La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 27581 del 2/12/2020, è tornata ad occuparsi del presunto potere del Dirigente scolastico di infliggere la sanzione della sospensione dal servizio, fino a 10 giorni, al docente che abbia commesso un illecito disciplinare.

Presunto perché, da un lato, esso è stato espressamente riconosciuto al preside da alcune fonti normative, soprattutto in ultimo dalla Riforma Madia, D.Lgs. 25/05/2017, n. 75, in vigore dal 22 giugno 2017, mentre dall’altro è contestato dall’interpretazione giurisprudenziale più recente che, facendo leva anche sul CCNL del comparto istruzione e ricerca 2016-2018 – il quale lascia di fatto inalterate le norme sanzionatorie previste per le infrazioni del codice disciplinare dei docenti, contenuta nel testo unico della scuola (D.Lgs. 297/1994) – considera tale potere sospensivo di esclusiva competenza dell’Ufficio dei procedimenti disciplinari, incardinato presso l’Ufficio Scolastico Regionale.

Procediamo però con ordine, partendo dalla ricostruzione dei fatti contenuta nella suddetta ordinanza, come riportata anche da alcuni siti on-line.

Docente che impartisce lezioni private

La Cassazione ha rigettato il ricorso del MIUR contro la pronuncia della Corte d’appello che aveva dichiarato l’incompetenza del Dirigente scolastico ad infliggere la sanzione disciplinare della sospensione di una docente per un giorno dall’insegnamento, essendosi ella macchiata della colpa di avere impartito lezioni private ad alunni frequentanti la sua scuola.

La stessa Corte d’appello aveva ritenuto che l’irrogazione della sospensione travalicasse i poteri sanzionatori del Dirigente, che dovevano essere limitati all’applicazione dell’avvertimento scritto o, al massimo, della censura, rimanendo competente, per le sanzioni disciplinari di maggiore gravità, l’Ufficio dei procedimenti disciplinari presso l’USR.

Le questioni giuridiche da esaminare sono, quindi, sostanzialmente due:

  1. Può l’insegnante impartire lezioni private ad alunni della scuola in cui presta servizio?
  2. In caso di risposta negativa, può essere sospeso dall’insegnamento direttamente dal Dirigente scolastico?

In merito al primo quesito non sorgono dubbi interpretativi. Il Testo unico della scuola, all’art. 508, chiaramente statuisce, in materia di incompatibilità, che:

L’articolo prosegue stabilendo che contro «il provvedimento del direttore didattico o del preside è ammesso ricorso al provveditore agli studi, che decide in via definitiva, sentito il parere del consiglio scolastico provinciale» (ovviamente è da ricordare che le competenze del provveditorato agli studi sono state trasferite, da circa venti anni, all’Ufficio Scolastico Regionale e alle sue articolazioni territoriali).

Conclude la norma, per ciò che a noi interessa, evidenziando che «Nessun alunno può essere giudicato dal docente dal quale abbia ricevuto lezioni private; sono nulli gli scrutini o le prove di esame svoltisi in contravvenzione a tale divieto».

La corretta risposta al secondo quesito, invece, comporta un ragionamento e una ricostruzione normativa e interpretativa di maggiore complessità.

Ci viene in soccorso quanto deciso precedentemente all’ordinanza che si commenta dalla stessa Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 28111/2019, pronunciata sempre in tema di erogazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento e dalla retribuzione verso un docente, ad opera del Dirigente scolastico, per un periodo questa volta di 5 giorni.

Competenza ad irrogare le sanzioni disciplinari ai docenti

Partiamo dall’individuazione delle norme che puniscono gli illeciti disciplinari dei docenti.

