Sinergie di Scuola

Nel pubblico impiego contrattualizzato, e dunque nella scuola pubblica, si è soliti distinguere un servizio “pre-ruolo” da un servizio “di ruolo” del docente; questa distinzione in realtà, propria di un epoca in cui tutti gli impiegati pubblici erano sottoposti al potere autoritativo della PA e trovavano tutela dal Giudice amministrativo, dovrebbe oggi più correttamente essere riferita a un servizio prestato con contratto di lavoro a tempo determinato rispetto ad uno con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Fatta questa piccola precisazione, parimenti annotiamo come la terminologia “ante privatizzazione” sia talmente consolidata che è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza: e dunque anche in questo approfondimento, per facilità comunicativa, si parlerà di “servizio pre-ruolo” e di “servizio di ruolo” del personale docente.

Il tema rientra nell’ambito del più ampio e tormentato feuilleton sul precariato nella scuola, che tanto contenzioso seriale ha prodotto e continua imperterrito a generare.

Sul num. 78 – Aprile 2018 di Sinergie di Scuola, con l’articolo “Alcune riflessioni sulle GAE del personale docente ed educativo” si approfondì la problematica relativa alla possibilità o meno, da parte di chi fosse in possesso del solo diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, ovvero laurea con valore abilitante, ovvero avessero superato appositi corsi di formazione o da ultimo avessero conseguito l’idoneità al concorso a cattedre del 2012 (D.D.G. 82/2012), di poter chiedere l’iscrizione nelle Graduatorie ad esaurimento (domande presentate per la prima volta nel 2014); sul num. 83 – Novembre 2018 di Sinergie di Scuola con l’articolo “Procedure di mobilità e servizio pre-ruolo nelle paritarie” si approfondì invece la disparità di trattamento del servizio pre-ruolo prestato dai docenti nelle paritarie rispetto alle scuole statali.

In estrema sintesi rammentiamo che l’art. 4 della Legge 124/1999 ha differenziato le supplenze in tre tipologie:

  • le supplenze annuali (comma 1), cosiddette su “organico di diritto”, riguardano posti disponibili e vacanti, al 31 dicembre, con scadenza al termine dell’anno scolastico (31 agosto);
  • le supplenze temporanee su “organico di fatto” (comma 2), con scadenza fino al termine dell’attività didattica (30 giugno);
  • le supplenze temporanee (comma 3), che sono conferite ad esempio per la sostituzione di personale assente o la copertura di posti resisi disponibili, per qualsivoglia ragione, soltanto dopo il 31 dicembre, e destinate a terminare non appena venga meno l’esigenza per cui sono stati stipulati.

La materia è stata da ultimo interessata dalla novella rappresentata dalla Legge 107/2015 che, oltre a prevedere un piano straordinario di assunzioni del solo personale docente per l’anno scolastico 2015/2016, ha sancito:

  • la definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento;
  • la cadenza triennale dei concorsi;
  • l’efficacia egualmente triennale delle graduatorie concorsuali;
  • un limite alla reiterazione delle supplenze per non più di trentasei mesi complessivi, anche non continuativi.

Cosa dice l’Unione Europea

Solitamente il contenzioso del personale precario della Scuola nasce invocando la violazione del principio di non discriminazione, sancito dalla clausola 4 dell’Accordo-quadro sul lavoro a tempo determinato che figura nell’allegato alla Direttiva 1999/70/CE, secondo le modalità dettate dall’art. 2 stessa direttiva:

Art. 2, Direttiva 1999/70/CE
Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Gli Stati membri possono fruire di un periodo supplementare non superiore ad un anno, ove sia necessario e previa consultazione con le parti sociali, in considerazione di difficoltà particolari o dell’attuazione mediante contratto collettivo. Essi devono informare immediatamente la Commissione di tali circostanze.
Quando gli Stati membri adottano le disposizioni di cui al primo paragrafo, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate da tale riferimento all’atto della loro pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

Principio di non discriminazione (clausola 4)
1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2. Se del caso, si applicherà. il principio del pro rata temporis.
3. Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.

