Sinergie di Scuola

La sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 280 del 24/01/2017 che commentiamo si inserisce nel filone giurisprudenziale che, da un decennio, ritiene illegittima la discriminazione retributiva tra docenti di ruolo e precari, beneficiando soltanto i primi degli incrementi stipendiali, legati all’anzianità di lavoro, previsti dalla contrattazione collettiva e violando, in tal modo, la clausola n. 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18/03/1999, recepito nella Direttiva 1999/70/CE.

Tale clausola sancisce che «per quanto riguarda le condizioni di impiego, lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».

Inoltre, al punto n. 4, si aggiunge che «i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro, dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive».

La Corte d’Appello romana richiama sul tema le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea, la prima delle quali risale al luglio del 2006, attraverso la quale la Corte europea ha statuito che il predetto Accordo quadro (e la relativa Direttiva 1999/70/CE) si applica anche al pubblico impiego, cioè «ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le Amministrazioni e con altri enti del settore pubblico» (sentenza 4/07/2006, C-212/04, Adeneler e altre).

Aumenti di stipendio e scatti di anzianità

Ma gli incrementi stipendiali legati agli scatti di anzianità sono da considerarsi “condizioni di impiego” ai sensi della clausola n. 4 dell’Accordo quadro?

È sempre la Corte di giustizia UE a dare una chiara risposta a questa domanda.

Affrontando lo specifico argomento della spettanza degli scatti di anzianità al personale assunto a termine dalle pubbliche amministrazioni, di ruolo o non di ruolo, i giudici della Corte di giustizia hanno affermato: «la mera circostanza che un impiego sia qualificato come “di ruolo” in base all’ordinamento interno e presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego dello Stato membro interessato, è priva di rilevanza sotto questo aspetto, a pena di rimettere seriamente in questione l’efficacia pratica della direttiva 1999/70 e quella dell’Accordo quadro, nonché la loro applicazione uniforme negli Stati membri, riservando a questi ultimi la possibilità di escludere, a loro discrezione, talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta da tali strumenti comunitari». In altre parole: se ciascuno Stato potesse applicare o disapplicare, a propria discrezione, la tutela (antidiscriminatoria) prevista dalle norme della Comunità europea, per il sol fatto che un dipendente pubblico sia o non sia di ruolo, verrebbe meno la certezza del diritto all’interno dell’Unione europea stessa.

La nozione di “condizioni di impiego”, spiega la Corte di giustizia UE, deve essere interpretata nel senso che essa può servire da fondamento ad una pretesa che «mira ad attribuire ad un lavoratore a tempo determinato scatti di anzianità che l’ordinamento interno riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato».

Questa pretesa non può essere ignorata dallo Stato membro facendo valere generiche “ragioni oggettive” che, secondo la clausola n. 4 dell’Accordo quadro, possono giustificare la deroga al principio di non discriminazione in materia di periodi di anzianità.

Se manca la ragione oggettiva

Interpretando correttamente la formula “ragioni oggettive”, si deve intendere che la differenza di trattamento tra lavoratori precari e di ruolo non può essere giustificata per il sol fatto di essere enunciata genericamente e astrattamente in una legge o in un contratto collettivo, bensì deve essere fondata su elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego (nel nostro caso presso il MIUR), oltre che oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità.

La sintesi del ragionamento svolto sin qui è condensato nelle motivazioni della sentenza 22/12/2010 con la quale la Corte di giustizia UE ha affermato che «un’indennità per anzianità di servizio [...] rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell’Accordo quadro, in quanto costituisce una condizione d’impiego, per cui i lavoratori a tempo determinato possono opporsi ad un trattamento che, relativamente al versamento di tale indennità, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sia meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. Il carattere temporaneo del rapporto di lavoro di taluni dipendenti pubblici non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva ai sensi di tale clausola dell’accordo quadro».

In poche parole, deve escludersi che possa configurare una ragione oggettiva il puro richiamo alla natura temporanea del rapporto, in quanto ciò svuoterebbe di contenuti gli obiettivi della Direttiva 1999/70/CE e dell’Accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (così Corte di giustizia UE, ordinanza 7/03/2013, C-393/11).

Interessante è anche la sentenza della Corte di giustizia UE del 18/10/2012 (nella causa C-302/11, Valenza), pronunciata in riferimento alle procedure di stabilizzazione di lavoratori pubblici precari, nella quale i giudici hanno sostenuto che, se nell’ambito di un processo fosse dimostrato che le funzioni svolte dai lavoratori pubblici, in veste di dipendenti di ruolo, sono identiche a quelle che essi esercitavano in precedenza nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, e se fosse vero che la normativa nazionale dello Stato italiano (come spesso sostenuto da questo ultimo) mira a valorizzare l’esperienza acquisita dai dipendenti con contratto a termine, simili elementi potrebbero suggerire che la mancata presa in considerazione dei periodi di servizio compiuti dai lavoratori a tempo determinato è in realtà giustificata soltanto dalla durata dei loro contratti di lavoro e, di conseguenza, che la diversità di trattamento non è basata su giustificazioni che possano essere qualificate come “ragioni oggettive” ai sensi della clausola 4 dell’Accordo quadro.

La sentenza della Corte di Appello di Roma

Tutte queste sentenze sono state richiamate dalla Corte di Appello di Roma proprio perché essa si è dovuta occupare di una precaria della scuola, ripetutamente assunta a tempo determinato (sia attraverso supplenze annuali sia al temine delle attività didattiche) per ben undici anni, dal 1996 al 2006. All’insegnante era stata applicato dal MIUR la disciplina dettata dai vari contratti collettivi del comparto scuola succedutisi nel tempo, fondata sul principio prima sancito dal D.Lgs. 297/1994 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione), poi ribadito a partire dall’art. 53 del CCNL 1994-1998, secondo cui al personale docente non di ruolo spetta il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale di ruolo, senza alcun riconoscimento dell’anzianità di servizio (solo una volta ottenuto il ruolo, l’insegnante ha diritto, secondo l’art. 485 del D.Lgs. 297/1994, a che gli sia riconosciuto il servizio prestato presso le scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo).

