Sinergie di Scuola

È fatta: si è appena conclusa la fase cruciale delle valutazioni quadrimestrali. È il momento di tirare il fiato, in vista delle nuove fatiche di fine anno scolastico.

Così la pensano i genitori degli alunni, che hanno appena affrontato il momento fatidico di fine quadrimestre e hanno, nella maggior parte dei casi, già provveduto a premiare (o a sanzionare) i risultati ottenuti dai propri figli.

Questo atteggiamento in alcune famiglie è talmente consolidato da risultare pressoché immodificabile: i voti in pagella sono quasi sempre considerati la meta cui i figli debbono tendere, e la fine di ciascun quadrimestre rappresenta l’occasione principale (se non l’unica) di verifica del loro percorso scolastico.

L’attenzione dei genitori degli alunni verso gli altri momenti valutativi risulta decisamente meno significativa rispetto alla certificazione quadrimestrale degli apprendimenti.

Questo spiega, per inciso, anche lo scarso interesse generalmente riservato alla valutazione nella scuola dell’infanzia, conseguente al mancato riconoscimento – da parte dei genitori – del valore dell’aspetto formativo della stessa. Riprenderemo più avanti tale argomento.

Tornando alle operazioni di valutazione quadrimestrale, va sottolineato che al termine delle stesse, anche i docenti avvertono una sorta di rilassamento da “pausa post fatica”.

Valutazione nella scuola primaria

Con particolare riferimento alla scuola primaria, non si può indubbiamente negare che gli adempimenti necessari alla certificazione degli apprendimenti di metà anno scolastico attualmente comportino un particolare sforzo. L’impegno prevalente, tuttavia, sembra riferirsi soprattutto alla difficile azione di correlare la rilevazione ordinariamente condotta con gli indicatori e descrittori prescritti dalle nuove modalità di valutazione degli apprendimenti introdotte con D.L. 22 dell’8/04/2020, modificato dalla Legge 41 del 6/06/2020, dalla nota ministeriale 2158 del 4/12/2020 e dall’O.M. 172 del 4/12/2020.

Considerate le difficoltà connesse con il cambiamento, quest’ultima ordinanza, all’art. 6, prevede che «a partire dall’anno scolastico 2020/2021 e per un biennio, azioni di formazione finalizzate a indirizzare, sostenere e valorizzare la cultura della valutazione e degli strumenti valutativi nella scuola primaria, tenendo a riferimento le Indicazioni Nazionali».

In effetti, si è da poco conclusa una selezione pubblica finalizzata alla creazione di una graduatoria di docenti idonei a partecipare alla formazione dei formatori sulle tematiche in questione.

A breve il Ministero predisporrà le iniziative da inserire nell’ambito del piano triennale di formazione degli insegnanti, attraverso il quale si cercherà di fornire un supporto operativo per applicare in situazioni concrete il legame (esplicitato nelle “Linee guida per la formulazione dei giudizi descrittivi nella valutazione periodica e finale della scuola primaria”) tra i livelli di apprendimento (avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione) e le seguenti dimensioni: autonomia, continuità, tipologia della situazione e risorse mobilitate.

L’analisi e la chiarificazione dei suddetti aspetti è comunque destinata a riportare alla luce gli stessi problemi – già diffusamente emersi nella compilazione della certificazione delle competenze – che riguardano il difficile collegamento tra la valutazione e la progettazione.

Spesso, infatti, le difficoltà che i docenti incontrano a fine quadrimestre nell’utilizzo dei criteri definiti dalle nuove norme dipendono dalla mancata applicazione dei criteri stessi nelle pratiche valutative quotidiane, che risultano invece più conformi ad un programma rigidamente predefinito.

È appena il caso di ribadire la più volte sottolineata impossibilità di collegare una progettazione regolata sui contenuti con una valutazione per livelli e dimensioni di apprendimento (che prevede la personalizzazione dei percorsi, la flessibilità degli interventi e delle strategie didattiche ecc.).

