Sinergie di Scuola

Nonostante le competenze siano presenti da più di un decennio nella normativa scolastica, l’azione cui sono chiamate le Istituzioni Scolastiche in tema di certificazione si esauriscono ancora, in molti casi, in un’operazione di facciata, priva di connessioni e ripercussioni significative sul processo di insegnamento/apprendimento.

Eppure, volendo attenersi agli intenti riportati nelle Linee guida ex C.M. 43/2009 e soprattutto in quelle nazionali per l’orientamento permanente, di cui alla nota prot. 4232 del 19/02/2014, l’operazione dovrebbe essere connotata da attendibilità proprio perché condotta in una prospettiva orientativa.

L’importanza delle competenze

Per comprendere la complessità delle questioni irrisolte si può partire dalla lettura del documento “Indicazioni nazionali e nuovi scenari”, presentato al MIUR il 22 febbraio 2018 e frutto del lavoro del Comitato scientifico per le Indicazioni nazionali della scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione.

Al punto 3 del suddetto documento, parlando di educazione alla cittadinanza e alla sostenibilità, viene citata la definizione di “competenza” finalizzata alla convivenza democratica nel contesto europeo, così come fornita dalla Raccomandazione sul Quadro Europeo delle Qualifiche del 23 aprile 2008: «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia».

Al primo punto delle medesime Indicazioni si fa tuttavia menzione della «fatica di traghettare la didattica verso proposte, organizzazioni, ambienti di apprendimento che valorizzino l’autonomia e la responsabilità degli allievi», evidenziando «il perdurare di situazioni di disorientamento e incertezza e di resistenze ad abbandonare modelli didattici tradizionali di tipo prevalentemente trasmissivo».

È ovvio che se i docenti non riescono ad uscire da un atteggiamento di distacco, di diffidenza o di contrarietà di fronte alla richiesta di reimpostare (almeno in parte) il proprio modo di insegnare, qualsiasi discorso in tema di certificazione delle competenze rimane confinato sul piano della mera compilazione – per dovere d’ufficio – di un documento cui non viene, in realtà, attribuito un reale significato o valore.

Molti insegnanti ritengono ancora che il loro ruolo principale sia quello di “esperto della disciplina” e solo in seconda istanza considerano importanti, nel profilo professionale, i compiti di mediazione nelle relazioni, di stimolo alla motivazione, di orientamento attraverso l’osservazione e l’individuazione delle potenzialità presenti in ciascun alunno.

Di fatto, nella maggior parte dei casi il docente – specialmente se ha alle spalle parecchi anni di servizio – pensa che l’attenzione alle competenze porti a trascurare le conoscenze di base e l’acquisizione dei contenuti.

È innegabile che le competenze possano innestarsi solo su una base solida di apprendimento e consolidamento dei saperi di base. Tuttavia, è altrettanto inevitabile che, limitandosi alla sola didattica tradizionale, le azioni finalizzate a sviluppare e consolidare le competenze stesse trovino, in classe, uno spazio discontinuo, occasionale e limitato, spesso empiricamente conseguente alle caratteristiche individuali (es. capacità di empatia).

Non si tratta, quindi, di eliminare radicalmente lezioni ed esercitazioni, ma di prevedere situazioni specificatamente finalizzate a rilevare le competenze da certificare (e valutare).

In altre parole, il docente dovrebbe trovare spazi e contesti per “costruire” collegialmente “compiti significativi” in relazione alle esperienze e alle potenzialità degli alunni.

Attività di questo genere sono in linea con le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo, nelle quali si ribadisce che alla scuola rimane il compito di «promuovere la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze».

In queste occasioni, gli insegnanti dovrebbero fungere da osservatori e facilitatori nell’ambito di lavori di gruppo in cui è previsto che gli alunni gestiscano attivamente momenti di discussione, di problem solving, di studio di casi ecc.

I compiti di realtà

Tali esperienze didattiche, definibili “compiti di realtà”, rendono possibile esprimere una valutazione delle competenze da registrare, alla fine, nel documento certificativo.

Con il “compito di realtà”, si richiede all’alunno di risolvere «una situazione problematica, complessa e nuova, quanto più possibile vicina al mondo reale, utilizzando conoscenze e abilità già acquisite e trasferendo procedure e condotte cognitive in contesti e ambiti di riferimento moderatamente diversi da quelli resi familiari dalla pratica didattica».

Tuttavia, le competenze stesse non si acquisiscono (né si valutano) esclusivamente mediante “compiti di realtà” o unità di apprendimento appositamente costruite ma anche, nella quotidianità, attraverso i contributi forniti nelle discussioni collettive, l’assunzione di responsabilità in ordine all’impiego delle conoscenze, l’esperienza della collaborazione, della condivisione, della solidarietà nel rispetto di sé e dell’altro.

In tal senso, è chiaro il rimando alle competenze europee, che si declinano essenzialmente sul piano dell’educazione alla cittadinanza e alla convivenza civile.

