La sentenza della Cassazione penale, Sez. V, 21/11/2019, n. 47241 si occupa di un caso – purtroppo non isolato – di false attestazioni commesse da proprietari, Dirigenti scolastici e docenti di alcune scuole superiori parificate, al fine di far apparire fittiziamente come alunni interni degli istituti, numerosi soggetti che quelle scuole non avevano mai frequentato, ma che conseguivano ugualmente il diploma finale, dopo che i predetti si erano presentati a sostenere gli esami presso un istituto retto da un preside compiacente.

La parte interessante della decisione degli Ermellini risiede nell’analisi approfondita del valore probatorio e delle differenze intercorrenti tra il registro di classe e quello del docente.

Gli imputati, infatti, sono stati ritenuti colpevoli nel giudizio di merito, tra gli altri, del reato punito dall’art. 479 cod. pen. (“Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”), a mente del quale «il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’art. 476».

L’art. 476 cod. pen. (“Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”), al primo comma precisa che il pubblico ufficiale, il quale nell’esercizio delle sue funzioni forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

L’accusa, però, ha ritenuto di contestare agli imputati l’aggravante prevista dal comma 2 dello stesso articolo, che prevede una pena maggiore, da tre a dieci anni, per i pubblici ufficiali che falsifichino un «atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso».

Al Dirigente scolastico e agli insegnanti di scuola pubblica è riconosciuta la qualità di pubblico ufficiale, come incontestabilmente riconosciuto dalla giurisprudenza, in quanto essi esercitano una funzione disciplinata da norme di diritto pubblico e caratterizzata dalla manifestazione della volontà della Pubblica amministrazione e dal suo svolgersi attraverso atti autoritativi e certificativi, essendo ad essi devoluti, infatti, fra gli altri, il potere di proporre o di disporre di eventuali provvedimenti disciplinari e quello di concorrere, con voto deliberativo, alle valutazioni periodiche a quella finale della condotta e del profitto dei singoli alunni; premesso questo, è dirimente capire se il registro (o giornale) di classe e quello personale degli insegnanti siano atti pubblici fidefacenti o no.

Secondo l’art. 2700 cod. civ. (“Efficacia dell'atto pubblico”), l'atto pubblico «fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti».

Considerata la forza probatoria di tale atto, l’ordinamento giuridico considera molto grave il comportamento del pubblico ufficiale che volontariamente ne falsifichi il contenuto, come accadrebbe se un insegnante dichiarasse presenti alunni che, in quel momento, non si trovassero a scuola.

In tema di falso ideologico in atto pubblico, aggravato ai sensi dell’art. 476 cod. pen., la giurisprudenza è ferma nell’affermare che sono documenti dotati di fede privilegiata solo quelli che, emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A. ad attribuire all’atto pubblica fede, attestino quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza.

La giurisprudenza della Cassazione, con espresso riferimento al registro di classe e al registro del professore, non ha mai affrontato ex professo il profilo concernente la qualificazione del falso ai sensi del comma secondo dell’art. 476 cod. pen., limitandosi a qualificare come atto pubblico il registro di classe. Si vedano in proposito la sentenza n. 13769 del 21/11/2012, secondo cui «In tema di reati contro la fede pubblica, costituisce atto pubblico il registro di classe di una scuola, con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 479 cod. pen. in caso di falsa annotazione in esso della presenza di un alunno»; la sentenza n. 790 del 13/11/1996, secondo la quale «Ha natura di atto pubblico il registro di classe, che, pur non identificandosi con il registro del professore, costituisce dotazione obbligatoria in ciascuna classe ed è destinato a fornire la prova di fatti giuridicamente rilevanti e a documentare avvenimenti relativi all’amministrazione scolastica e in particolare a far fede “erga omnes” [cioè verso tutti, ndr], quale attestazione di verità, dell’attività svolta in classe dall’insegnante».

Tanto premesso, quindi, la Cassazione conclude che «non può che attribuirsi natura di fede privilegiata al contenuto dei registri di classe e dei registri dei professori, oggetto delle imputazioni in esame, per ciò che concerne la provenienza dei detti documenti da insegnanti di una scuola pubblica o ad essa equiparata, quindi da pubblici ufficiali, in relazione a quei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere da lui compiuti, come tali dovendosi qualificare, all'evidenza, le attestazioni concernenti la presenza, la frequenza degli alunni e lo svolgimento dell’attività didattica».

