Sinergie di Scuola

Un’interessante questione riguarda l’eventuale diritto del genitore-docente, che abbia usufruito del congedo parentale, a vedersi corrispondere l’intera retribuzione per i primi 30 giorni di congedo goduto nei primi 12 anni di vita del bambino, indipendentemente dal fatto che siano richiesti prima o dopo il compimento del sesto anno di età del figlio.

Vi sono in merito opinioni contrastanti tra l’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) e le sentenze pronunciate su questa materia.

La prima sembra propendere per un orientamento meno favorevole per il dipendente pubblico, sulla scorta del nuovo D.Lgs. 80/2015 che prevede, per i primi trenta giorni di congedo parentale, la retribuzione per intero solo se fruiti dal lavoratore prima del compimento del sesto anno di vita del bambino.

Se, invece, essi siano richiesti per la prima volta dal genitore dopo il sesto anno, analogamente a quanto previsto dall’art. 34, comma 3 del D.Lgs. 151/2001, il trattamento economico pari al 100% della retribuzione può essere riconosciuto, sostiene l’ARAN, fino all’ottavo anno di età del bambino solo se sussistono le condizioni di reddito previste dalla legge (reddito individuale dell’interessato inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria). Alle stesse condizioni può essere corrisposta una indennità pari al 30% della retribuzione per i mesi successivi al primo.

Questo punto di vista dell’Agenzia non è stato condiviso, tra le tante, dalla sentenza n. 216 del 4/09/2018 del Tribunale di Grosseto, la quale ha statuito che, rispetto alla disciplina generale dei congedi parentali contenuta nel D.Lgs. 151/2001 (successivamente modificato dal D.Lgs. 80/2015), la normativa applicabile nel comparto scuola è più favorevole e riconosce un trattamento economico pari al 100% della retribuzione per i primi 30 gg. di astensione dal lavoro, anche se goduti per la prima volta quando il minore aveva più di 6 anni.

Per comprendere tale orientamento interpretativo giurisprudenziale occorre esaminare il dato normativo, partendo proprio dall’art. 32, comma 1, del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, che recita:

Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

Nel caso sottoposto all’attenzione del tribunale grossetano il padre, docente presso una scuola toscana, aveva richiesto di usufruire, per la prima volta, di 23 giorni di congedo parentale per occuparsi del figlio che, all’epoca, aveva compiuto 10 anni.

L’amministrazione scolastica aveva ritenuto lecito, richiamando il parere dell’ARAN espresso con nota n. 2762/2016, di decurtare il trattamento economico a titolo di retribuzione e, in misura corrispondente, le ferie e la tredicesima per il periodo corrispondente all’astensione dell’insegnante dal lavoro.

La scuola ha fatto applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 34 del Testo unico citato, a mente del quale:

1. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al sesto anno di vita del bambino, un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L’indennità è calcolata secondo quanto previsto all’articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso.
2. Si applica il comma 1 per tutto il periodo di prolungamento del congedo di cui all’articolo 33.
3. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 2 è dovuta, fino all’ottavo anno di vita del bambino, un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. Il reddito è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l’integrazione al minimo.
4. L’indennità è corrisposta con le modalità di cui all’articolo 22, comma 2.
5. I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.
6. Si applica quanto previsto all’articolo 22, commi 4, 6 e 7.

Così facendo, però, l’istituto scolastico ha ignorato l’art. 12 del CCNL scuola vigente, il quale prevede che, nell’ambito del periodo di astensione dal lavoro di cui all’art. 32, comma 1, del citato Testo unico, cioè entro i primi 12 anni di età del bambino, per le lavoratrici madri o, in alternativa, per i lavoratori padri, i primi 30 giorni siano computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, non riducano le ferie, siano valutati ai fini dell’anzianità di servizio e siano retribuiti per l’intero.

Da ciò discende che i restanti 5 mesi siano retribuiti con un’indennità pari al 30% della retribuzione, mentre gli ulteriori 4 mesi (o 5 mesi) non siano retribuiti, sempre che tale periodo venga fruito dalla coppia nei primi sei anni di vita del bambino.

Il congedo eventualmente fruito dai 6 ai 12 anni del minore è indennizzato al 30% dai 6 agli 8 anni solo qualora il richiedente abbia un reddito inferiore a 2,5 volte il trattamento minimo pensionistico (per l’anno 2015 corrispondente a 16.327,68 euro); nessuna retribuzione per il congedo fruito dagli 8 ai 12 anni del bambino.

