Sinergie di Scuola

Il periodo di comporto è il periodo di assenza per malattia durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro.

Tale periodo, ai sensi dell’art.17, comma 1, CCNL Scuola 29/11/2007, è di 18 mesi.

Inoltre, in casi particolarmente gravi, al lavoratore che ne faccia richiesta, è concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi senza diritto ad alcun trattamento retributivo.

Prima di concedere l’ulteriore periodo di assenza non retribuita, l’Amministrazione procede all’accertamento delle reali condizioni di salute del dipendente tramite la ASL, con lo scopo di verificare la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità a svolgere qualsiasi proficuo lavoro.

I CCNL pubblici prevedono che, in caso di patologie gravi che richiedano terapie salvavita e altre assimilabili (ad esempio l’emodialisi, la chemioterapia, il trattamento riabilitativo per soggetti affetti da AIDS), sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital e i giorni di assenza dovuti alle citate terapie, debitamente certificati dalla competente Azienda sanitaria locale o struttura convenzionata.

La disciplina più favorevole, ovvero quella dell’esclusione dal computo del periodo di comporto di particolari assenze come quelle sopra descritte, trova applicazione solo nell’ipotesi in cui si realizzino entrambi i requisiti richiesti dal disposto contrattuale: la grave patologia e il contestuale ricorso alle terapie salvavita.

L’esclusione dal computo del periodo di comporto determina il conseguente diritto a percepire l’intera retribuzione, anche nel caso in cui il soggetto si trovi già nel periodo di malattia con retribuzione al 50%.

Quindi, o si tratta di assenze riconducibili ad effettiva sottoposizione alle terapie salvavita oppure tali giorni di assenza non possono uscire dal computo del periodo di comporto. I giorni di convalescenza post ospedaliera, conseguenti alle terapie salvavita, così come i giorni ritenuti consequenziali alle stesse terapie (come, ad esempio, le assenze per visite di controllo) non possono vedersi applicata l’esclusione dal computo.

È il lavoratore a dover esibire la specifica documentazione idonea a giustificare il tipo di assenza ossia per dimostrare che la stessa possa essere riconducibile a terapia salvavita. È, quindi, nel suo interesse accertarsi che la certificazione medica fornisca le informazioni di dettaglio dei giorni effettivi di svolgimento della terapia, assolutamente necessarie per la corretta applicazione della speciale disciplina contrattuale.

Da parte sua, l’amministrazione non può ricondurre le assenze a terapie salvavita se non esplicitato nel certificato stesso.

Conteggio delle assenze per malattia

Ai sensi dell’art. 17, comma 1, CCNL 29/11/2007 «il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo si sommano, alle assenze dovute all’ultimo episodio morboso, le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente».

Il sistema di computo delle assenze per malattia, pertanto, sia con riferimento alla verifica del rispetto del periodo massimo di conservazione del posto che della determinazione del trattamento economico da corrispondere al dipendente in occasione di ogni periodo morboso, ha carattere dinamico.

Mano a mano che trascorre il tempo e si passa da un anno all’altro, in base al meccanismo dello scorrimento annuale, in occasione di ogni ulteriore episodio morboso, sarà necessario procedere alla sommatoria di tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo in atto.

Così di volta in volta, in base alle risultanze derivanti dalla somma dei giorni di assenza dell’ultima malattia con quelle intervenute allo stesso titolo nei tre anni immediatamente precedenti, il datore di lavoro pubblico verifica il rispetto del periodo massimo di conservazione del posto in caso di malattia del dipendente, ai sensi dell’art. 17, comma 1, CCNL 29/11/2007, ed eventualmente del comma 2, e determina il trattamento economico da corrispondere allo stesso, ai sensi dell’art. 17, comma 8 (100% della retribuzione per i primi 9 mesi di assenza, 90% per i successivi 3 mesi, 50% per gli ulteriori 6 mesi).

Dato il carattere dinamico del sistema, la circostanza che in un dato momento il dipendente si trovi, in base alle assenze effettuate, nel periodo per il quale viene corrisposta una retribuzione pari al 90% dello stipendio, non vuol dire che necessariamente da quel momento le ulteriori assenze potranno essere remunerate solo in tale misura oppure in quella più bassa pari al 50% della retribuzione, ma sarà sempre necessario procedere, di volta in volta, al calcolo come sopra indicato.

In tal modo potrebbe accadere che, decorso un significativo arco temporale dalle precedenti assenze per malattia, scorrendo in avanti il triennio di riferimento (con la conseguente possibile esclusione dal computo dei precedenti periodi di assenza per malattia più remoti nel tempo), sommando l’ultimo periodo di malattia a quelli ricompresi nei tre anni immediatamente antecedenti lo stesso, il numero dei giorni risultanti da tale calcolo consente di collocare di nuovo il dipendente nella prima fascia retributiva, e cioè assenze retribuite al 100%.

Facciamo un esempio: se un dipendente si assenta per malattia dal 20/03/2017 al 28/03/2017, si deve partire a calcolare a ritroso il triennio dal 19 marzo (e sommare alle assenze comprese nel triennio quelle verificatesi dal 20 al 28 marzo 2017).