La decisione della Cassazione

La Cassazione ha smontato le tesi della difesa sia ricollegandosi al tenore letterale dell’art. 41 del R.D. 965/1924, laddove afferma che il giornale di classe contiene la verbalizzazione dell’andamento e del rendimento dell’alunno del corso dell’anno, secondo quanto caduto sotto la percezione diretta dell’insegnante, mentre la relazione finale si pone come propedeutica al giudizio che, a sua volta, si concretizza, in modo conclusivo, nella decisione che il Consiglio di classe assume alla fine di ciascun anno scolastico, sia richiamando precedenti sentenze non solo della Corte stessa, ma anche del Consiglio di Stato; tra queste, la sentenza 10/12/2015, n. 5613, secondo cui «I registri degli insegnanti sono atti pubblici aventi fede privilegiata, le cui risultanze possono essere poste in discussione soltanto a seguito di eventuale querela di falso; e va rimarcato che eventuali vizi o irregolarità nella tenuta dei registri degli insegnanti non possono riflettersi sulla legittimità del giudizio finale posto che il registro medesimo rappresenta una mera verbalizzazione dell’andamento e del rendimento dell’alunno nel corso dell’anno; mentre il giudizio si concretizza, poi, in modo conclusivo, nella decisione che il Consiglio di classe assume al termine di ciascun anno scolastico».

Distinzione tra registro di classe e registro del professore

La Cassazione si sofferma brevemente anche sulla distinzione tra registro di classe e registro del professore.

I giudici rilevano come il primo sia «disciplinato dall’art. 41 R.D. 965/1924; come detto, in esso vengono depositate le firme dei professori, le assenze, le giustificazioni degli alunni, i compiti assegnati, i lavori svolti e i dati generali degli alunni, ed ha la funzione di annotare i provvedimenti disciplinari, i compiti assegnati e il programma scolastico svolto dai docenti in ogni singola giornata, le assenze degli alunni e le giustificazioni. Insieme al giornale del professore attesta, inoltre, la presenza dei docenti in classe. Il registro di classe è visionabile da tutti gli alunni della classe».

È necessario aggiungere che successivamente al risalente R.D. 965/1924, sono intervenuti in materia, delineando le funzioni del registro di classe, il D.M. 5/05/1993 e la successiva O.M. del 2/08/1996, n. 236; il decreto definisce il registro di classe un mezzo per la estrinsecazione di attività, verifiche, esercitazioni, laboratori e quant’altro possa servire ad ogni docente del Consiglio di classe per regolare o rimodulare la propria attività didattica, e anche educativa, sullo stesso ritmo degli altri docenti; l’ordinanza elenca le finalità del giornale di classe:

1. Il Registro di classe documenta gli aspetti amministrativi della vita di ciascuna classe.
2. La compilazione dei dati anagrafici degli alunni è di competenza dell'ufficio di segreteria della direzione didattica.
3. I docenti contitolari sono responsabili della tenuta e dell'aggiornamento del Registro.
4. Il Registro di classe riporta: elenco e dati anagrafici degli alunni, presenze e assenze; nominativi dei docenti che operano nella classe, ambiti disciplinari o discipline loro assegnati; orario delle attività didattiche [...].

Il giornale del professore, invece, è un documento cartaceo in dotazione ad ogni singolo insegnante, nel quale si annotano assenze e valutazioni relative ad ogni alunno nella propria materia.

Anche esso, peraltro, come già ricordato è considerato atto pubblico dalla giurisprudenza della Cassazione. Ciò risulta, tra le altre, da Cassazione n. 714/2010: «Il registro del professore, sul quale devono essere annotati la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancanze degli alunni, i voti riportati, è atto pubblico, in quanto attesta le attività compiute dal pubblico ufficiale che lo redige, con riferimento a fatti avvenuti in sua presenza o da lui percepiti; d’altro canto il professore di un istituto legalmente riconosciuto riveste la qualifica di pubblico ufficiale, poiché l’insegnamento è pubblica funzione e le scuole legalmente riconosciute sono equiparate a quelle pubbliche [...] orbene, l’inveritiera attestazione operata nel registro del professore circa la presenza di un alunno [...] investe un dato essenziale rispetto alla funzione documentale dell’atto [...]».

Questa distinzione, però, non è fondamentale per l’esito della causa, poiché quel che conta, per gli Ermellini, è l’assimilazione ad un’unica categoria concettuale delle annotazioni provenienti dal docente, nella sua qualità di pubblico ufficiale, delle attività da lui compiute o dei fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti.

Ma non è tutto. Secondo i giudici della Cassazione, per comprendere la differenza tra atto pubblico dotato di fede privilegiata e atto pubblico tout court, non bisogna fare riferimento ad una qualificazione in sé dell’atto, come giornale di classe o giornale del professore, ma piuttosto occorre compiere un’operazione interpretativa più complessa, in cui rileva il soggetto da cui proviene l’atto stesso e, contemporaneamente, la finalità dell’atto in riferimento alla funzione pubblica, di cui costituisce manifestazione, e per il raggiungimento dei cui fini la norma di riferimento disciplina l’atto stesso.

