Sinergie di Scuola

L’ordinanza pronunciata dalla Corte di Cassazione, Sezione III civile, il 2/12/2021, n. 38089, ha ad oggetto un infortunio occorso ad uno studente minorenne: il ragazzo, in stato di preoccupante alterazione, durante il tragitto dall’aula ai servizi igienici aveva avuto un capogiro e, nell’appoggiarsi alla ringhiera posta a protezione di un vano scala dell’edificio scolastico, era caduto nel vuoto, riportando gravi lesioni.

All’esito del contraddittorio instaurato tra i genitori dello studente (per chiedere i danni subiti dal figlio e per quelli riflessi patiti dagli stessi) e l’Istituto tecnico frequentato all’epoca dei fatti, oltre che contro il M.I. e il Comune (ora città metropolitana) tenuto alla manutenzione dell’edificio, il tribunale aveva rigettato la domanda, avendo ritenuto che l’evento fosse ascrivibile esclusivamente alla condotta imprevedibile del ragazzo, il quale, a causa di un malore, era uscito dall’aula velocemente, in un arco temporale «talmente limitato da non consentire l’intervento del docente».

Il giudice inoltre, aveva escluso che la caduta dello studente fosse da porre in relazione causale con la pericolosità della ringhiera, dal momento che questa, seppure di altezza di poco inferiore rispetto a quella prescritta, era stata comunque astrattamente in grado di assolvere la funzione di proteggere gli utenti dalla caduta nel vano scala.

La famiglia dell’infortunato non si era persa d’animo e, appellandosi al giudice di secondo grado, si era viste riconosciute le proprie richieste.

La Corte d’appello, infatti, aveva accolto le domande risarcitorie nei confronti del M.I. e della città metropolitana sede dell’Istituto, dichiarando, invece, d’ufficio l’estromissione della scuola dal giudizio in corso.

Responsabilità del Ministero

La responsabilità del M.I. è stata affermata seguendo questi passaggi argomentativi:

  • si è trattato di controversia concernente il risarcimento del danno da autolesione dell’alunno e, dunque, di responsabilità contrattuale, come disciplinata dall’art. 1218 c.c.;
  • i genitori dello studente avevano fornito la prova loro spettante, dimostrando che il danno si era verificato nell’arco di tempo in cui il minore era affidato alla scuola;
  • l’amministrazione scolastica, di contro, non aveva provato che sull’allievo fosse stata esercitata la sorveglianza con una diligenza idonea ad impedire il fatto e che, dunque, l’evento dannoso era stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante. Al contrario, era emerso che l’evento non poteva definirsi imprevedibile (avuto riguardo alle condizioni di evidente alterazione del giovane, che non consentivano di escludere un evento autolesivo, e considerata anche la notorietà dello stato di salute del minorenne, che nel corso degli anni era stato spesso soggetto a svenimenti). Il personale scolastico avrebbe avuto la possibilità di intervenire, considerando sia le modalità della condotta (il ragazzo era uscito dall’aula trascinando le gambe, passando tra la cattedra e la prima fila dei banchi e andando perfino a sbattere contro la porta), sia alla distanza che vi era tra l’aula e le scale;
  • la Città metropolitana, facendo montare una ringhiera di altezza inferiore a quella prescritta dalla normativa di riferimento (D.M. 14/06/1989 n. 236, applicabile alle scuole ai sensi del D.P.R. 24/07/1996, n. 503), aveva avuto un ruolo decisivo nella dinamica del sinistro, essendo ragionevole ritenere che una maggiore elevazione della ringhiera avrebbe svolto una efficace funzione di contenimento e protezione ed evitato al giovane di sbilanciarsi troppo in avanti, perdendo l’equilibrio e cadendo nel vuoto; né si poteva ritenere che l’atto di appoggiarsi alla ringhiera avesse costituito uso improprio o anomalo della stessa.