La clausola 4 dell’Accordo esclude qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato. Le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva: a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale e astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione, che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura e alle caratteristiche delle mansioni espletate.

Nel 2016 la Corte di Cassazione, ex multis con le sentenze n. 22558 e 23868, aveva stabilito che «nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato».

Rammentiamo, ad ogni buon conto che, ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. 165/2001, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione; inoltre, e per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 11 della Legge 124/1999, in applicazione della Direttiva 1999/70/CE 1999 è illegittima, a far tempo dal 10 luglio 2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi della predetta normativa, prima dell’entrata in vigore della Legge 107/2015, per la copertura di cattedre vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi.

Cosa dice la Corte di Cassazione

Recenti sentenze della Suprema Corte, tra cui la n. 31149, la n. 33138 e la n. 34546, hanno affrontato, tra gli altri, il presente tema: può o meno procedersi al riconoscimento integrale di tutto il servizio, sia in termini giuridici che economici, compresi gli scatti per il servizio reso in esecuzione dei contratti a termine?

La questione si pone in quanto la disciplina dettata per gli assunti a tempo indeterminato, dapprima dal legislatore e poi dalla contrattazione collettiva, fa discendere effetti giuridici ed economici dall’anzianità di servizio, che condiziona sia la progressione stipendiale sia, in genere, lo svolgimento del rapporto. Nel settore scolastico, infatti, l’anzianità svolge un ruolo di particolare rilievo ogniqualvolta vengano in gioco valutazioni comparative dei docenti, e ciò spiega perché il legislatore sin da tempo risalente abbia ritenuto necessario dettare una disciplina specifica dell’istituto del riconoscimento del servizio ai fini della carriera, che costituisce un unicum rispetto ad altri settore dell’impiego pubblico. Tutto questo si giustifica in ragione della peculiarità del sistema scolastico, nel quale – pur nella diversità delle forme di reclutamento succedutesi nel tempo – l’immissione definitiva nei ruoli dell’amministrazione è sempre stata preceduta, per ragioni diverse, da periodi più o meno lunghi di rapporti a tempo determinato.

Ripercorriamo, con un breve excursus storico, le tappe seguite dal legislatore e dalla contrattazione di comparto.

Con il D.L. 370/1970, all’art. 3, si stabiliva: «Al personale insegnante il servizio di cui ai precedenti articoli viene riconosciuto agli effetti giuridici ed economici per intero e fino ad un massimo di quattro anni, purché prestato con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. Il servizio eccedente i quattro anni viene valutato in aggiunta a quello di cui al precedente comma agli stessi effetti nella misura di un terzo, e ai soli fini economici per i restanti due terzi. I diritti economici derivanti dagli ultimi due terzi di servizio previsti dal comma precedente, saranno conservati e valutati anche in tutte le classi successive di stipendio»; l’art. 4 specificava: «Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli, il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero, se ha avuto la durata prevista, agli effetti della validità dell’anno, dall’ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione. I periodi di congedo retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del calcolo del periodo richiesto per il riconoscimento».

Entrato in vigore il D.Lgs. 297/1994, queste disposizioni sono confluite nell’art. 485: «1. Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo. – omissis», mentre l’art. 489 aggiunge: «Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell’anno dall’ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione. 2. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento».

L’art. 11, comma 14 della Legge 124/1999 ha specificato che il comma 1 dell’art. 489 è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall’anno scolastico 1974/1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 10 febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale.

Le disposizioni del D.Lgs. 297/1994 sono state confermate anche a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro con i vari CCNL, susseguitisi a partire da quello del 4/08/1995

Se, da un lato, la disciplina sul riconoscimento del servizio pre-ruolo prevede un abbattimento dell’anzianità sul periodo eccedente i primi quattro anni di servizio, dall’altro però, come abbiamo visto, equipara ad un intero anno di attività l’insegnamento svolto per almeno 180 giorni (o continuativamente dal 10 febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio), riconoscendo inoltre il servizio prestato presso scuole di un diverso grado – consentendo dunque al docente della scuola di istruzione secondaria di conteggiare anche il periodo di insegnamento nelle scuole elementari, nonché, per i docenti di queste ultime, di far valere il servizio pre-ruolo prestato nelle scuole materne statali o comunali.