Esse sono contenute nel Titolo I, Capo IV della Parte III del D.Lgs. 297/1994 (v. Cass., n. 5706/2017), e la loro vigenza è stata ribadita sia nel CCNL Scuola 29/11/2007, all’art. 91, sia dal successivo CCNL Scuola (rectius Istruzione e Ricerca) per il triennio 2016-2018 che, all’art. 29 ha statuito (in attesa di una specifica sessione negoziale a livello nazionale durante la quale verrà ridefinita, per il personale docente ed educativo delle Istituzioni scolastiche, la tipologia delle infrazioni disciplinari e le relative sanzioni) che resta fermo quanto stabilito «dal Capo IV Disciplina, Sezione I Sanzioni disciplinari del D.Lgs. 297 del 1994».

Rimane quindi tuttora applicabile sia la Sezione I del Testo unico della scuola, che reca “Sanzioni disciplinari”, e che dall’art. 492 all’art. 498 delinea un sistema crescente di sanzioni irrogabili al personale direttivo e docente della scuola, graduato per gravità delle infrazioni: censura (art. 493), sospensione dal servizio (artt. da 494 a 497), destituzione (art. 498); sia la Sezione II, che reca “Competenze, provvedimenti cautelari e procedure”, e che oltre a dettare alcune regole di procedura rinvia per quanto non previsto, per il tramite dell’art. 507, al D.P.R. 3/1957, artt. da 100 a 123.

Mentre questi articoli del Testo unico della scuola ci indicano quali comportamenti dei docenti siano meritevoli di sanzioni disciplinari, il D.Lgs. 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego) indica i principi per stabilire la competenza degli organi legittimati ad irrogare tali sanzioni, che abbiamo visto essere sia il Dirigente scolastico, sia l’Ufficio dei procedimenti disciplinari presso l’USR.

Il suddetto D.Lgs. 165/2001 è stato oggetto di una prima modificazione, conosciuta come Riforma Brunetta, introdotta con il D.Lgs. 27/10/2009, n. 150, con la quale è stato affidato al Dirigente delle amministrazioni pubbliche, quindi anche al Dirigente scolastico, la piena ed esclusiva competenza per avviare e concludere l’intero procedimento relativo alle seguenti sanzioni disciplinari:

Per tutte le altre sanzioni più gravi la competenza è stata assegnata all’Ufficio per i procedimenti disciplinari.

L’impianto della Riforma Brunetta è stato confermato, per quanto riguarda il potere sanzionatorio disciplinare del Dirigente scolastico, dalla già citata Riforma Madia, la quale, modificando l’art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001, ha statuito: «Per il personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, il procedimento disciplinare per le infrazioni per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni fino alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per dieci giorni è di competenza del responsabile della struttura in possesso di qualifica dirigenziale e si svolge secondo le disposizioni del presente articolo. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge dinanzi all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari».

A questo punto, leggendo il testo dell’art. 55-bis citato, non sembrerebbero sorgere dubbi circa il potere del preside di irrogare ai docenti sanzioni disciplinari sospensive, purché entro il limite dei 10 giorni.

Invece contro il potere sospensivo concesso al Dirigente scolastico dalla Riforma Madia sono fioccati ricorsi ai giudici del lavoro, che sono arrivati innanzi alla Cassazione, che, con le ordinanze che abbiamo citato sopra, ha messo in discussione tale potere dirigenziale.

La Cassazione infatti, sia con l’ordinanza n. 28111/2019, sia con la successiva n. 27581 del 2/12/2020, ha evidenziato che il D.Lgs. 75/2017 ha bensì riconosciuto al Dirigente scolastico la competenza ad infliggere la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio fino a 10 giorni sia nei riguardi del personale docente che del personale ATA; tuttavia, mentre per quest’ultimo tale misura punitiva è espressamente prevista dall’art. 12 del CCNL comparto Istruzione e Ricerca per il triennio 2016-2018, per il personale docente trova ancora applicazione, in attesa di una specifica sessione negoziale di cui si è detto, la sanzione della sospensione dall’insegnamento fino a un mese, prevista dagli artt. 492 e 494 del Testo unico della scuola, tuttora vigenti (proprio grazie al richiamo effettuato nella contrattazione collettiva di comparto).

