Tra le varie problematiche che investono le Istituzioni scolastiche, riteniamo utile porre una particolare attenzione su quella relativa all’erogazione di somme che non avrebbero dovute essere corrisposte ai propri dipendenti.

Può capitare, infatti, che l’Istituzione scolastica si accorga negli anni successivi di aver erogato al dipendente, per mero errore materiale, un compenso superiore a quello pattuito, oppure di dover dare esecuzione ad una sentenza che condanni il dipendente alla restituzione di somme percepite indebitamente, a vario titolo, negli anni precedenti.

Ebbene, in questa breve trattazione si intende fare chiarezza in merito alle modalità di restituzione al soggetto erogatore di somme indebitamente percepite, assoggettate a tassazione in anni precedenti.

Il tema ha generato nel tempo un’accesa diatriba tra l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza, consolidatasi negli anni, relativamente alla modalità di restituzione di tali somme, cioè se le stesse vadano restituite al lordo o al netto delle ritenute subite.

L’Agenzia delle Entrate ha sempre sostenuto che il recupero delle somme indebitamente percepite debba essere effettuato al lordo delle ritenute fiscali operate a carico del lavoratore, questo in base alla previsione dell’art. 10, comma 1, lett. d-bis del TUIR, il quale prevede la possibilità di dedurre dal reddito complessivo «[...] le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti».

Secondo la stessa Agenzia, l’introduzione di questo articolo si è resa necessaria in quanto il sistema dei rapporti tra Erario, sostituto e sostituito, comporta che il recupero a carico del contribuente delle somme a suo tempo ad esso erogate, avvenga al lordo delle imposte che il soggetto erogatore ha versato all’Erario in qualità di sostituto. Quindi, il citato art. 10 rappresenterebbe la regola generale a cui attenersi, poiché il contribuente, portando in deduzione dal proprio reddito l’onere rimborsato al datore di lavoro, compenserebbe le imposte pagate e quindi, di fatto, restituirebbe il solo netto ricevuto.

Di converso, secondo l’unanime e consolidata giurisprudenza il recupero delle somme va operato al netto dei contributi e delle imposte versate. Il principio che sottende alla regola è quello di non poter chiedere al soggetto che ha percepito l’indebito, quanto non è mai entrato a far parte della sua sfera patrimoniale. Ne consegue che il datore di lavoro, nel procedere al recupero di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve effettuare tale recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali.

I giudici sono stati sempre concordi nel ritenere che ciò che rileva nella fattispecie non è il rapporto intercorrente tra l’interessato e l’Agenzia fiscale – regolato dal succitato art. 10, comma 1, lett. d-bis del TUIR – ma quello fra il ricorrente e il proprio datore di lavoro, nell’ambito del quale il secondo versa al primo gli emolumenti al netto delle ritenute fiscali (nonché previdenziali e assistenziali); con la conseguenza che non risulta lecito chiedere all’interessato un adempimento, che può essere posto in essere direttamente dal datore di lavoro stesso senza gravare sul soggetto interessato, per ciò che riguarda il recupero delle somme erogate a titolo di imposte e contributi. Va ricordato, infatti, che l’art. 38 del D.P.R. 602/1972 prevede la possibilità per il sostituto d’imposta di poter recuperare le ritenute previdenziali e assistenziali, nonché quelle fiscali, presentando, entro quarantotto mesi dal versamento, apposita istanza di rimborso nel caso di errore materiale, duplicazione e inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento.

Le diverse posizioni assunte dall’Agenzia delle Entrate e dalla consolidata giurisprudenza hanno generato, inevitabilmente, innumerevoli contenziosi.

I sostituti d’imposta, infatti, si trovano di fronte ad alternative difficili da gestire:

  1. seguire l’impianto normativo dell’Agenzia delle Entrate e, quindi, chiedere al dipendente la restituzione al lordo, andando molto probabilmente incontro ad un contenzioso dal quale gli stessi sostituti sarebbero risultati perdenti;
  2. conformarsi alla prevalente giurisprudenza e, quindi, chiedere al dipendente la restituzione al netto e tentare di recuperare l’importo della ritenuta direttamente dall’Amministrazione finanziaria, rischiando però inevitabili contestazioni da parte di quest’ultima.

Recentemente tale questione è stata affrontata dal legislatore che, con l’art. 150 del D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), ha introdotto, nell’ambito dell’art. 10 del D.P.R. 917/1986 (TUIR), il comma 2-bis, con il quale è stata espressamente prevista, in aggiunta alla modalità di restituzione “al lordo” prevista dall’art. 10, lett. d-bis, quella cosiddetta “al netto” delle ritenute applicate.

La normativa vigente, quindi, prevede due diverse modalità di restituzione di somme indebitamente percepite ed assoggettate a tassazione in anni precedenti.

Per comprendere meglio il tema, riteniamo utile esaminarne l’evoluzione della disciplina.

