Sinergie di Scuola

Dopo un primo timido esordio dei corsi di recupero la scuola (quella vera, cioè quella in presenza) è finalmente ricominciata, anche se con molte incertezze e apprensioni.

Una delle maggiori difficoltà organizzative legate all’avvio dell’a.s. 2020/2021 è stata (e rimane, almeno in parte, tuttora) quella espressa in un passaggio del protocollo del Comitato tecnico-scientifico del 28 maggio scorso (“Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive nel settore scolastico”) che così recita:

Il layout delle aule destinate alla didattica andrà rivisto con una rimodulazione dei banchi, dei posti a sedere e degli arredi scolastici, al fine di garantire il distanziamento interpersonale di almeno 1 metro, anche in considerazione dello spazio di movimento. Anche l’area dinamica di passaggio e di interazione (zona cattedra/lavagna) all’interno dell’aula dovrà avere una superficie adeguata tale da garantire comunque e in ogni caso il distanziamento di almeno 1 metro, anche in considerazione dello spazio di movimento.

Com’è ben noto, al fine di riorganizzare la didattica in presenza si è resa necessaria la mappatura e riorganizzazione degli spazi scolastici in rapporto al numero di alunni, alla consistenza del personale, ai fini del rispetto delle regole di distanziamento per salvaguardare la sicurezza di tutti.

Il discorso sulla progettazione della disposizione interna dei banchi non può, tuttavia, essere definitivamente limitato al rispetto delle suddette regole.

La stessa polemica sui “banchi a rotelle” o “banchi monoposto” risulta sterile se prescinde da altre considerazioni che trovano le loro radici ben più profonde nella strutturazione di ambienti di apprendimento intesi come fattori educativi e formativi.

Rapporto tra setting d’aula e apprendimento

In tale ottica, pur tenendo conto dei fattori oggettivi che spesso ostacolano un incisivo mutamento degli spazi della scuola (es. vetustà degli edifici, impossibilità di operare modifiche sostanziali, quantomeno in tempi brevi ecc.) sono stati avviati ben prima dell’attuale situazione di emergenza alcuni validi percorsi di riflessione sul rapporto tra il cosiddetto “setting d’aula” e l’apprendimento.

Per definire adeguatamente il concetto di “setting d’aula” è necessario chiarire preliminarmente quello di “ambiente di apprendimento”, il cui ruolo fondamentale è ben evidenziato già nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, formalizzate con D.M. n. 254 del 13/11/2012.

Il documento ministeriale in questione, nell’enunciare i principi metodologici che possono rappresentare un ottimale ambiente di apprendimento, pone in evidenza lo stretto legame che intercorre tra:

  1. i criteri di progettazione degli spazi: uso flessibile degli stessi e impiego di attrezzature idonee a trasformarli in luoghi;
  2. i fattori legati alle competenze e soprattutto alle esigenze degli alunni: valorizzazione delle esperienze e delle conoscenze, attuazione di interventi adeguati nei riguardi delle diversità, stimolazione all’esplorazione e alla scoperta, promozione della consapevolezza del proprio modo di apprendere;
  3. gli elementi propri di una didattica in linea con i suddetti principi: apprendimento collaborativo, attività realizzate in forma di laboratorio.

Partendo dal primo punto, si tratta di comprendere la differenza tra spazio e luogo e imparare a considerare come luogo lo spazio riservato all’attività didattica.

Per chiarire il significato di quest’ultima affermazione si può utilizzare uno stralcio dell’interessante contributo di Giuseppina Cannella, ricercatore presso l’INDIRE, intitolato “Dalla struttura dell’edificio alla vita che questo genera”:

Il senso del luogo trasforma lo spazio fisico che viene organizzato a seconda degli usi e delle interazioni, e ciò rende vera l’espressione di DOURISH secondo cui siamo collocati in un luogo ma agiamo in uno spazio. Il nostro agire in uno spazio esprime conoscenza che si trasmette nel modo in cui ci muoviamo nello stesso.