In sintesi, per constatare se è stato superato il periodo di comporto e stabilire la percentuale di retribuzione da corrispondere al dipendente è necessario:

  1. determinare il triennio precedente l’ultimo episodio morboso, nel caso prospettato, il giorno precedente l’inizio della malattia in atto (19/03/2017) e andare a ritroso di tre anni;
  2. sommare le assenze per malattia intervenute nel triennio;
  3. sommare alle assenze per malattia effettuate nel triennio precedente di cui al punto 2, quelle del nuovo episodio morboso (dal 20 al 28 marzo 2017).

Come considerate i sabati e le domeniche

Sulla questione era già intervenuta la Ragioneria Generale dello Stato – IGOP prot. n. 126427 del 16/01/2009, con un parere richiesto dal Dipartimento della Funzione Pubblica sull’art. 71 del D.L. n. 112/2008, con il quale ha chiarito che «con riferimento all’individuazione della retribuzione giornaliera il relativo computo va effettuato in trentesimi dal momento che, secondo il consolidato orientamento in materia di servizio, le giornate di sabato e domenica intercorrenti tra due periodi di assenza malattia vengono anch’esse considerate assenze per malattia e assoggettate alla decurtazione del trattamento economico accessorio».

Nel caso in cui il sabato, previsto come giornata libera, sia compreso tra due periodi di assenza per malattia, si ritiene che lo stesso, qualora il docente non abbia ripreso servizio, rientri nel periodo di assenza suddetta.

Recentemente la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, n. 24027/2016, ha correttamente applicato il principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza e ribadito anche dall’ARAN, che è necessario tener conto, ai fini del calcolo del comporto, dei giorni non lavorativi cadenti nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell’episodio morboso (Cass. 24/09/2014, n. 20106; Cass. 15/12/2008, n. 29317; Cass. 23/06/2006, n. 14633; Cass. 10/11/2001, n. 21385).

Detta presunzione di continuità opera sia per le festività e i giorni non lavorativi che cadano nel periodo della certificazione, sia nella diversa ipotesi, sottoposta al giudizio della Corte, di certificati in sequenza di cui il primo attesti la malattia sino all’ultimo giorno lavorativo che precede il riposo domenicale (ossia fino al venerdì) e il secondo la certifichi a partire dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica (ovvero dal lunedì).

La Corte ha richiamato il principio che «la prova idonea a smentire la suddetta presunzione di continuità può essere costituita soltanto dalla dimostrazione dell’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa, atteso che solo il ritorno in servizio rileva come causa di cessazione della sospensione del rapporto, con la conseguenza che i soli giorni che il lavoratore può legittimamente richiedere che non siano conteggiati nel periodo di comporto sono quelli successivi al suo rientro in servizio» (Cass. 10/11/2004, n. 21385 e Cass. 29/12/2008, n. 29317).

Con sentenza n. 7433/2016, la Corte di Cassazione ha affermato che se un lavoratore malato supera il periodo di comporto perché, pur chiedendo le ferie, queste non sono state concesse dal datore di lavoro (senza alcuna motivazione connessa ad esigenze organizzative), il successivo licenziamento va considerato come invalido.

Tale decisione si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale secondo il quale è possibile sostituire la malattia con la fruizione delle ferie maturate ma non ancora godute, con il fine esplicito di sospendere la decorrenza del periodo di comporto.

Lo stesso principio si applica anche nel caso in cui, prima dello scadere del periodo di comporto, il lavoratore chieda di usufruire dei permessi previsti dalla legge n. 104/1992.

Secondo Cassazione 17/02/2016, n. 3065, l’assenza dal lavoro imputabile a permesso ex Lege n. 104/1992 e non a malattia, non può considerarsi valida al fine del superamento del periodo massimo di comporto e, di conseguenza, è illegittimo il licenziamento giustificato dal superamento del limite massimo di assenze.

Inoltre, la fruizione dei permessi ex Lege n. 104/1992 non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia o aspettativa (non essendo questa una condizione prevista dalla legge), ma soltanto l’attualità del rapporto di lavoro.

Altre sentenze della Cassazione

Cassazione 15/12/2008, n. 29317

La Cassazione ha ribadito il proprio indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale non è necessario specificare i singoli giorni di assenza dal lavoro, essendo sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare il superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come la indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, in via giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato (il potere richiamato dalla Cassazione è quello della comminazione del licenziamento).

Cassazione 10/11/2004, n. 21385

La sentenza in esame è interessante anche per la circostanza che il lavoratore può evitare il licenziamento per superamento del periodo di comporto attraverso la richiesta di aspettativa, la quale, per produrre effetto sui termini del comporto, deve essere presentata all’azienda prima che questa comunichi il recesso.

La pronuncia esclude inoltre che, in assenza di un obbligo previsto dal contratto collettivo applicato, il datore di lavoro abbia l’onere di informare preventivamente il lavoratore dell’avvicinarsi della scadenza del comporto e della facoltà di fruire di un periodo di aspettativa non retribuita.

Cassazione 08/05/2003, n. 7047

Nell’ipotesi di licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto, non è inoperante il criterio della tempestività del recesso, ma, difettando gli estremi dell’urgenza che si impongono nell’ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo decorso fra la data di detto superamento e quella del licenziamento – al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto – va condotta con criteri di minor rigore, apprezzando l’intero contesto delle circostanze a tal fine significative, in modo tale che risultino contemperate le esigenze del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e quella del datore di lavoro di accertare e valutare la gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità o meno con la continuazione del rapporto.

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