Restituzione “a lordo” delle ritenute

Il tema della restituzione dei redditi, quando hanno già concorso a formare l’imponibile, è stato oggetto di una specifica disciplina con il D.Lgs. 314/1997. Tale norma ha previsto la possibilità di considerare, quale onere deducibile ai fini delle imposte sui redditi, la somma eventualmente restituita al soggetto erogante dopo il relativo assoggettamento a tassazione.

In particolare, l’art. 5, comma 1, lett. b del citato decreto ha inserito, nel comma 1 dell’art. 10 del TUIR, la lettera d-bis, con lo scopo di ricomprendere tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo «le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti».

Il generico riferimento alle «somme restituite al soggetto erogatore» ha fatto propendere per l’estensione della disposizione, rendendola pertanto applicabile non solo alla categoria del lavoro dipendente, ma a tutte le ipotesi di somme restituite dal contribuente dopo essere state già tassate e, quindi, anche ai compensi di lavoro autonomo professionale o altri redditi di lavoro autonomo (es. diritti di autore ecc.), nonché ai redditi diversi (lavoro autonomo occasionale o altro).

Con la Legge 147/2013 la norma contenuta nella lettera d-bis citata è stata modificata ed integrata. È stato previsto, infatti, che il contribuente, che si veda obbligato a restituire somme a lui indebitamente erogate e già assoggettate ad IRPEF, può chiedere la deduzione di tali somme dal reddito dei successivi periodi d’imposta, nell’eventualità in cui la stessa deduzione non fosse possibile, nel periodo d’imposta della restituzione, per mancanza di un reddito imponibile da assoggettare a tassazione o per incapienza dello stesso.

In alternativa, è stata prevista anche la possibilità di chiedere il rimborso dell’importo determinato con l’applicazione, all’intero ammontare delle somme non dedotte, dell’aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito (pari al 23%). Tale rimborso deve essere chiesto all’Agenzia delle Entrate entro due anni decorrenti dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale sono state restituite le somme.

L’art. 10, comma 1, lett. d-bis del TUIR si applica alle somme oggetto di restituzione, sia assoggettate a ritenuta a titolo di imposta (ovvero ad imposta sostitutiva) o a titolo di acconto, sia a quelle assoggettate ad IRPEF in sede di dichiarazione dei redditi. Tali somme, pertanto, costituiscono un onere deducibile indipendentemente dalla modalità di tassazione (anche separata) subita.

In definitiva, con l’applicazione della lettera d-bis del TUIR, il soggetto, che ha percepito indebitamente delle somme soggette a tassazione in anni precenti, dovrà procedere alla restituzione delle stesse al lordo delle ritenute subite.

In tal modo, se tali somme hanno concorso alla formazione del reddito imponibile, è possibile:

Restituzione “al netto” delle ritenute

L’art. 150 del D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), rubricato “Modalità di ripetizione dell’indebito su prestazioni previdenziali e retribuzioni assoggettate a ritenuta alla fonte a titolo di acconto”, è intervenuto sul problema della restituzione al soggetto erogatore di somme assoggettate a tassazione in anni precedenti, rivelatesi poi indebite, mediante l’inserimento del comma 2-bis nell’art. 10 del D.P.R. 917/1986.

La nuova norma prevede che le somme indebite, se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili.

Con tale intervento, il legislatore si è allineato all’orientamento giurisprudenziale in base al quale la restituzione deve riguardare solo le somme effettivamente percepite dal contribuente e che sono entrate nella sua concreta disponibilità.

La disciplina della cosiddetta modalità di restituzione “al netto”, che si aggiunge a quella già prevista al “lordo”, porrà fine alla discrasia tra previsioni normative e prassi dell’Agenzia delle Entrate da un lato e giurisprudenza dall’altro, e avrà come effetto di ridurre l’insorgere di contenziosi civili e amministrativi in materia.

La modifica al TUIR è applicabile agli importi restituiti al soggetto erogatore dal 1° gennaio 2020, facendo salvi i rapporti già definiti alla data di entrata in vigore del decreto, cioè il 19 maggio 2020.

Non è possibile seguire questa nuova via se alla data del 19 maggio:

È del tutto evidente che la restituzione dell’indebito, al netto delle ritenute, pone il problema del recupero delle imposte versate dal soggetto erogatore.

Ebbene, la norma ha previsto la possibilità da parte dei sostituti d’imposta, ai quali siano restituite le somme al netto delle ritenute applicate, di poter recuperare quanto versato all’Erario attraverso il diritto ad usufruire di un credito d’imposta pari al 30% delle somme ricevute, utilizzabile senza limite di importo in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 9/07/1997, n. 241.

La misura del credito è stabilita in modo forfettario ed è calcolata sull’importo netto restituito.

La percentuale del 30% è stata determinata ipotizzando che sulla somma lorda venga applicata l’aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito, attualmente prevista nella misura del 23%. Infatti, se su una somma lorda di 100 si applica l’aliquota del 23%, la somma netta è pari a 77; le ritenute versate pari a 23, da recuperare in compensazione da parte del sostituto d’imposta, corrispondono al 30% della somma netta di 77.

Nel caso in cui la restituzione abbia ad oggetto somme che sono state tassate solo in parte, il credito d’imposta non matura su quella parte, che non è stata assoggetta a ritenute.