Quindi gli Ermellini hanno ritenuto che il Dirigente scolastico non potrebbe irrogare nei confronti dei docenti e del personale educativo la sanzione della sospensione fino a 10 giorni perché non espressamente prevista nell’ordinamento degli insegnanti.

Cosa deve fare dunque il DS

C’è però di più. Dal ragionamento sviluppato dalla Corte di Cassazione si evince che il Dirigente scolastico, una volta individuato il comportamento illecito del docente, se esso è ritenuto inquadrabile negli articoli del D.Lgs. 297/1994 che ne prevedono la sospensione (si consideri, a titolo esemplificativo, il comportamento previsto dall’art. 494 alla lettera d, per il quale consegue la sospensione fino ad un mese per avere omesso di compiere gli atti dovuti in relazione ai doveri di vigilanza), deve trasmettere i documenti al competente Ufficio per i procedimenti disciplinari, come prevede lo stesso Decreto Brunetta.

Quest’ultimo precisa che «[...] comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi di quelle indicate nel primo periodo» – cioè quelle che prevedono, in astratto, una sanzione sospensiva superiore a 10 giorni – «il procedimento disciplinare si svolge dinanzi all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari», a nulla rilevando la circostanza che, in concreto, egli ritenga di irrogare una sospensione sino a 10 giorni: questo perché ciò che conta è la sanzione astrattamente irrogabile (la sospensione sino ad un mese, ad esempio, come prevista dall’art. 494 citato) e non la sanzione concreta che il Dirigente scolastico ritiene di applicare (es. 5 giorni di sospensione).

D’altra parte, ribadisce la Cassazione, se non fosse così «si determinerebbe il paradosso che l’individuazione dell’organo competente, da cui discende anche la determinazione delle regole procedurali applicabili, avverrebbe sulla base di un dato incerto ed opinabile [il lavoratore non avrebbe certezza dell’organo competente ad irrogare la sanzione se non dopo che essa è stata decisa, in concreto, dal Dirigente scolastico e] che ben potrebbe essere smentito all’esito del procedimento medesimo svoltosi secondo le suddette regole».

Il ragionamento della Corte di Appello

Per capire e, contemporaneamente, riassumere i principi di diritto sin qui espressi, si ritiene utile riportare i passi principali della decisione della Corte di Appello di Milano n. 286/2020, che ha ribadito che il Dirigente scolastico non ha competenza in merito al procedimento disciplinare nei confronti dei docenti, relativo alle infrazioni per le quali è prevista la sanzione della sospensione dall’insegnamento. Infatti, la possibilità per il preside di comminare la sanzione della sospensione dal servizio fino a dieci giorni, prevista dal citato art. 55-bis, comma 9-quater del D.Lgs. 165/2001, è solo potenziale perché, per il personale docente, è attualmente prevista solo la diversa sanzione della sospensione dall’insegnamento (e non dal servizio) fino a un mese, ovvero da oltre un mese a sei mesi (art. 492 del D.Lgs. 297/1994).

La Corte milanese è stata chiamata a pronunciarsi in seguito alla richiesta di annullamento della sanzione di sospensione dal servizio, comminata dal Dirigente scolastico ad una docente della sua scuola, in seguito ad un alterco tra i due avvenuto durante un Collegio docenti e sfociato in insulti rivolti alla preside stessa.

Il procedimento era stato avviato contestando formalmente i seguenti addebiti:

  1. mancanze riguardanti i doveri inerenti alla funzione docente e ai doveri d’ufficio;
  2. atti non confarmi alla correttezza inerenti alla funzione docente;
  3. condotta ingiuriosa in ambiente di lavoro, lesiva dell’onore e dignità personale altrui.

Il Dirigente scolastico, non accogliendo le giustificazioni addotte dalla docente, aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per tre giorni.

Ad avviso della insegnante, il citato provvedimento è stato illegittimo, in quanto il Dirigente scolastico non era legittimato ad irrogare la sanzione disciplinare della sospensione al personale docente. La competenza del Dirigente scolastico doveva ritenersi limitata alle infrazioni di minore gravità per le quali è prevista l’irrogazione di una sanzione inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni. Per il personale docente, a differenza di quanto disposto per il personale ATA, non è stata prevista infatti la sanzione della sospensione sino a dieci giorni.

