Sinergie di Scuola

Tra i compiti soggetti alla responsabilità del Dirigente scolastico, nell’ambito della relazione scuola-famiglia si annovera quello relativo alla gestione di documenti inerenti l’attività istituzionale della scuola.

Questa tematica va analizzata innanzitutto come diritto del cittadino nel rapporto con la Pubblica Amministrazione, caratterizzato dai seguenti aspetti tra loro interconnessi: la trasparenza, la pubblicità e l’accesso agli atti.

Come è ben noto, il primo di tali aspetti (la trasparenza) è stato introdotto dalla Legge 241 del 7/08/1990. In esso si esprime un principio basilare che deve caratterizzare ogni attività amministrativa, principio dal quale derivano gli obblighi di pubblicità e i diritti di accesso. Si tratta di strumenti che traducono la trasparenza nel concreto, coniugando l’efficienza della suddetta azione con la garanzia di tutela dell’utenza, che ha il diritto di ottenere informazioni chiare e comprensibili.

Per assolvere alle suddette finalità, la trasparenza deve essere concepita come un “processo” che presieda all’organizzazione delle attività e dei servizi, nonché allo sviluppo delle relazioni interne ed esterne e dei comportamenti professionali.

È appena il caso di sottolineare che il riferimento all’efficienza rimanda alla nozione di “livello essenziale di prestazione” di cui all’art. 117, lettera m della Costituzione.

In altre parole, la trasparenza consente anche una sorta di controllo, da parte del cittadino, sull’operato delle istituzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

In ambito scolastico il significato di tali implicazioni potrebbe essere ricondotto – per certi aspetti – ad una forma di valutazione esterna, pur precisando che quest’ultima azione deve essere correttamente inquadrata nel Sistema Nazionale di Valutazione, regolamentato con il D.P.R. 80 del 28/03/2013.

Non sfugge, inoltre, lo stretto legame fra trasparenza e prevenzione della corruzione. L’attenzione a quest’ultimo aspetto va innanzitutto connessa alla necessità di ottemperare a quanto previsto dall’art. 7, comma 1 della Legge 190 del 6/11/2012 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”): in proposito il MIUR, con D.M. 303 dell’11/05/2016, designò come Responsabili della prevenzione della corruzione per tutte le Istituzioni scolastiche statali di rispettiva competenza territoriale i Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali (o, laddove tale figura era prevista, il coordinatore regionale).

Entro il 28 maggio dello stesso 2016 gli USR, dopo aver a loro volta individuato i Referenti per la trasparenza all’interno delle Istituzioni scolastiche nella persona dei Dirigenti scolastici, predisposero i Piani triennali regionali per la prevenzione della corruzione (PTPCT), sulla base delle Linee guida dell’ANAC – Autorità Nazionale Anti Corruzione.

Il PTPCT fu adottato da ogni singola scuola e reso pubblico attraverso l’inserimento nel sito istituzionale (sezione “Amministrazione trasparente”) di un apposito link all’USR con invio alla pagina web nella quale poter reperire la documentazione in questione.

L’inderogabilità di tale adempimento (con le conseguenti misure in caso di mancato assolvimento) mette in luce il significato del secondo aspetto citato in premessa, quello di pubblicità, che si delinea nell’obbligo di informazione.

Al tempo, l’adozione e il primo inserimento del PTCTP nel sito dell’Istituzione scolastica (operazione che veniva ad aggiungersi ai molti impegni previsti nella fase finale dell’anno scolastico) fu probabilmente vissuto come un’incombenza burocratica che si limitava a coinvolgere la responsabilità dei Capi d’Istituto nella pubblicazione del piano adottato (e dei suoi successivi aggiornamenti che sarebbero stati comunicati tramite segnalazione via email).

Per esperienza personale posso tuttavia affermare che quasi immediatamente si realizzò che il citato D.M. 303/2016 andava interpretato congiuntamente alla delibera dell’ANAC n. 430 del 13/04/2016 inerente le “Linee guida sull’applicazione alle Istituzioni scolastiche delle disposizioni di cui alla Legge 6/11/2012, n. 190 e al D.Lgs. 14/03/2013, n. 33”.