È evidente che i nuovi giudizi valutativi, per avere un significato non formale ma sostanziale, devono necessariamente far parte di un sistema di insegnamento/apprendimento in atto durante tutto l’anno scolastico.

Valutare l’intero percorso scolastico

Per chiarire ulteriormente i termini di questo discorso (che non si limita alla scuola primaria) dovremmo considerare, come s’è precedentemente accennato, l’intero percorso scolastico del minore a partire dalla scuola dell’infanzia.

Anzi: potremmo addirittura affermare che dovrebbe essere compresa nel percorso in questione l’intera fascia d’età 0-6, in linea con le osservazioni presenti nel D.M. 334 del 22/11/2021 di “Adozione delle Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei di cui all’art. 10, comma 4 del D.Lgs. 65 del 13/04/2017”.

Negli allegati “Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia”, alla voce “Curricolo e progettualità: le scelte organizzative” si afferma la necessità di pensare ad un curricolo unitario come «prospettiva che può favorire la costruzione della continuità 0-6, la comunicazione ai genitori, la valutazione e la rendicontazione della qualità del servizio».

Può sembrare una forzatura parlare di curricolo in contesti educativi dedicati ai primi tre anni di vita, ma è del resto evidente che nel primo segmento formativo la valutazione non può configurarsi come giudizio in merito ai risultati ottenuti dai bambini. Essa rappresenta infatti soprattutto uno strumento fondamentale della professionalità educativa che si traduce nella capacità di verifica della validità delle attività proposte.

L’approccio valutativo rispetto ai primi passi dei minori nel mondo educativo extra-familiare può essere connotato dall’aggettivo “democratico” in quanto non ha l’obiettivo di certificare le competenze dei minori, ma di rilevare l’adeguatezza del servizio fornito rispetto ai bisogni rilevati, e si fonda concretamente e costantemente sulla partecipazione attiva di tutti le componenti messe in gioco.

La prosecuzione di tale processo nella scuola dell’infanzia ci porta a definire “mite” la tipologia di valutazione che deve essere posta in atto in tale ordine scolastico. Il pedagogista Raffaele Iosa, che è stato per molti anni Dirigente Tecnico del Ministero dell’Istruzione, parla di «un approccio non sanzionatorio né classificatorio in scale su ogni bambino/a, ma una seria, serena e non ansiogena riflessione in azione sul fare della scuola in tutti i suoi soggetti (chi insegna e chi impara), che approfondisca i punti di successo e quelli di difficoltà come chiave proiettiva per costruire miglioramenti e adeguamenti del processo di apprendimento/insegnamento».

Queste affermazioni chiariscono – se mai ce ne fosse bisogno – che, analogamente a ciò che dovrebbe accadere nei primi anni di vita, anche in un contesto di bambini dai 3 ai 6 anni la valutazione non può essere identificata con la misurazione di determinate abilità e la successiva traduzione della stessa in un documento.

Principali finalità della valutazione nella fascia 0-6 anni

Nella mia esperienza (tuttora in atto) di Presidente di Commissione del concorso ordinario per l’accesso ai ruoli nella scuola dell’infanzia ho il piacere di constatare che la maggior parte delle nuove insegnanti hanno ben chiare le principali finalità della valutazione riferita alla fascia d’età 3-6 anni: quella diagnostica e quella autovalutativa.

Queste finalità coesistono in tutte le fasi di svolgimento delle unità di apprendimento: si valuta per assicurarsi che gli alunni possiedano i prerequisiti necessari, si valuta durante il percorso didattico per una prosecuzione o riprogrammazione delle attività proposte, si valuta per verificare – al termine dell’esperienza – la partecipazione, l’interesse, le competenze acquisite e le eventuali difficoltà emerse da parte degli alunni. Anche quest’ultima verifica non assume mai, comunque, la veste di “giudizio” ma diventa strumento per la progettazione di tappe successive.

L’autovalutazione viene attuata sia dagli alunni, nell’ottica dello sviluppo della coscienza di sé e delle proprie capacità, sia dai docenti, per una riflessione sul proprio operato necessaria all’esito positivo delle iniziative didattiche intraprese.