Il ragionamento del tribunale di Grosseto

Il giudice ha rilevato che, mentre la legge (che nel nostro caso è costituita dal Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) ha stabilito il trattamento minimo inderogabile a favore del lavoratore, il contratto collettivo del comparto scuola, non potendo prevedere una disciplina peggiorativa rispetto al predetto trattamento, ha migliorato le soglie di tutela, attraverso, appunto, l’art. 12. Questo ultimo è andato ad incidere sulla previsione generale dell’art. 32 del Testo unico (come modificato nel 2015) e, a cascata, sulla disciplina retributiva fissata dall’art. 34 del medesimo Testo unico, a prescindere dalla circostanza che esso indichi il limite dei sei anni di vita.

Poiché l’art. 12 del CCNL Scuola non indica il limite dei sei anni di vita del bambino ma, nel riconoscere al docente la piena retribuzione per i primi 30 giorni di astensione dal lavoro, si riferisce all’art. 32 del Testo unico che, a sua volta, pone l’unico limite per la possibilità di usufruire del congedo parentale nel non oltrepassare la soglia dei 12 anni di vita del bambino, si deve presumere che il contratto collettivo abbia voluto riconoscere un “trattamento di favore” per il docente (e la docente) rispetto alla disciplina generale.

In altre parole, se l’art. 12 avesse richiamato anche l’art. 34 del testo unico, si sarebbe applicato il trattamento prospettato dall’ARAN nella citata nota 2762 del 2016.

Questa conclusione è ancora più vera allorché si pensi che lo stesso art. 12 CCNL Scuola, laddove ha voluto distinguere i benefici introdotti in ragione di una certa fascia di età lo ha previsto espressamente. Infatti il comma 5 dello stesso articolo prevede che «Successivamente al periodo di astensione di cui al comma 2 e sino al compimento del terzo anno di vita del bambino, nei casi previsti dall’art. 47, comma 1, del D.Lgs. 151/2001, alle lavoratrici madri ed ai lavoratori padri sono riconosciuti trenta giorni per ciascun anno di età del bambino, computati complessivamente per entrambi i genitori, di assenza retribuita secondo le modalità indicate nello stesso comma 2. Ciascun genitore, alternativamente, ha altresì diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi l’anno, per le malattie di ogni figlio di età compresa fra i tre e gli otto anni».

Altre sentenze

La pronuncia del Tribunale di Grosseto, d’altronde, si pone nel solco di altre sentenze e provvedimenti sia di altri tribunali sia della Corte di Cassazione.

Si deve citare innanzi tutto la sentenza del Tribunale di Sassari n. 1424/2011 che, in un caso simile a quello deciso dal tribunale grossetano, ha ribadito che non si può limitare l’applicazione dell’art. 12, comma 4, del CCNL Scuola vigente, ai soli casi di congedi parentali usufruiti da genitori con prole di età inferiore ai tre anni (ora 6 anni), retribuendoli per intero anziché solo al 30%, in quanto «il testo della norma è chiarissimo e di univoca interpretazione: il trattamento di miglior favore [...] è riferito alle ipotesi di cui all’art. 32, comma 1, lett. a), e cioè a tutte le ipotesi di congedo parentale fino agli otto anni di vita del bambino [elevati, dopo la riforma del 2015, a 12, n.d.a.]».

Anche la Cassazione si è dimostrata dello stesso avviso, decidendo un caso simile a quelli sin qui illustrati, relativo ad un dipendente del Ministero della Giustizia, che si era visto decurtare la retribuzione relativa ai primi 30 gg. di congedo parentale per il figlio minore di età compresa tra i tre e gli otto anni.

Il contratto collettivo del comparto Ministeri, similmente a quanto previsto per il comparto Scuola, reca un trattamento più favorevole per il dipendente rispetto a quello legale (come consentito dal medesimo D.Lgs. 151/2001, art. 1, comma 2, che fa salvi i trattamenti più favorevoli stabiliti dai contratti collettivi).