Analizzando il secondo dei due elenchi allegati alle Linee guida (quello, cioè, di definizione degli obblighi di pubblicazione applicabili alle Istituzioni scolastiche) troviamo, tra i vari elementi, un importante riferimento che esplica in modo esaustivo il legame tra trasparenza, pubblicità e accesso.

L’accesso civico

Nell’Allegato 2 alle Linee guida si parla, infatti, di “accesso civico”, così come definito dall’art. 5 del D.Lgs. del 14/03/2013, n. 33 (c.d. Decreto Trasparenza), che afferma quanto segue:

1. L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.

L’art. 1, comma 1 del decreto in questione, promuove la partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa, garantendo ad ogni persona la libertà di richiedere dati e documenti relativi alle scelte amministrative operate delle pubbliche amministrazioni, indipendentemente dall’esistenza di situazioni giuridicamente rilevanti che producano un interesse attuale e concreto.

Ogni Istituzione scolastica ha dunque l’obbligo di fornire risposta nell’arco temporale di 30 giorni a chiunque (non solo a coloro che fanno parte della comunità scolastica) presenti istanza di accesso civico.

Adeccezione di alcune tipologie di documenti per i quali è esclusa la pubblicazione, il dato richiesto deve essere inserito nella sezione del sito web denominata “Amministrazione trasparente” e trasmesso contestualmente al richiedente. In alternativa, l’iter può essere concluso comunicando la pubblicazione e fornendo il link per la reperibilità dell’informazione; quest’ultima azione va intrapresa anche nel caso di atti già presenti sul sito istituzionale.

L’esclusione di alcune tipologie di documenti è ripresa nel sopra citato art. 5 del D.Lgs. 33/2013, che distingue due casi di accesso civico: semplice (comma 1) e generalizzato (comma 2).

La definizione delle due diverse situazioni può essere altresì rintracciata sul sito del Garante per la protezione dei dati personali (GPDP):

In caso di accesso civico semplice, chiunque ha diritto di richiedere la pubblicazione di documenti, informazioni o dati per i quali – pur sussistendo un obbligo di pubblicazione – l’amministrazione non vi abbia provveduto.
In caso di accesso civico generalizzato, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti ulteriori rispetto a quelli per i quali è previsto un obbligo di pubblicazione, salvo i casi in cui ricorrano i limiti derivanti dalla tutela degli interessi pubblici o privati oppure nei casi di esclusione previsti (vedi infra e art. 5-bis, commi 1-3 del D.Lgs. 33/2013).

Il solo accesso civico generalizzato può essere rifiutato: ciò accade se:

[...] il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela della sicurezza pubblica e ordine pubblico, sicurezza nazionale ecc.; per evitare un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali, della libertà e la segretezza della corrispondenza ecc.

Ogni Istituzione scolastica è tenuta a produrre un Regolamento in materia di accesso documentale civico semplice e generalizzato, nel quale vengano esplicitate le modalità per l’esercizio di tale facoltà/diritto e siano individuati i soggetti responsabili del relativo procedimento, dei quali deve essere reso noto il nome e il recapito.

L’accesso civico ha esteso il concetto di “accesso agli atti” alla cosiddetta “accessibilità totale”, che si applica alla generalità delle informazioni inerenti i procedimenti amministrativi di competenza dell’Istituzione scolastica.

Non dimentichiamo, tuttavia, che la Legge 241/1990 citata in premessa aveva già, a suo tempo, regolamentato l’accesso agli atti, limitandosi tuttavia a quello definito “ordinario” o “documentale”: una modalità che, peraltro, non va confusa con l’accesso civico finora esaminato.

Per inciso, va sottolineato il fatto che all’art. 24 della Legge 241/1990 si può individuare comunque un elemento comune ai due tipi di accesso: l’inaccessibilità di alcune informazioni e il conseguente rifiuto, o differimento, ovvero limitazione dell’accesso.