Gli stessi contratti collettivi, invece, prevedono per il personale assunto a tempo indeterminato un trattamento economico differenziato per posizioni stipendiali, e stabiliscono che il passaggio tra una posizione e l’altra avvenga al compimento di predeterminate anzianità di servizio.

La Corte d’Appello evidenzia che ciò costituisce una palese discriminazione sotto il profilo retributivo, per le ragioni sin qui esposte in merito alla normativa europea, che sarebbe giustificabile solo ove fosse dimostrata l’esistenza di “ragioni oggettive” valide.

La Corte romana ha ritenuto che non possano costituire dirimenti ragioni oggettive la “novità” di ogni singolo rapporto di lavoro precario rispetto al precedente, la necessità di garantire il servizio scolastico, l’imprevedibilità delle esigenze sostitutive, poiché esse non hanno alcuna correlazione logica con la negazione della progressione retributiva in funzione dell’anzianità di servizio maturata, che risponde, in realtà, solamente ad una finalità di risparmio di spesa pubblica, non contemplata, ovviamente, nella clausola n. 4 dell’Accordo quadro più volte citato.

Non può trovare accoglimento, inoltre, la tesi che ravvisa le predette ragioni oggettive nella diversità di selezione del personale assunto a tempo determinato rispetto a quello di ruolo, sia perché questa è stata respinta dalla stessa Corte di giustizia UE, sia perché il sistema di reclutamento, fondato sulla utilizzazione per entrambe le tipologie di contratto delle graduatorie permanenti, trasformate in graduatorie ad esaurimento, esclude in radice che possa essere ravvisata quella maggiore “qualificazione” del personale di ruolo, solo indice idoneo, secondo la giurisprudenza europea, a giustificare la diversità di trattamento.

È interessante, infine, notare come la Corte d’Appello romana respinga la difesa del MIUR che ha tentato di giustificare la discriminazione legata all’aumento retributivo negato ai precari sostenendo che, al momento della definitiva assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di servizio pregresso venga riconosciuto ai fini dell’anzianità di servizio.

Giustamente i giudici di secondo grado hanno evidenziato che «La trasformazione del rapporto, infatti, oltre ad essere solo eventuale, non è idonea a compensare la diversità di trattamento economico riferibile al periodo antecedente, giacché il riconoscimento dell’anzianità pre-ruolo ai fini dell’aumento retributivo opera solo dopo l’immissione definitiva nell’organico, e non comporta aclun recupero delle differenze retributive pregresse.

Al contrario, il riconoscimento dell’anzianità di servizio, in caso di definita assunzione con contratto a tempo indeterminato, finisce per confermare la insussistenza di ragioni oggettive idonee a giustificare la diversità di trattamento retributivo, giacché proprio detto riconoscimento muove dal presupposto della sostanziale identità delle mansioni svolte nelle due diverse fasi del rapporto».

Questa ultima difesa del datore di lavoro pubblico si è rivelata, in definitiva, un boomerang, poiché non ha fatto altro che dimostrare come a due mansioni sostanzialmente identiche svolte dallo stesso lavoratore in momenti diversi del rapporto di lavoro, non possa che corrispondere un medesimo trattamento.

I provvedimenti del giudice

È giurisprudenza consolidata che, in caso di contrasto tra le previsioni del diritto dell’Unione europea e le regole dettata dalla disciplina normativa interna, inerenti, nel nostro caso, il settore della scuola, il giudice nazionale debba applicare le prime e disapplicare le norme dello Stato italiano con esse confliggenti.

La Corte d’Appello ha quindi riconosciuto il diritto dell’insegnante, a far tempo dall’entrata in vigore della Direttiva europea 1999/70/CE (cioè dal 10/07/2001), alla progressione professionale retributiva riconosciuta dalla contrattazione collettiva al personale di ruolo, condannando il MIUR al pagamento delle relative differenze retributive (oltre agli interessi).

Una recente sentenza della Cassazione

A chiusura dell’articolo, ricordiamo la recente pronuncia di Cass. 7/11/2016, n. 22558 che, pur riconoscendo ad un docente precario «la medesima progressione stipendiale spettante ai docenti di ruolo», non ha accolto la sua domanda nella parte in cui chiedeva che tale progressione fosse attribuita «in misura non inferiore a quanto previsto dall’art. 53, comma 5, della legge n. 312/80».

Mentre la parificazione al personale assunto a tempo indeterminato si basa sulla operatività del principio di non discriminazione, afferma la Cassazione, non altrettanto può dirsi con riferimento alla invocata attribuzione degli scatti biennali riconosciuti dalla Legge 312/1980, posto che questi ultimi, a far tempo dalla contrattualizzazione dell’impiego pubblico, non hanno più fatto parte della retribuzione del personale di ruolo della scuola, docente, tecnico e amministrativo.

La Cassazione ha stabilito che «La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla Direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato. L’art. 53 della legge n. 312 dell’11/07/1980, che prevedeva scatti biennali di anzianità per il personale non di ruolo, non è applicabile ai contratti a tempo determinato del personale del comparto scuola ed è stato richiamato, ex artt. 69, comma 1, e 71 D.Lgs. 165 del 2001, dal CCNL 4/08/1995 e dai contratti successivi, per affermarne la perdurante vigenza limitatamente ai soli insegnanti di religione».

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