Ne “Gli ambienti di apprendimento on-line, da spazi per la formazione a luoghi per la collaborazione”, Lorella Giannandrea, docente presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dei Beni culturali e del Turismo dell’ Università di Macerata, ci fornisce un esempio di concreta e spontanea applicazione del concetto sopra espresso:

[...] il muretto di recinzione di una scuola è lo stesso “spazio” architettonico dal punto di vista degli studenti e dei docenti, ma si configura come un “luogo” di incontro significativo per gli studenti, magari teatro di appuntamenti e di discussioni, punto di ritrovo, mentre può non rivestire nessun particolare significato simbolico come “luogo” per i docenti. In un certo senso potremmo sintetizzare dicendo che lo spazio resta sempre ciò che esso è (in questo caso un muretto) mentre il luogo diventa di volta in volta ciò per cui viene utilizzato.

La creazione di un “luogo” negli spazi adibiti ad aula è un’azione paragonabile (con le dovute distinzioni) all’arredamento di un appartamento in un condominio costituito da unità abitative in origine tutte uguali (o simili), che assumono caratteristiche differenti (e mutabili nel tempo) a seconda delle esigenze e delle consuetudini di vita di coloro che vi abitano.

In un ambiente di apprendimento l’aula viene vissuta come il luogo di funzionamento della classe, anche se i termini aula, classe e ambiente di apprendimento possono essere impropriamente utilizzati come sinonimi.

In alcune circostanze, infatti, la classe viene definita il principale “ambiente di apprendimento” all’interno del nostro sistema scolastico.

Peraltro, non c’è probabilmente operatore scolastico – insegnante o collaboratore – che non abbia ordinato almeno una volta ad un alunno: «Torna in classe».

Con riferimento a quest’ultima frase non dimentichiamo, tuttavia, che il termine “aula” definisce le strutture e gli strumenti messi a disposizione, mentre la “classe” identifica un insieme di persone di cui fa parte anche il docente.

Al centro di tutto c’è comunque un gruppo, che – per poter agire in modo efficace rispetto agli obiettivi educativi e di apprendimento che ne hanno determinato l’esistenza –deve basarsi sulla condivisione delle scelte, comprese quelle riguardanti il “setting d’aula”.

Quest’ultimo concetto appartiene prevalentemente alla cultura scolastica degli ultimi decenni, poiché solo con l’avvento delle nuove tecnologie si è posto il problema di rivoluzionare in profondità gli schemi già consolidati di organizzazione delle aule, schemi direttamente collegati ad una gestione “tradizionale” della lezione, che può svolgersi in modo uniforme in qualsiasi ambiente scolastico.

La necessità del mutamento è stata generata (anche, ma fortunatamente non solo) dalla presa di coscienza del fatto che le tecnologie, oltre ad essere gradualmente divenute lo strumento principale di mediazione degli apprendimenti, possono essere (e sono di fatto) impiegate in tutti gli ambienti di vita, non esclusivamente in quelli scolastici.

Tale consapevolezza ha reso indispensabile una riflessione: per mantenere un ruolo importante nel processo di formazione delle nuove generazioni, la scuola non può più avere un ruolo di mero “trasmettitore” (di nozioni, di informazioni, ecc.) ma deve essere il “costruttore” di una nuova cultura (sul piano individuale e sociale), basata sulla capacità di filtrare le conoscenze e di reimpiegarle produttivamente sul piano della realtà quotidiana.

Ciò non significa, a mio avviso, che le tecnologie debbano condizionare la costruzione degli ambienti di apprendimento: si tratta sempre di strumenti al servizio della comunità scolastica. Sono i fruitori di mezzi e arredi a dover essere messi nella condizione di gestire gli stessi nella condizione più funzionale all’azione didattica.

Non è pertanto mia intenzione dissertare di metodologie di utilizzo della tecnologia all’interno dell’aula, né di vantaggi e svantaggi di un tipo di banco rispetto ad un altro.

È piuttosto importante sottolineare che l’organizzazione dei luoghi fisici e degli arredi comporta (come sopra indicato al punto 2 riferito alle Indicazioni Nazionali di cui al D.M. 254/2012) una preliminare presa di coscienza – da parte dei docenti – della necessità di un cambiamento in relazione alle esigenze degli alunni e alla valorizzazione delle loro esperienze, conoscenze e competenze.

Il ruolo del docente

Il “setting” è comunque uno degli ambiti che l’insegnante deve tenere sotto controllo nella gestione della classe. Esso richiede attenzione al “clima” del gruppo rispetto all’organizzazione degli spazi, poiché quest’ultima incide sul benessere degli studenti predisponendoli o meno all’apprendimento partecipato e alla collaborazione.