Viene dunque in applicazione l’art. 10 del CCNL di comparto Ministeri 1998/2001, che prevede il diritto, per i primi trenta giorni di congedo, alla retribuzione piena, anche nel caso che interessa, in cui il bambino abbia un’età compresa tra i tre e gli otto anni. Secondo l’Amministrazione invece, il suddetto art. 10, lett. c, conferirebbe il diritto alla retribuzione piena per detti trenta giorni solo entro i tre anni del bambino.

La Cassazione, nell’accogliere la tesi del lavoratore, ricorda che l’ art. 10, comma 1, lett. c del citato CCNL dispone: «Nell’ambito del periodo di astensione facoltativa dal lavoro previsto dalla Legge n. 1204 del 1971, art. 7, comma 1 e successive modifiche e integrazioni, per le lavoratrici madri, o, in alternativa, per i lavoratori padri, i primi trenta giorni di assenza, fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie sono valutati ai fini dell’anzianità di servizio. Per tale assenza spetta l’intera retribuzione fissa mensile [...]».

Il contratto conferisce quindi il diritto, alla retribuzione integrale per i primi trenta giorni e lo ricollega al «periodo di astensione facoltativa dal lavoro previsto dalla Legge n. 1204 del 1971, art. 7, comma 1», il quale lo prevede nei primi otto anni di vita del bambino. Detto richiamo inequivocabile induce a ritenere quindi che la retribuzione piena per trenta giorni spetti anche se il bambino ha superato i tre anni.

Detta interpretazione non è poi smentita dalle altre disposizioni di cui all’art. 10 del CCNL. Infatti il successivo comma 1, lett. d, prevede l’assenza retribuita fino ai tre anni del bambino, ma si riferisce al diverso caso contemplato dalla Legge 1204/1971, art. 7, comma 4, ossia al caso di malattia del bambino, in cui si concedono trenta giorni di assenza retribuita per ciascuno degli anni fino al terzo, per malattie del bambino.

È pacifico, quindi, che, dalla lettura delle sentenze sin qui riportate, si possa ricavare il principio per cui i primi 30 giorni di congedo parentale sono retribuiti per intero entro i 12 anni di vita del bambino.

Cosa succede in caso di parto gemellare?

A questa domanda ha risposto il Tribunale di Novara attraverso la sentenza 16/03/2017, n. 72, nella quale i giudici hanno fatto riferimento, innanzitutto, all’art. 32 del D.Lgs. 151/2001, il quale sancisce, tra l’altro, che «per ogni bambino, nei suoi primi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro».

Il chiaro riferimento al diritto del genitore al congedo parentale per ogni bambino conferma la duplicazione del periodo massimo di congedo consentito per ogni parto plurimo.

È palese, quindi, la scelta del legislatore di garantire la presenza dei genitori accanto ai figli nei primi mesi di vita, e tale garanzia non può dirsi concretamente realizzata se non attraverso il parallelo riconoscimento del trattamento economico corrispondente.

In caso di parto gemellare può affermarsi che il Parlamento abbia scelto non solo di assicurare una duplicazione del congedo in ragione del maggior impegno dei genitori che debbono far fronte ai bisogni affettivi dei due figli, ma anche di non pregiudicare, limitandolo, i benefici di carattere retributivo che garantiscono l’espletamento dell’attività genitoriale tutelata.

È certamente veritiero, sostiene il Tribunale, che nel caso di parto gemellare il genitore, laddove usufruisca del congedo parentale, ha la possibilità di dedicare il suo tempo e le sue attenzioni, congiuntamente e contemporaneamente ai gemelli, ma altrettanto è vero che un contesto familiare con la presenza contemporanea di più bambini di tenera età comporta una pluralità di problematiche che, magari, non si verificherebbero nel caso di un unico figlio.

Conclude il Tribunale novarese che l’introduzione in sede di contrattazione collettiva di normative più favorevoli ai genitori-lavoratori anche dal punto di vista economico, col riconoscimento al diritto della pienezza della retribuzione perlomeno per i primi 30 giorni di astensione dal lavoro per congedo parentale, come precisato nell’art. 12 del CCNL Scuola, rappresenta una forma di sostegno e incentivazione alla maternità e paternità in presenza degli inevitabili esborsi che il nucleo familiare deve sostenere per il bambino, anzi per i bambini.

Quindi il trattamento economico previsto per i primi 30 giorni di congedo parentale spetta per ogni gemello.

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