Questo sistema trovava il proprio ragionevole presupposto sul sistema di reclutamento dei docenti basato sulla regola del cosiddetto “doppio canale”: l’immissione in ruolo periodica dei docenti sarebbe dovuta avvenire attingendo per il 50% dalle graduatorie dei concorsi per titoli ed esami e per il restante 50% dalle graduatorie per soli titoli, prima, e poi dalle graduatorie permanenti. In buona sostanza si voleva sposare un concetto meritocratico per cui i più meritevoli sarebbero rimasti precari di breve durata, e non, come purtroppo capita, cronici, talché si è arrivati ad avere docenti di ruolo che si sono trovati per la maggior parte a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità al diritto dell’Unione qui si discute.

L’applicazione diretta nell’ordinamento giuridico italiano della clausola 4 impone al giudice nazionale l’osservanza di questo procedimento logico, secondo il quale occorre:

  1. determinare il trattamento spettante al preteso “discriminato”;
  2. individuare il trattamento riservato al lavoratore comparabile;
  3. accertare se l’eventuale disparità sia giustificata da una ragione obiettiva.

Nel rispetto di queste fasi, perché il docente si possa dire “discriminato” dall’applicazione dell’art. 485 del D.Lgs. 297/1994, deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della norma speciale sia inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato l’insegnante di ruolo per svolgere la medesima funzione docente. Cò comporta che il trattamento stipendiale del docente precario non possa essere ritenuto discriminatorio per il solo fatto che dopo il quadriennio si operi un abbattimento, occorrendo invece verificare anche l’incidenza dello strumento di compensazione favorevole, che pertanto, in sede di giudizio di comparazione, va eliminato dal computo complessivo dell’anzianità, da effettuarsi sull’intero periodo – atteso che, altrimenti, si verificherebbe una possibile discriminazione alla rovescia rispetto al docente di ruolo.

In buona sostanza potrebbe sussistere discriminazione nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di servizio, e non quella virtuale ex art. 489 D.Lgs. 297/1994, prestata come precario, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 D.Lgs. 297/1994, perché solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata al docente di ruolo.

Nel calcolo dell’anzianità si deve tener conto del solo servizio effettivo prestato, con la conseguenza che non potranno essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza e il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, dovendo, altresì, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 485, perché questo beneficio è riconosciuto anche al docente di ruolo che transiti dall’uno all’altro ruolo.

Qualora, all’esito del calcolo effettuato nei termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a quello ottenuto con l’applicazione dell’art. 485 del D.Lgs. 297/1994, la norma di diritto interno dovrà essere disapplicata e al docente andrà riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all’insegnante assunto a tempo indeterminato, perché l’abbattimento, in quanto non giustificato da ragione oggettiva, non appare conforme al diritto dell’Unione.

Conclusioni

La recentissima giurisprudenza esaminata demanda dunque al giudice nazionale l’onere di disapplicare la normativa interna (art. 485 D.Lgs. 297/1994) se l’applicazione di questa violi in concreto, a seguito di riscontro tramite il descritto procedimento logico, la clausola 4 della direttiva UE.

Se si è davanti a un giudice però significa che esiste un contenzioso, e quindi uno o più lavoratori che ritengono di essere stati discriminati dall’applicazione della normativa italiana; contenzioso che potrebbe essere ridotto, con buona pace delle finanze pubbliche, se il legislatore italiano procedesse ad un’armonizzazione definitiva della legislazione scolastica con la normativa europea, evitando dunque ingiustificate disparità di trattamento tra lavoratori precari e di ruolo, dovute proprio dall’applicazione della normativa italiana.

(*le considerazioni svolte sono frutto esclusivo dell’autore e non impegnano l’amministrazione di appartenenza non essendo a questa riconducibili)

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