Il M.I., nelle sue argomentazioni difensive, aveva ribadito che il verificarsi dell’infortunio fosse esclusivamente attribuibile ad una condotta poco prudente dell’alunno, evidenziando che:

  • la responsabilità ex art. 1218 c.c. era pur sempre una responsabilità colposa e giammai poteva intendersi quale responsabilità oggettiva;
  • l’amministrazione aveva assolto l’onere della prova di aver tenuto un adempimento diligente nella sorveglianza dell’alunno, non potendo pertanto affermarsi, come invece avevano fatto i giudici dell’appello, che il danno fosse ascrivibile a responsabilità del personale scolastico;
  • il danno (autocagionato) appariva frutto di una mera casualità che si sarebbe potuta evitare solo se fosse stato precluso all’alunno di muoversi.

Giunti in Cassazione, questa ultima ha però respinto le tesi difensive del Ministero, chiarendo quali erano i presupposti per affermare la responsabilità contrattuale dell’Istituto scolastico e, di riflesso, dell’amministrazione stessa.

Responsabilità della scuola e del docente

Precisiamo subito che, come per altro già affermato precedentemente da Cass., Sez. III civile, 25/02/2016, n. 3695, in caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità dell’Istituto scolastico e dell’insegnante ha natura contrattuale (e ha ad oggetto l’obbligo dell’Istituto di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso), fondandosi, per quanto riguarda la scuola (e, quindi, il M.I.), sull’accoglimento della domanda di iscrizione, e, quanto al docente, sulla nascita di un rapporto giuridico con l’allievo per “contatto sociale” (ovverosia, da un rapporto che si instaura tra due soggetti in virtù non di un accordo tra di loro, bensì di un obbligo legale), sicché occorre applicare il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c., in virtù del quale il danneggiato deve provare esclusivamente che l’evento dannoso si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre la scuola ha l’onere di dimostrare che l’evento è stato determinato da causa non imputabile alla scuola né all’insegnante.

La colpa dell’amministrazione scolastica risiedeva, come specificato dai giudici di legittimità, nel non aver impedito che una causa, prevedibile ed evitabile – era prevedibile che un alunno in evidente stato di alterazione, che barcollava vistosamente, potesse cadere o inciampare lungo il tragitto verso la toilette, procurandosi un danno, altrimenti evitabile facendo accompagnare lo studente ai servizi da un collaboratore scolastico – mettesse a repentaglio l’incolumità dello studente nel tempo in cui fruiva della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, non avendo fatto tutto il possibile per evitare che egli si procurasse (involontariamente) un danno.

Nello specifico, il thema decidendum è stato se, una volta emerso il fatto (cioè il comportamento dello studente che, nel recarsi verso i bagni, si era sporto dalla ringhiera), il personale tenuto a garantire la sicurezza di tutti gli studenti frequentanti la scuola, potesse, per le modalità e le circostanze di tempo e di luogo del suo manifestarsi, con l’uso dell’ordinaria diligenza, prevederne i possibili sviluppi e intervenire per interromperne la dinamica ed evitarne gli esiti.

Ebbene, non poteva dubitarsi, hanno affermato i giudici della Cassazione, che la valutazione della Corte d’appello, posto il dato oggettivo della mancata attuazione della prestazione dovuta dal personale scolastico (tutelare l’incolumità dello studente), fosse stata corretta, avendo escluso che la condotta del ragazzo potesse definirsi imprevedibile e che il M.I. non aveva fornito la prova che il personale scolastico avesse diligentemente fatto il possibile per impedire il verificarsi dell’evento autolesivo in danno del minorenne.

Responsabilità dell’ente proprietario

Anche le giustificazioni della Città metropolitana sono state ritenute infondate, laddove si sono basate sulla circostanza che il Dirigente scolastico, unico ad avere dell’Istituto piena, diretta ed esclusiva disponibilità, non avesse segnalato la necessità di adeguare l’altezza della ringhiera a quanto prescritto dalla normativa di riferimento.

La Cassazione ha statuito che proprio la qualità, per il Comune, di ente proprietario dell’immobile, e comunque di soggetto tenuto per legge (art. 3 della Legge 11/01/1996, n. 23) a provvedere alla sua manutenzione ordinaria e straordinaria, integrava quella normale condizione di «potere sulla cosa», essenziale presupposto della responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. in capo all’ente che abbia in custodia una determinata “cosa” (la ringhiera all’interno della struttura scolastica) che provochi un danno a terzi.