In un contesto così strutturato l’alunno non si sente nella condizione di “sostenere un esame” nel senso tradizionale del termine: gli strumenti principali di acquisizione di informazioni sull’evoluzione degli apprendimenti di ciascun alunno non sono schede su cui mettere crocette, ma osservazioni condotte dagli insegnanti con un atteggiamento non giudicante.

Di conseguenza, la rilevazione delle criticità non ha una connotazione sanzionatoria ma viene utilizzata come espressione di un bisogno cui l’insegnante deve dare risposta, individuando e successivamente applicando la strategia adatta a far evolvere la situazione.

Da una valutazione condotta in tali termini emergono inoltre i diversi stili cognitivi, i talenti emergenti, le attitudini: elementi costituenti i fondamenti di quell’azione orientativa che dovrebbe caratterizzare l’intero percorso scolastico di ciascun soggetto, per sfociare, alla fine dello stesso, nel “progetto di vita”.

Purtroppo, a detta di molti insegnanti che operano nella scuola dell’infanzia, questo tipo di valutazione – non avendo finalità statistiche né valore di “certificazione” all’esterno – spesso non viene accolta con particolare interesse da parte delle famiglie, abituate tradizionalmente a considerare solo voti e giudizi standardizzati a partire dalla scuola primaria.

La generalizzazione di tale atteggiamento a livello di opinione pubblica e la possibile condivisione di questo punto di vista anche da parte di alcuni docenti di scuola primaria rendono inevitabili alcuni fenomeni contrari ad una gestione ottimale della continuità valutativa tra ordini di scuola.

Documenti di passaggio

Parliamo, ad esempio, di documenti di passaggio e test d’ingresso basati su rilevazioni preconfezionate di competenze predisciplinari (es. di prescrittura, prelettura, precalcolo).

Se la valutazione di ciascun alunno nei primi approcci al nuovo segmento di formazione si basa prevalentemente su questi elementi, è evidente che anche le successive valutazioni difficilmente potranno inquadrarsi nelle già citate dimensioni (autonomia, tipologia della situazione, risorse mobilitate per portare a termine il compito e continuità nella manifestazione dell’apprendimento) e nei livelli (avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione) inerenti la “nuova” valutazione degli alunni dai 6 agli 11 anni e presenti nelle Linee guida ministeriali.

L’allineamento potrebbe, piuttosto, crearsi con quelle rilevazioni condotte nella scuola dell’infanzia che utilizzano i medesimi criteri e linguaggi per identificare e descrivere i livelli di apprendimento raggiunti dagli alunni.

Tra parentesi, i parametri enunciati dal D.L. 22/2020 sono in sintonia anche con i descrittori già da tempo adottati nel Modello di certificazione delle competenze, che notoriamente non ha avuto molta fortuna in termini di interesse da una certa parte di famiglie e di docenti ancora lontani da un modello di scuola diverso da quello basato prevalentemente su lezioni frontali e verifiche standardizzate.

Valutazione nella secondaria di primo grado

Continuando la riflessione in merito alla valutazione scolastica si osserva che, nella scuola secondaria di primo grado, la funzione certificativa assume una crescente importanza rispetto alla funzione formativa.

La motivazione di tale stato di cose (che porta molti Consigli di classe a considerare l’alunno nella sua interezza di “persona” quasi esclusivamente – e non sempre – solo al momento della valutazione del comportamento) risiede nell’impiego di voti numerici collegato alla separazione tra le varie discipline di studio.

Non si può purtroppo affermare che la didattica per competenze, l’interdisciplinarità, la realizzazione di attività didattiche basate su compiti di realtà e metodologie attive (es. cooperative learning), pur facendo parte almeno a livello teorico della preparazione professionale di molti docenti, abbiano trovato uno spazio realmente significativo nella gestione della quotidianità scolastica.

Quest’ultima continua ad essere soggetta ad un’organizzazione di spazi e tempi (es. quadri orari settimanali, vincoli nell’utilizzo dell’organico ecc.) che, di fatto, rende molto problematica una diversa strutturazione delle attività di insegnamento/apprendimento.

