Sinergie di Scuola

L’espressione “alto potenziale cognitivo” sembra descrivere una condizione invidiabile per un soggetto, specialmente se riferita ad un minore durante il suo percorso scolastico.

Siamo infatti orientati a pensare che si tratti di persone favorite dalla sorte, che non avranno mai problemi nell’affrontare la vita e le sfide che quest’ultima comporta.

Tale pensiero, tuttavia, trae origine da stereotipi, gli stessi che inducono erroneamente a ritenere sinonimi alcuni termini come “plusdotato”, “eccellenza”, “merito”.

Quest’ultimo concetto – oggi più che mai attuale nell’ambito degli orientamenti ministeriali – non viene correttamente interpretato qualora lo si definisca in base ai risultati raggiunti con riferimento a standard predefiniti.

In altre parole, poiché risulta necessario conciliare la logica del merito con quella dell’inclusione, deve considerarsi meritorio, a buon diritto, qualunque sforzo finalizzato allo sfruttamento delle potenzialità individuali e all’evoluzione progressiva delle stesse.

Quanto al termine “eccellenza”, il suo significato prevalente è quello di “tensione ideale verso il perfezionamento”, tensione che spesso viene mantenuta con la competizione.

Non a caso, la normativa ministeriale, nell’occuparsi di «incentivare l’eccellenza degli studenti, ottenuta a vario titolo sulla base dei percorsi di istruzione» definisce annualmente le iniziative finalizzate ad individuare le competizioni da inserire nel Programma per la valorizzazione delle eccellenze.

Le proposte in questione sono comunque orientate alla selezione e non sempre incidono significativamente sulla quotidianità dell’esperienza scolastica.

Il loro scopo, infatti, è quello di premiare gli studenti con punteggio di 100 e lode nell’esame di Stato, ovvero i vincitori di competizioni, nazionali e internazionali.

Eccellenza e alto potenziale cognitivo

A questo punto è opportuno chiederci se il concetto di “eccellenza” equivalga a quello di “alto potenziale cognitivo”, e se descriva una situazione contestualizzabile anche nei precedenti anni di scuola nei quali, prima della competitività, è necessario sviluppare la capacità di interagire e di relazionarsi con i pari.

È possibile riscontrare segnali di alto potenziale intellettivo durante tutte le tappe di sviluppo dell’individuo.

In campo educativo, comunque, nelle prime fasi dell’età evolutiva dovrebbe essere preso come riferimento il Modello delle intelligenze multiple di Howard Gardner: in tal senso si dovrebbe offrire una didattica articolata, consentendo a tutti di sperimentare una vasta gamma di esperienze idonee a creare i presupposti affinché, nel tempo, possano emergere (oltre alle potenzialità di ciascuno) anche le “aree di eccellenza”.

Va inoltre tenuta sempre presente la necessità di considerare, nel percorso scolastico, sia la componente cognitiva sia quella comportamentale, che si declina nella capacità di comunicare, interagire in modo cooperativo, seguire le regole ecc.

Il delicato equilibrio che deve essere mantenuto tra le suddette componenti rischia, invece, di essere compromesso da una gestione delle attività didattiche basata prevalentemente su modelli trasmissivi del sapere.

Un contesto di apprendimento così strutturato, infatti, può anche favorire l’emergere di capacità cognitive avanzate, ma rischia di orientare le stesse unicamente alla logica del “primo della classe”, dando avvio a dinamiche competitive precoci che, se non gestite efficacemente, possono generare conflitti e isolamento. Non dimentichiamo che, al contrario, uno degli scopi fondamentali della formazione è quella di mettere l’individuo nelle condizioni di rendere disponibile il proprio valore in seno alla collettività.

I Gifted children

Un discorso a parte riguarda, tuttavia, una percentuale di bambini (il 5%, secondo alcuni studi di settore) che possono già precocemente essere definiti “plusdotati” (i cosiddetti gifted children, come vengono chiamati in ambito internazionale). Il mancato riconoscimento di tale condizione può, infatti, esporre tali soggetti al rischio di compromissione dello sviluppo affettivo e relazionale. Come si può essere certi che un individuo sia un “soggetto plusdotato”?

Non sono poche le situazioni in cui tale attributo viene collegato tout court con l’ottenimento di risultati brillanti nel campo dell’apprendimento: è il caso di alcuni genitori che, ragionando in tal modo, rischiano di sottoporre il proprio figlio a stress per rimanere costantemente all’altezza delle aspettative familiari.

Per inciso, tale problematica emerge anche nel momento dell’eventuale scelta di frequenza anticipata della scuola primaria, vista soprattutto come strumento di ulteriore stimolo dell’intelligenza dei bambini. Anche se nelle situazioni di “precocità intellettiva” l’anticipazione può sembrare la soluzione più idonea, la scelta deve comunque tener conto di tutti gli aspetti della personalità del bambino (ad esempio, la capacità di rimanere fermo e di concentrarsi per i tempi richiesti, di controllo dell’emotività ecc.).