La norma non sempre consente il recupero integrale delle ritenute versate, in quanto il credito d’imposta, così determinato, penalizza il sostituto, se l’aliquota della ritenuta operata è stata superiore al 23%. Diversamente, se le somme sono state assoggettate a ritenuta d’imposta o ad imposta sostitutiva in misura inferiore, si verificherebbe la situazione opposta, nella quale il sostituto acquisirebbe un credito di importo superiore alle ritenute effettivamente versate.

Ad avviso della circolare Assonime n. 13/2021, nel primo caso dovrebbe ritenersi possibile, per il sostituto, recuperare l’eventuale differenza, rispetto alla somma recuperabile con il credito d’imposta, presentando istanza di rimborso, mentre nel secondo caso il sostituto dovrebbe limitarsi a recuperare a credito il solo importo effettivamente versato.

Per quanto riguarda il momento in cui sia possibile utilizzare il credito d’imposta, il diritto del sostituto d’imposta alla fruizione dello stesso sorge nel momento in cui non può più essere eccepita la legittimità della pretesa alla restituzione. La “definitività” della pretesa alla restituzione delle somme consente la fruizione dell’intero ammontare del bonus, a prescindere dall’importo effettivamente corrisposto dal sostituito e, pertanto, sono irrilevanti le vicende e le modalità relative alla concreta restituzione dell’indebito. In ogni caso, qualora in attesa della definitività della pretesa il sostituito decida, comunque, di restituire al netto le somme indebitamente percepite, il sostituto può avvalersi del credito d’imposta nel periodo in cui è avvenuta la restituzione.

La restituzione delle somme e l’emersione del credito d’imposta dovranno essere indicati rispettivamente nel modello di Certificazione Unica (CU) rilasciata dal sostituto e nel modello di dichiarazione dei sostituti d’imposta e degli intermediari (Modello 770). In particolare, il sostituto d’imposta evidenzia nel Modello 770 – Quadro SX, Rigo SX1, Colonna 5 – l’intera somma del credito spettante, compilando il punto 475 della CU per i redditi di lavoro dipendente e assimilati e il punto 22 per i redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi.

L’istituto del credito d’imposta, come è stato già evidenziato, è volto al recupero, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate e versate all’Erario per conto del percettore delle somme.

Relativamente ai compensi erogati dalle Amministrazioni dello Stato, le stesse all’atto del pagamento devono effettuare una “ritenuta diretta” in acconto dell’IRPEF dovuta dai percipienti. Tale modalità di riscossione non comporta, in ragione della coincidenza tra il sostituto d’imposta e il soggetto creditore del tributo, il versamento all’Erario delle ritenute operate sulle somme erogate. Conseguentemente, il credito d’imposta, quale strumento volto a recuperare crediti nei confronti dell’Erario, non ha ragione di essere utilizzato dalle Amministrazioni dello Stato.

Relativamente alla restituzione di somme indebitamente erogate dalle Istituzioni scolastiche, è possibile usufruire del credito d’imposta solamente per i compensi erogati con fondi di bilancio, sui quali l’Istituzione scolastica opera, all’atto del pagamento, una ritenuta a titolo di acconto IRPEF, con obbligo di rivalsa. Diversamente, il diritto al credito d’imposta non può essere esercitato quando si tratta di restituire somme erogate attraverso la piattaforma NoiPA, sulle quali viene effettuata una “ritenuta diretta”.

Doverosità dell’azione di recupero nella P.A.

Nell’ambito del tema della restituzione delle somme indebitamente percepite dal dipendente, riteniamo utile fare un breve cenno in merito alla doverosità dell’azione di recupero da parte della Pubblica Amministrazione.

Il recupero di somme indebitamente erogate dalla P.A. ai suoi dipendenti è un atto doveroso, che costituisce esercizio di un diritto soggettivo a cui non è possibile rinunciare, in quanto è teso al conseguimento di finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate.

L’azione di recupero discende direttamente dalla previsione di cui all’art. 2033 del codice civile, il quale prevede che «chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda».

La doverosità del recupero esonera l’Amministrazione dal fornire una specifica motivazione agli atti relativi, è sufficiente che chiarisca le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto alle somme erroneamente corrispostegli e oggetto dell’azione di ripetizione.

Inoltre, nell’adottare gli atti di recupero dell’indebito, la P.A. non deve considerare, come ostacolo, l’eventuale buona fede del percipiente. Deve tuttavia procedere con modalità non eccessivamente gravose per il dipendente per non compromettere le sue esigenze di vita, anche attraverso forme di rateizzazione degli indebiti.

È bene evidenziare che l’azione di recupero delle somme indebitamente erogate risente del tempo. Al credito restitutorio da indebito oggettivo della P.A., infatti, si applica la prescrizione decennale. Il decorso del termine prescrizionale può essere interrotto mediante l’adozione di atti di costituzione in mora, consistenti nella notifica al soggetto obbligato di apposita pretesa scritta contenente l’indicazione esatta del debito di cui si chiede la restituzione e la relativa intimazione ad adempiere entro una data certa.

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