Di conseguenza, tale condizione induce spesso i docenti a limitare la funzione valutativa propria del loro ruolo alla definizione (anche in nome di una presunta equità) di un valore numerico oggettivamente corretto, basato su medie matematiche.

Sulla base di queste considerazioni appare inevitabile che lo studente sia condizionato a fornire risposte attese e standardizzate alle richieste formulate dai docenti anche in occasione degli esami finali (vedi ad esempio la ricerca di tesine già fatte e “pronte da scaricare”).

Anche se è passato qualche anno, ricordo ancora i percorsi preconfezionati presentati da alcuni ragazzi nel corso dello svolgimento delle prove orali e il loro modo di esporli, che rivelava il fatto di aver imparato a memoria anche i “collegamenti tra discipline”!

L’esame conclusivo del secondo ciclo

Mantenendo questa prospettiva, si rischia di non raggiungere neppure nell’ultimo tratto della vita scolastica (cioè al termine della scuola secondaria di II grado) la consapevolezza delle proprie reali capacità, nonché dell’utilità e spendibilità dei saperi e delle conoscenze acquisite.

Quest’anno nell’esame di Maturità, secondo la bozza di Ordinanza non ancora approvata nel momento in cui scrivo, non ci sarà la “tesi di diploma” che avrebbe dovuto avere un taglio multidisciplinare, basarsi su un argomento assegnato dai docenti ed essere incentrata sulle discipline d’indirizzo.

Non si sarebbe trattato, nei fatti, di una vera e propria novità: nei due anni scolastici precedenti, infatti, le Commissioni per gli esami di Stato si sono avvalse della presentazione di elaborati incentrati sulle materie che, nella situazione ordinaria pre-Covid, venivano valutate con la seconda prova.

È certo che, a seguito dell’ordinanza ministeriale relativa al 2022, un ruolo fondamentale nell’esame – che verrà sostenuto in presenza – sarà giocato dalla seconda prova, il cui scopo, stanti le disposizioni contenute nel D.Lgs. 62 del 13/04/2017, è quello «di accertare le conoscenze, le abilità e le competenze attese dal profilo educativo culturale e professionale della studentessa o dello studente dello specifico indirizzo».

I maturandi valutano come particolarmente impegnativa tale prova, forse proprio in considerazione dell’ottica multidisciplinare della stessa, che non sempre coincide con l’impostazione dello studio, nel corso dell’anno scolastico, nelle varie materie scolastiche.

Ricordiamo che, comunque, lo studente avrà anche occasione di farsi conoscere “di persona” nel corso della prova orale, parte della quale sarà riservata alla discussione in merito all’esperienza di PCTO (ex alternanza scuola-lavoro), che ha come fine ultimo l’acquisizione di competenze e conoscenze spendibili nel successivo “progetto di vita”.

Anche in questo caso, il web offre molti spunti d’impostazione della presentazione di questa esperienza (struttura, scalette ecc.) nonché “pacchetti” da utilizzare con qualche modifica, come se il solo obiettivo fosse quello di “fare buona impressione” sulla Commissione.

Giunti a questo punto sarebbe il caso, invece, di capire se i nostri giovani hanno preso coscienza delle autentiche competenze acquisite e se sono in grado di orientarle nella costruzione del proprio futuro. Bisognerebbe, infine, ragionare sul valore degli esami e sulla necessità di strumenti e metodi atti a far emergere le reali potenzialità sviluppate, piuttosto che indurre ad esibire una semplice preparazione formale.

Ogni valutazione relativa alle persone dovrebbe, peraltro, essere condotta sulla base di questi principi. Sarebbe opportuno, in tal senso, anche un ripensamento inerente l’efficacia delle procedure concorsuali nel selezionare i soggetti più adatti a ricoprire un ruolo.

Non dimentichiamo, infatti, che gli esami continuano lungo tutto il corso della vita e, proprio per questo, dovrebbero servire a collocare ogni individuo al “suo” posto nel mondo.

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