Rispetto al setting riveste tuttavia priorità l’organizzazione della didattica, che deve possibilmente essere flessibile e basarsi su una pluralità di modelli di comunicazione didattica, ivi compresi quelli legati ai bisogni educativi speciali (inclusione, intercultura ecc.)

Al setting si associano anche le strategie per la gestione disciplinare della classe, che è strettamente connessa con il rapporto intercorrente tra docente e discenti.

A questo proposito, ricordiamo che tra gli elementi individuati dall’OCSE come fondamentali per la costruzione di un ambiente di apprendimento si annovera l’atteggiamento dei docenti e degli studenti nei confronti dell’apprendimento, nonché il clima disciplinare della classe, la relazione tra insegnante e studente, la capacità del docente nello stimolare la motivazione e l’impegno.

Per soddisfare i suddetti requisiti è indispensabile che gli insegnanti facciano propri i principi caratterizzanti di una didattica in linea con gli stessi.

L’apprendimento collaborativo

È il caso, a questo punto, di riprendere il terzo aspetto sopra indicato in relazione alle Indicazioni Nazionali, che fa riferimento all’apprendimento collaborativo, i cui fondamenti possono essere rintracciati nella peer education, nel peer teaching, nel cooperative learning ecc.

Una scelta metodologica in tal senso conduce il docente a ridefinire in primo luogo il proprio ruolo in funzione di un contesto orientato ad una costruzione ragionata e guidata del sapere attraverso l’interazione con e tra gli alunni (o studenti).

All’insegnante spetta, in questo caso, l’organizzazione complessiva degli elementi (compresi quelli relazionali) che danno luogo all’apprendimento, diventando un mediatore e facilitatore dell’apprendimento stesso, costruttore di “ambienti” in cui lo studente è orientato ma non diretto ed è motivato ad intrattenere relazioni significative.

Solo a queste condizioni ha un senso parlare dispazi didattici progettati per creare un ambiente comunicativo e favorire e facilitare la condivisione della conoscenza, la ricerca, la riflessione e la collaborazione, nel rispetto dei differenti tempi e ritmi di apprendimento individuale e consentendo anche l’esecuzione di diverse attività sincrone.

In questo modo, può acquistare una diversa rilevanza anche l’esperienza compiuta negli ultimi mesi dal corpo docente, cui è stato richiesto di superare l’idea della scuola come “luogo fisico” per aprirsi ad una concezione di ambienti e situazioni di apprendimento possibili anche in contesti virtuali.

Non va sottovalutato, tuttavia, il fatto che, anche in condizioni diverse dall’attuale emergenza Covid, il passaggio definitivo dalla classica lezione frontale trasmissiva a una didattica definibile “innovativa” si è spesso scontrato con la quotidiana prassi didattica, fatta di risorse insufficienti, di edifici fatiscenti, di colleghi che operano con la stessa classe ma manifestano diverse esigenze o non condividono gli stessi punti di vista.

A queste difficoltà, ora si aggiungono quelle legate alle incombenze del personale responsabile e/o addetto alla tutela della sicurezza.

L’urgenza di garantire il rispetto della normativa vigente in relazione all’emergenza Covid-19 non deve, però, far dimenticare quanto sia necessario mantenere (o ricreare) un ambiente accogliente destinato allo svolgimento delle lezioni per evitare il rischio di generare situazioni di ansia, controproducenti rispetto ai processi di apprendimento.

Su questo punto, tutti gli operatori scolastici sono d’accordo: oltre agli aspetti pratici del ritorno a scuola degli alunni, vanno ripristinate le priorità educative.

Tuttavia, non si può sottovalutare la difficoltà di ritrovare un senso di aggregazione in uno spazio riprogrammato sulla base della prevenzione del contagio o – in altri termini – in un contesto nel quale le parole dominanti sono temperatura corporea, mascherine, sintomi e, soprattutto, distanziamento.

Comunque sia, il ritorno a scuola, nonostante i condizionamenti fisici, non deve compromettere il clima educativo faticosamente mantenuto anche attraverso la didattica a distanza.