L’inaccessibilità si riferisce ad un nucleo comune di segretezza, a tutela di interessi pubblici preminenti, che non possono essere compromessi né dall’accesso documentale, né dall’accesso civico generalizzato.

Il divieto di accesso può essere assoluto o relativo: in quest’ultimo caso, l’istanza di accesso non può essere semplicemente respinta ma è necessario, da parte dell’Amministrazione, un approfondimento per verificare se la messa a disposizione delle informazioni richieste possa o meno causare la lesione di particolari interessi.

Richiesta di accesso da parte delle famiglie

Tornando all’accesso documentale, si può affermare che quest’ultimo termine ci richiama all’oggetto della richiesta che è, appunto, un documento amministrativo, la cui definizione ci viene data dall’art. 22 della Legge 241/1990 (successivamente modificato dalla Legge dell’11/02/2005, n. 15):

[...] ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento detenuti da una P. A. e concernenti attività di pubblico interesse indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

Il soggetto che presenta la richiesta, diversamente da quanto accade per l’accesso civico, si trova in una posizione diversa rispetto agli altri cittadini e tale condizione legittima il diritto di conoscere/acquisire il documento amministrativo.

La possibilità, da parte degli interessati, di prendere visione e/o di estrarre copia degli atti è infatti subordinata alla motivazione del richiedente basata su un interesse qualificato, cioè (come già accennato) su una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

In considerazione del fatto che i genitori degli alunni (o gli studenti maggiorenni) rientrano in questa categoria, l’Istituzione scolastica dovrebbe mettere a disposizione (anche tramite sito web) un modello di richiesta.

I documenti amministrativi di cui le famiglie possono richiedere la visione o la copia sono gli elaborati scritti e gli atti della Commissione giudicatrice degli esami di Stato, i compiti scritti, i documenti relativi a scrutini intermedi, finali e relativi verbali e infine i registri personali dei docenti e verbali dei Consigli di classe.

Quando negare la richiesta

Ai sensi del D.Lgs. del 30/06/2003, n. 196 e del D.P.R. del 12/04/2006, n. 184 non può essere invece richiesto l’accesso ad atti relativi al personale (concernenti rapporti informativi, trattamento economico individuale, rapporti valutativi, accertamenti e dichiarazioni medico-legali, procedimenti penali, documenti utilizzabili a fini disciplinari o di dispensa dal servizio).

Tale precisazione sembrerebbe superflua, se riferita alle famiglie degli alunni... eppure, come Capo d’Istituto, quante volte (oltre a negare l’informazione diretta) ho dovuto personalmente ribadire a qualcuno la segretezza di documenti come ad esempio quelli inerenti provvedimenti presi nei confronti di un docente o attestanti la sua condizione di salute!

Tra gli atti che non possono essere resi disponibili si annoverano inoltre quelli rappresentativi di interventi dell’autorità giudiziaria o della Procura della Corte dei Conti, o relativi a soggetti per i quali si delinea responsabilità civile, penale, amministrativa nonché documenti concernenti procedure conciliative o arbitrali.

L’accesso ai documenti contenenti atti sensibili o giudiziari può essere concesso solo nel caso sia strettamente indispensabile per la tutela dell’interessato o dei suoi diritti di pari rango (art. 60 del D.Lgs. 196/2003).

Sono parimenti esclusi gli atti dei privati non scorporabili da altri documenti che sono in possesso della scuola, oltre a quelli che non hanno avuto specifico rilievo nelle determinazioni amministrative, o ancora annotazioni, appunti, bozze e infine documenti inerenti all’attività di informazione, consultazione e alla concertazione e contrattazione sindacale.

Segreto d’ufficio

È opportuno infine sottolineare che, al di fuori dell’accesso documentale, permane in ogni caso il cosiddetto “segreto d’ufficio”, che si concretizza in un dovere da parte del personale.

L’art. 28 della Legge 241/1990 (che modifica l’art. 15 del T.U. recante lo Statuto degli impiegati civili dello Stato di cui al D.P.R. 3/1957 in materia di segreto d’ufficio) afferma infatti che:

[...] l’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio. Non può trasmettere informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative ovvero notizie conosciute a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso [...]