Quest’ultima riflessione introduce ad una gamma di situazioni che vanno correttamente definite per evitare di incorrere in errori educativi che potrebbero portare conseguenze nel percorso di sviluppo del minore.

La precocità intellettiva si riscontra in soggetti che acquisiscono alcune capacità (es. di comunicazione verbale) prima della media degli altri bambini di pari età. Il talento, inoltre, consiste nel raggiungimento di risultati superiori alla media limitatamente ad una o più aree.

Parlare di plusdotati, significa, invece, riferirsi innanzitutto ad una capacità cognitiva eccezionalmente superiore alla media cioè, in altri termini, ad un QI superiore a 130. Tale aspetto deve essere rilevato attraverso specifici test d’intelligenza, validati e standardizzati, eseguiti da uno specialista.

Le linee guida emanate nel 2018 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi precisano, tuttavia, che il risultato ottenuto ai test somministrati può ritenersi significativo ma non sufficiente a definire la condizione di plusdotato.

Devono infatti essere compresenti altri fattori inerenti il livello avanzato del linguaggio, del ragionamento, della memoria, della motivazione ad apprendere, della creatività ecc.

La definizione di plusdotazione risulta essere, in effetti, una vera e propria diagnosi, che oltre ai sopra elencati elementi positivi può rilevare e certificare altri fattori o segni clinici.

Gli alunni in questione possono manifestare ansia, stress, aggressività o tendenza all’isolamento.

In essi si riscontra spesso una forte impulsività, una manifesta irrequietezza, una tendenza alla distrazione dovuta al fatto che le attività scolastiche risultano poco stimolanti.

Si potrebbe affermare, a questo punto, che i minori in questione vadano addirittura ritenuti “alunni con disturbi specifici”. Purtroppo, è proprio così.

L’espressione “plusdotato” può connotarsi come diagnosi di una situazione di non sempre facile gestione, che richiede specifici interventi (in stretta collaborazione con le famiglie).

La nota ministeriale 562 del 3/04/2019 sancisce l’appartenenza degli alunni e degli studenti ad alto potenziale intellettivo all’ambito dei BES. In questi casi, deve essere attuata una personalizzazione degli insegnamenti che preveda l’utilizzo di particolari strategie (con eventuale formalizzazione di un percorso di personalizzazione in un PDP) da definire in ambito collegiale (Consiglio di classe o Equipe pedagogica).

Non è raro, infatti, che i suddetti elementi di potenziale criticità conducano a manifestazioni di disagio. Il rischio principale è quello di incontrare difficoltà relazionali legate allo scompenso tra sviluppo cognitivo e sviluppo emotivo, che può facilmente evolvere in un isolamento dal gruppo, operato sia dal soggetto stesso sia dai pari età.

Possono presentarsi problematiche di autocontrollo dipendenti proprio dalla facilità ad apprendere, che induce a non tollerare i tempi e gli sforzi compiuti dagli altri per giungere alla soluzione dei problemi.

L’abilità innata può condurre alla convinzione di “essere superiori”, in quanto il successo delle proprie azioni è garantito mentre non lo è per i coetanei (o, a volte, addirittura per gli adulti). Inutile dire che questo atteggiamento è complicato e potenziato dal comportamento di quei genitori che incoraggiano la supervalutazione del proprio figlio anziché sostenerlo nel percorso di scoperta del valore dell’“altro da sé”.

Un fattore che complica la relazione educativa con i soggetti plusdotati in età evolutiva consiste, poi, nel catalogare erroneamente comportamenti di disattenzione e/o iperattività come “sindromi” riscontrabili anche in bambini affetti da disturbi del neuro sviluppo.

Va comunque precisato che, al momento attuale, la diagnosi di ADHD viene attribuita ad un numero sempre crescente di bambini anche se, a volte, un alto livello di attività potrebbe essere un fenomeno evolutivo proprio dell’età infantile, ovvero essere legato a problematiche sul piano emotivo.

In ogni caso, un alunno ad alto potenziale cognitivo si distingue per la capacità di ricostruire un discorso pur avendo dato l’impressione di non aver prestato attenzione al docente che lo ha formulato.

Ricordiamo, infine, che le reazioni agli accadimenti manifestate dai minori ad alto potenziale intellettivo dipendono dall’amplificazione delle loro emozioni.

In conclusione va quindi evidenziato che, anche se dispongono di un alto potenziale intellettivo, la scuola deve impegnarsi a fornire loro tutti gli strumenti che consentano loro di vivere nella società del presente e del futuro.

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