È necessario, a questo punto, precisare che gli ostacoli alla traduzione, sul piano operativo, della “didattica per competenze” non si limitano agli atteggiamenti di prudenza o di rifiuto da parte del corpo docente.

Un’ulteriore difficoltà è infatti rintracciabile nella relazione tra le suddette competenze europee – connotate da trasversalità – e i cosiddetti “assi culturali” che riconducono a “gruppi di competenze di base”, riproponendo una struttura che tiene conto, di fatto, della specificità delle discipline.

Le Linee Guida, riprendendo il discorso sui “compiti di realtà”, hanno cercato di fornire suggerimenti finalizzati a superare questo problema.

Alcune osservazioni, peraltro, sono abbastanza ovvie, come quella di privilegiare prove per la cui risoluzione l’alunno debba richiamare in forma integrata, componendoli autonomamente, più apprendimenti, pur non escludendo prove che chiamino in causa una sola disciplina.

Una riflessione utile, anche se sempre sul piano generico, può essere quella di prendere in considerazione i vari progetti presenti nelle scuole (teatro, coro, ambiente, legalità, intercultura ecc.) che possono essere considerati “prove autentiche” su cui basare la valutazione delle competenze osservando le prestazioni e i comportamenti degli alunni.

Competenze chiave per l’apprendimento permanente

La questione si complica ulteriormente sul piano interpretativo se si considera che un anno fa (22 maggio 2018) il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, su proposta della Commissione europea, una nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente.

Tale revisione parte dal presupposto che gli attuali alunni di scuola primaria saranno chiamati, nell’immediato futuro, a svolgere attività professionali attualmente ancora sconosciute; in tale prospettiva, vengono quindi delineate ulteriori caratteristiche indispensabili per affrontare adeguatamente il nuovo assetto sociale.

Dalla lettura della Raccomandazione del 2018 si evince che le politiche scolastiche hanno saputo finora realizzare solo percorsi riferibili alle competenze chiave collegabili alle discipline scolastiche tradizionali, mentre non si è riscontrato un analogo progresso in altri ambiti come ad esempio “imparare ad imparare”.

Si tratta di una situazione ben chiara a quanti hanno vissuto sul campo esperienze collegiali e gruppi di lavoro che si ponevano l’obiettivo di conciliare (sul piano didattico e valutativo) gli aspetti “statici” e formalizzati dell’apprendimento curricolare con quelli “dinamici” e informali.

Come migliorare l’efficacia della certificazione

La scuola, oggi, è in grado di creare percorsi di apprendimento multidisciplinari con indicatori misurabili e certificabili per tutti questi aspetti?

Le citate Linee Guida cercano di fornire chiarimenti in merito agli elementi che caratterizzano la prestazione, da rilevare attraverso osservazioni sistematiche condotte avvalendosi di strumenti quali «griglie o protocolli strutturati, semi strutturati o non strutturati e partecipati, questionari e interviste».

Si tratta dei seguenti “indicatori di competenza”: autonomia, relazione, partecipazione, responsabilità, flessibilità, resilienza e creatività, e, come ultimo, consapevolezza.

Tuttavia, nel medesimo testo, nell’indicare come possibile strumento di valutazione dell’esperienza la verbalizzazione di emozioni e intenzioni da parte dell’alunno, si rende esplicita la difficoltà a comprendere la complessità delle situazioni attraverso le osservazioni da parte dell’insegnante.

Si auspica che un ulteriore contributo per migliorare l’efficacia della certificazione delle competenze nella scuola possa essere quello indicato nell’ultima parte del documento europeo del 2018, nel quale, riferendosi alle misure di sostegno allo sviluppo delle competenze chiave, si parla di «sostegno agli educatori e ad altro personale didattico».

I modelli di certificazione

In attesa della ridefinizione del profilo dello studente in coerenza con le nuove competenze chiave europee del 2018, la Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione ha emanato la nota prot. 5772 del 4/04/2019 riguardante le Indicazioni in merito allo svolgimento degli esami di Stato nelle scuole del primo ciclo e alla certificazione delle competenze per l’a.s. 2018/2019.

In questa nota si conferma l’utilizzo, per quest’anno, dei modelli emanati con D.M. 742/2017, che fanno ancora riferimento alla Raccomandazione.

Non dimentichiamo, infine, l’esistenza della certificazione delle competenze raggiunte nelle prove Invalsi (riguardanti l’Italiano, la Matematica, l’ascolto e la lettura in Inglese).

Come previsto dal D.Lgs. 62/2017 e dal D.M. 742/2017, tale certificazione spetta all’Istituto di Valutazione, che predispone e redige il relativo documento, contenente la descrizione del livello raggiunto distintamente per ciascuna disciplina.

Quali rapporti intercorrono tra questa certificazione e quella predisposta dai docenti?

Lasciamo aperto questo interrogativo.

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