Rilascio di certificazioni da parte della scuola

A conclusione della riflessione sin qui condotta in merito alla gestione dei documenti amministrativi nell’ambito del rapporto scuola-famiglia, va brevemente analizzata pure la questione inerente il rilascio di certificazioni da parte della scuola.

Anche in questo caso l’Istituzione scolastica deve innanzitutto pubblicare sul proprio sito istituzionale le informazioni che debbono essere note alle famiglie in merito all’abolizione – dal 1° gennaio 2012, a seguito dell’entrata in vigore della Legge 183/2011 (Finanziaria 2012) – dei certificati fra amministrazioni pubbliche e la modifica della normativa sul rilascio dei certificati.

Nella normativa citata (art. 15, comma 1, lett. a) si dichiara quanto segue:

Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47.

Mantenendo il discorso a livello generale si può precisare che non possono essere sostituiti da dichiarazione i certificati medici, sanitari, veterinari, di conformità CE, di marchi, di brevetti.

La disposizione sopra citata rende obbligatorio, per la trasmissione e l’accettazione di dati nell’ambito della pubblica amministrazione, l’uso dell’autocertificazione (dichiarazione sostitutiva di certificato) che assume la stessa validità dei certificati e con la quale ogni cittadino dichiara, sotto la propria personale responsabilità, stati, fatti e qualità documentabili e certificabili dalla pubblica amministrazione.

L’autocertificazione si differenzia dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà mediante la quale possono essere attestate altre situazioni e fatti a conoscenza dell’interessato.

Alla luce delle disposizioni sin qui citate i certificati rilasciati dalle Istituzioni scolastiche devono quindi riportare questa dicitura: “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi (art. 40, comma 2 D.P.R. 445/2000, come modificato dall’art. 15 della Legge 183/2011)”.

La certificazione può essere rilasciata esclusivamente per la presentazione di un atto ad un privato (es. un’assicurazione, una banca ecc.) e su questa deve essere apposta una marca da bollo da € 16,00.

Nell’Istituzione scolastica, gli assistenti amministrativi preposti debbono richiedere con esattezza che sia indicato l’uso cui è destinato il certificato richiesto poiché, in caso di evasione dall’imposta, la responsabilità fra chi emette il certificato e chi lo riceve è solidale (art. 22 del D.P.R. 642/1972). Se il certificato richiede l’apposizione di una marca da bollo, quest’ultima andrebbe annullata con il timbro della scuola, conservando agli atti la fotocopia del certificato con la marca annullata.

L’esenzione dall’imposta di bollo potrà essere applicata solo se il certificato è destinato ad un uso compreso nei casi elencati nel D.P.R. 642/1972 che, per quanto riguarda la scuola, sono contemplati nell’art. 11 della Tab. All. B.

Inoltre, l’art. 7 della Legge 405/1990 prevede che siano esenti dall’imposta di bollo gli atti e documenti concernenti l’iscrizione, la frequenza e gli esami nell’ambito dell’istruzione secondaria di secondo grado, comprese le pagelle e i diplomi conseguiti al termine di un corso di studio o i titoli di abilitazione conseguiti al termine di un corso di formazione, ai sensi dell’art. 42 del D.P.R. 445/2000. I diplomi rilasciati in originale, infatti, non sono definibili “certificati”, ma titoli di studio.

Diverso è il caso del documento recante indicazione dell’esito dell’esame che è un vero e proprio certificato, sul quale vaapposta la sopraindicata dicitura prevista dall’art. 15 della Legge 183/2011.

Di conseguenza, in caso ad esempio di iscrizione presso una nuova Istituzione scolastica a seguito di esame di idoneità, non va richiesto né accettato il certificato di superamento dell’esame: la documentazione dovrà essere acquisita d’ufficio.

© 2024 HomoFaber Edizioni Srl - Tutti i diritti riservati. Sono vietate la copia e la riproduzione senza autorizzazione scritta. Sono ammesse brevi citazioni ed estratti indicando espressamente la fonte (Sinergie di Scuola) e il link alla home page del sito.