione del 25% sul valore-punto del danno biologico (il 25% di 1.198,76 euro è pari a 299,69 euro).

Sanzionato anche il Ministero

Un ultimo aspetto merita la nostra attenzione: il Ministero dell’Istruzione è stato sanzionato al pagamento dell’ulteriore somma di € 1.000,00 a favore del danneggiato per avere resistito in giudizio pur essendo consapevole della infondatezza delle proprie pretese, con pregiudizio sia per la controparte che per il buon andamento della giustizia.

La difesa del M.I., infatti, si è manifestata unicamente evidenziando il proprio difetto di legittimazione passiva, senza scendere nel merito della questione; l’eccezione è stata ritenuta del tutto dilatoria, superata da decenni di univoca giurisprudenza contraria alla tesi sostenuta dal ministero, e da questi ben nota per la serialità ultradecennale delle questioni trattate.

Non vi è stata alcuna richiesta di mezzi istruttori (neanche di essere abilitato a prova contraria), nessun accenno al merito della controversia, né, infine, alla possibilità di formulare una offerta transattiva, anche minima, tenuto conto delle incontestabili evidenze probatorie.

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