L’art. 492 del D.Lgs. 297/1994, invero, ha previsto la sanzione interdittiva minima della «sospensione dall’insegnamento fino a un mese». Tale previsione radicherebbe la competenza dell’Ufficio dell’Amministrazione scolastica individuato ai sensi dell’art. 55-bis, comma 4 citato (ovverosia, dell’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari) e non del Dirigente scolastico, in quanto sarebbe necessario fare riferimento alla sanzione edittale e non a quella da applicarsi in concreto.

Da ciò conseguiva, ha concluso la docente, che quando all’insegnante fosse ritenuta applicabile la sospensione dal servizio, trattandosi di sanzione il cui massimo edittale (cioè previsto dalla norma) supera i 10 giorni, la stessa potrebbe essere irrogata solo dall’Ufficio per i procedimenti disciplinari ex art. 55-bis, comma 9-quater del D.Lgs. 165/2001.

Il MIUR ovviamente si è opposto a tale ricostruzione interpretativa delle norme citate, prospettando che la disposizione dell’art. 55-bis, comma 1 del D.Lgs. 150/2009 abbia comunque modificato il citato art. 492 del D.Lgs. 297/1994 in ragione del generale principio della successione delle leggi nel tempo, con la conseguenza che le sanzioni di minore gravità previste per il personale docente non potrebbero più ritenersi ora solo il rimprovero verbale e la censura, dovendosi aggiungersi alle stesse la sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a dieci giorni.

Tale dunque essendo la regola generale su cui si fonda l’attuale assetto normativo nella materia delle sanzioni disciplinari nel pubblico impiego, è evidente, ha aggiunto il MIUR, che tutte le disposizioni antecedenti potrebbero trovare applicazione solo nella misura in cui risultino compatibili con la nuova disciplina, mentre le parti in contrasto con quest’ultima dovrebbero ritenersi, per effetto dei principi generali in materia di successione delle leggi, tacitamente abrogate.

Conseguentemente, a detta del MIUR, l’art. 492 del D.Lgs. 297/1994 non dovrebbe esser più considerato l’unico dato normativo di riferimento in materia, dovendo esso venire applicato alla luce della normativa sopravvenuta e in un senso che appaia compatibile con quest’ultima, per cui se fosse vero che tale articolo non prende in espressa considerazione la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni (perché stabilisce fasce sanzionatorie diverse) sarebbe d’altra parte vero anche che esso va oggi integrato e interpretato in base a quanto previsto poi dall’art. 55-bis (che invece contiene la specifica previsione della sospensione disciplinare dal servizio sino a dieci giorni), come sostanzialmente confermato anche dalla Riforma Madia.

Le tesi del MIUR sono state respinte dalla Corte d’appello che, facendo riferimento, da ultimo, all’ordinanza n. 28111/2019 della Cassazione che abbiamo commentato sopra, ha evidenziato che «Se il principio generale è quello affermato dalla S.C., si deve ritenere che il riferimento contenuto nel novellato art. 55-bis, comma 9,quater del D.Lgs. 165/2001 (e precedentemente nel comma 1 del medesimo articolo) abbia pur sempre riguardo alla sanzione edittale (prevista ancora oggi dall’art. 494, comma 1, lettere a), b) e c), del D.Lgs. 297/1994) e non a quella da applicarsi in concreto.

Da ciò consegue che quando al docente sia ritenuta applicabile la sospensione dall’insegnamento e dalla retribuzione, trattandosi di sanzione il cui massimo edittale supera i 10 giorni, la stessa potrà essere irrogata solo dall’ufficio per i procedimenti disciplinari ex art. 55 bis, comma 9 quater, D.lgs.165/ 2001. Diversamente opinando, si violerebbero i principi basilari in materia di sanzioni disciplinari».

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