Per far sì che l’interazione a distanza potesse risultare efficace, molti docenti, di fatto, sono stati portati a riflettere sui difetti propri dell’insegnamento trasmissivo, della lezione frontale e unidirezionale. A seguito di questa presa di coscienza, gli stessi hanno compiuto uno sforzo per ricostruire, anche in assenza di un’interazione diretta, una relazione educativa fatta di vicinanza affettiva e di attenzione al dialogo.

In questa particolare situazione è stata quindi ampiamente sperimentata la necessità di modificare il proprio modo di insegnare in relazione ad un diverso “setting formativo”, nel quale tempi e spazi assumono diverse connotazioni.

Come afferma Maria Ranieri, docente di Tecnologie dell’Istruzione e Didattica Generale presso l’Università degli Studi di Firenze «ingredienti essenziali di un insegnamento di qualità, con o senza le tecnologie, rimangono una buona progettazione didattica, la centralità del dialogo e dell’ascolto nel rapporto con gli studenti, la facilitazione dei processi di apprendimento, la capacità di favorire lo sviluppo di un clima positivo all’interno della classe».

Per trovare qualche ulteriore spunto in merito, riprendiamo ancora le vecchie ma non superate Indicazioni per il Curricolo della Scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo d’Istruzione: «La scuola si deve costruire come luogo accogliente, coinvolgendo in questo compito gli studenti stessi».

Ma in concreto?

Non ci sono ricette, solo buoni esempi come la sperimentazione dell’utilizzo delle piante ornamentali in classe per mantenere le distanze. L’idea, nata dalla mente della prof.ssa Beate Weyland della Facoltà di Scienze della Formazione di Bressanone, è basata sull’ipotesi di una scuola accogliente come una casa, proprio in virtù della presenza delle piante che divengono, tra l’altro, strumenti di educazione alla cura e salvaguardia dell’ambiente.

Un’altra via percorribile è quella di portare la scuola “fuori” dalle mura dell’edificio che la ospita. Nella mia città – Trieste – in questi giorni è stata inaugurata nell’area esterna di una scuola secondaria di I grado una ”aula sotto il cielo”, la prima in città, nata da un’idea del docente Dario Gasparo sulla base di un progetto realizzato da architetti.

Una possibilità più semplice – già comunemente applicata anche in situazioni non emergenziali – consiste nel rintracciare “luoghi” prossimi alla scuola ricchi di spunti culturali o naturalistici che li rendono idonei ad assumere il ruolo di “ambienti di apprendimento”.

La programmazione delle attività didattiche può essere quindi caratterizzata da appuntamenti settimanali sul territorio, utili, tra l’altro, a creare un legame più forte tra scuola e quartiere, tra scuola ed extrascuola.

Un’altra possibile azione positiva riguarda l’abbellimento progressivo delle pareti delle aule attraverso la produzione grafica degli alunni/studenti: tale pratica sviluppa il senso estetico, ma anche quello di appartenenza a un gruppo.

E infine: usiamo la parola. I ragazzi, nei mesi di lockdown, hanno sofferto non solo per il forzato isolamento ma anche e soprattutto per l’impossibilità di intrattenere un dialogo “in presenza” con compagni e docenti.

Lasciamo che ci parlino senza far loro percepire l’ansia per i minuti che passano. Recuperare i discorsi prima ancora delle “materie” è, forse, il modo migliore di ricominciare.

E infine, come afferma espressamente il già citato “Documento tecnico sull’ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive nel settore scolastico” alla voce “Indicazioni di informazione e comunicazione”: «Favorire, almeno nella prima fase, l’acquisizione di comportamenti attraverso un coinvolgimento diretto degli studenti nella realizzazione di iniziative per la prevenzione e la protezione (es. realizzazione di cartellonistica, valorizzazione degli spazi, condivisione di idee, etc.) anche proponendo campagne informative interne all’Istituto con la partecipazione proattiva di studenti e famiglie».

In altre parole, al di là della sottoscrizione del Patto educativo di corresponsabilità per la gestione del rischio di contagio, è attraverso il dialogo che riusciremo effettivamente a ripristinare quel senso di appartenenza ad una comunità di persone e la conseguente assunzione di responsabilità sul piano civico che possa dare un significato non coercitivo ma valoriale all’applicazione di regole – pur restrittive – in quanto tese alla salvaguardia del bene collettivo.

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