Pertanto, nella nozione di atto pubblico rientrano non solo le attestazioni di fatti compiuti dal pubblico ufficiale o caduti sotto la sua diretta percezione, nell’esercizio della specifica funzione attribuita dalla legge al pubblico ufficiale medesimo, che vanno qualificati “fidefacenti”, senza alcun dubbio, ai sensi dell’art. 476, comma 2, cod. pen., ma anche quegli atti posti in essere al di fuori dell’esercizio specifico della funzione e, comunque, destinati ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione, rilevanti ai sensi dell’art. 476, comma primo, cod. pen.

Di conseguenza la Cassazione, richiamando una propria precedente decisione (Cass., Sez. V, 10/02/1967, n. 268), ha ricordato che sono atti pubblici, ai fini del reato di falso, tutti i documenti, sia pure di carattere interno, che, formati dal pubblico ufficiale competente, costituiscano o concorrano a costituire un diritto od un obbligo per taluno, oppure siano destinati a provare un fatto giuridicamente rilevante del pubblico ufficiale o da lui percepito od attuato.

La sottoscrizione del registro delle presenze da parte dei singoli insegnanti di una scuola pubblica è destinata a costituire l’attestazione di verità della loro presenza nella scuola stessa. Pertanto è indubbio che la relativa falsificazione integra tutti gli estremi del reato di falso ideologico in atto pubblico, previsto e punito dall’art 479 cod. pen.

Nel caso dell’attività didattica, che è essa stessa pubblica funzione, la qualificazione degli atti che realizzano, in pratica, la finalità dell’ente, non può essere considerata come avulsa da quelle connotazioni tipiche della funzione stessa, con la conseguenza che le attestazioni poste in essere nel corso dell’attività didattico-istituzionale non possono che essere inquadrate nella categoria di atti fidefacenti.

Sull’obbligatorietà
del registro elettronico

Non meno interessante, infine, appare la puntualizzazione circa l’obbligatorietà dell’adozione del registro elettronico. I giudici di legittimità, infatti, ricordano che il D.L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla Legge 135/2012, aveva introdotto, per le istituzioni scolastiche e i docenti, l’obbligo di dotarsi di registro elettronico a decorrere dall’a.s. 2012/2013, prevedendo che il MIUR predisponesse entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, un piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie; detto piano non risulta essere stato predisposto, vanificando di fatto il processo normativo e, dunque, rendendo non obbligatorio l’utilizzo del registro e pagelle elettroniche, con conseguente coesistenza, nella pratica, di entrambe le forme di registri, quella cartacea e quella elettronica.

Dobbiamo aggiungere, per completezza, che lo stesso Garante della Privacy avrebbe dovuto pubblicare un apposito provvedimento per chiarire il corretto impiego del registro elettronico, ma tale atto non è ancora stato emanato.

Da ciò si desume ulteriormente che non è ancora vigente l’obbligo, per ciascuna scuola, di adottare il registro (di classe e personale) elettronico.

Esso può essere però imposto a seguito di delibera del Collegio docenti, attraverso la quale si considera tale forma di registrazione elettronica l’unico sistema di rilevazione delle presenze e assenze degli studenti, di annotazioni del diario di classe, in cui si segnalano ritardi e uscite anticipate degli alunni, argomenti delle lezioni, compiti assegnati per casa, letture delle circolari, note disciplinari, valutazioni delle prove scritte e di quelle orali.

Ne discende, quale corollario, che i docenti devono compilarlo in tempo reale, altrimenti commetterebbero il reato di falso come sin qui descritto. Ma qui casca l’asino...

Gli insegnanti, molte volte, non sono in grado di compilare il registro simultaneamente all’accadimento dei fatti o al verificarsi delle condizioni che ne richiederebbero la compilazione, dovendo utilizzare la connessione che la scuola dovrebbe fornire, ma che talvolta non riesce ad assicurare.

Sul questo tema è intervenuta recentemente una sentenza del Tribunale di Bari, che ha accolto il ricorso di una docente sanzionata dal proprio Dirigente per non aver compilato il registro elettronico.

L’insegnante si era giustificata, invano, contestando al Preside che le aule erano sprovviste di adeguata strumentazione e, pertanto, non era possibile accedere ad internet e compilare in tempo reale il registro elettronico.

Il giudice ha annullato il provvedimento sanzionatorio statuendo che la dirigenza scolastica non può far gravare sui singoli docenti l’onere di compilare il registro ricorrendo a computer portatili, tablet o cellulari personali.

Dalla sentenza del tribunale pugliese si evince che, in caso di mancanza di connessione o comunque di accertata impossibilità di compilazione in tempo reale del registro elettronico, il professore, per non essere ritenuto colpevole della possibile commissione del reato di falso, deve comunicare ufficialmente al Dirigente scolastico l’impossibilità di adempiere all’obbligo di immediata compilazione del registro elettronico.

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