L’art. 2051 c.c., disponendo che «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito», rappresenta una ipotesi di c.d. responsabilità oggettiva, cioè il soggetto custode del bene è tenuto al risarcimento nell’eventualità in cui la cosa arrechi un danno ad altri, anche qualora lo stesso custode non abbia tenuto una condotta colposa o dolosa.

La peculiarità di tale fattispecie risiede nel fatto per cui l’evento dannoso è condizione necessaria e sufficiente a fondare la responsabilità del custode, non richiedendosi né la pericolosità della cosa in sé, né la colpa gravante sul soggetto che abbia in custodia il bene.

L’unica possibilità che ha il custode di eliminare la riconducibilità dell’evento dannoso alla propria persona è dimostrare il caso fortuito, provando che il danno si è verificato come conseguenza di un evento straordinario e imprevedibile, quale quello costituito da un fenomeno naturale o dal “fatto del terzo” (che ricorre quando la condotta di quest’ultimo è di per sé idonea a provocare il danno, a prescindere dall’uso della cosa in custodia).

Ne consegue l’inversione dell’onere della prova, incombendo su colui che agisce in giudizio, la prova del nesso tra la cosa in custodia e l’evento lesivo e sul convenuto la prova che l’infortunio è occorso per caso fortuito.

Un’altra sentenza

Un caso che presenta parecchie analogie con quello in commento è stato deciso dalla precedente sentenza 20285/2019 della Sezione III civile della Corte di Cassazione, con la quale sono state definitivamente respinte le pretese del Ministero dell’Istruzione, che non intendeva risarcire la famiglia di un alunno delle scuole elementari, il quale al termine delle lezioni, correndo verso l’uscita dove lo attendeva il padre, aveva inavvertitamente sfondato la vetrata della porta procurandosi un profondo taglio al polso destro, adducendo il caso fortuito e scaricando la colpa dell’incidente su terzi.

La sentenza è rilevante proprio perché ha fondato la responsabilità del M.I. sugli articoli 1218 e 2051 c.c.

Secondo gli ermellini, il caso fortuito non poteva dirsi sussistente per il solo fatto che l’alunno si fosse messo a correre al momento dell’uscita, «essendo una condotta del tutto prevedibile e frequente nei minori in tenera età», aggiungendo che «la responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c., essendo di natura oggettiva, si fonda non tanto sulla valutazione di un comportamento o di un’attività colposa del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa», sottolineando, infine, che «il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., è dunque comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume al limite rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 e ciò in relazione alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva».

In altre parole, in alcuni casi, fanno notare i giudici di legittimità, la responsabilità del custode può venir meno solo quando il danneggiato, con il suo comportamento abnorme, può essere ritenuto il responsabile esclusivo del danno, come specificato dall’art. 1227, comma 1, c.c., che non si sarebbe verificato se la vittima non si fosse comportata in modo del tutto imprevedibile.

Di riflesso, la Suprema Corte ha pure ritenuto sussistente l’obbligo di risarcimento in capo alla compagnia assicuratrice scelta dal Ministero, in quanto la responsabilità del Ministero era stata accertata «non solo per l’omessa custodia dell’edificio ex art. 2051 c.c., ma anche per l’omessa vigilanza dei minori ex art. 1218 c.c., quest’ultima certamente rientrante nei rischi assicurati. L’obbligo di manleva dell’assicuratore viene in questione già solo per il fatto che l’affidatario assicurato si è reso contrattualmente responsabile dell’infortunio, riconducibile all’omessa vigilanza dei minori all’interno del plesso scolastico, trattandosi di un evento rientrante nella garanzia assicurativa a prescindere dall’affidamento a terzi dell’organizzazione della fase di uscita dalla scuola, per i motivi anzidetti; inoltre, l’omessa custodia della struttura dell’edificio, per quanto non specificamente rientrante nell’evento assicurato, non è un evento autonomamente rilevante nella causazione del sinistro de quo, in quanto è riconducibile alla violazione dell’obbligo primario, gravante esclusivamente sull’istituto affidatario, di esercitare adeguata vigilanza sulla condotta dei minori soprattutto in presenza di concreti pericoli interni».

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