Sinergie di Scuola

Non è responsabile la scuola per l’infortunio avvenuto al di fuori dell’edificio scolastico. La sentenza n. 19160 del 6 novembre 2012 della Corte suprema di Cassazione ritorna su un argomento molto delicato: le condizioni necessarie a configurare la responsabilità, in capo al Dirigente e al personale scolastico, per omessa vigilanza sugli alunni che si siano infortunati mentre stavano entrando a scuola.

Nel caso che si commenta, i genitori di una alunna convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Genova il Comune della stessa città nonché il Miur, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla minore a seguito di un infortunio. Esposero che la piccola, che all’epoca frequentava la terza elementare, era caduta sui gradini esterni sdrucciolevoli e instabili dell’istituto scolastico, riportando lesioni al volto e ai denti.

I genitori avevano inteso far valere la responsabilità contrattuale dei convenuti, sul presupposto che l’incidente si era verificato durante l’orario scolastico, tale dovendosi considerare, secondo quanto da loro sostenuto, anche l’arco temporale in cui ha luogo l’ingresso degli alunni nell’edificio, con conseguente obbligo del personale di vigilare sull’incolumità dei discenti sin dal momento in cui essi si trovano nell’area di accesso allo stabile.

Quando la responsabilità è contrattuale

Dobbiamo subito evidenziare che, nel caso in cui l’alunno si procuri un danno (autolesione), l’eventuale responsabilità del personale scolastico è fondata sull’art. 1218 c.c. e non sull’art. 2048, comma 2, c.c., il quale sancisce una presunzione di responsabilità a carico dell’insegnante o del sorvegliante, per i danni cagionati da fatto illecito degli allievi verso terzi o verso la struttura scolastica (es. un minorenne che, lanciando una penna, ferisca all’occhio il compagno di banco o che, per spregio, danneggi  l’arredamento della scuola). Ciò comporta che, nel nostro caso e nell’ottica dell’onere probatorio, i genitori della ragazzina infortunata devono provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto (durante l’orario scolastico); su coloro che invece debbono vigilare o organizzare la vigilanza, incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola (rappresentata dal Dirigente scolastico) né all’insegnante o, comunque, al sorvegliante.

Si applica l’art. 1218 c.c. perché, come correttamente statuito anche recentemente dalla stessa Cassazione nella sentenza 24835/2011, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale (non si fonda, in altre parole, sull’art. 2048 c.c.) bensì contrattuale, atteso che l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso.

Aggiunge la Cassazione che tra insegnante e allievo si instaura un rapporto giuridico nell’ambito del quale il docente assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e del docente, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c.


L’orario scolastico

In merito alla nozione di “orario scolastico”, l’obbligo di vigilanza sugli alunni, per giurisprudenza costante, si protrae per tutto il tempo dell’affidamento dell’alunno all’istituzione scolastica, dovendo questa ultima provvedere alla sorveglianza degli allievi minorenni fino al subentro, almeno potenziale, dei genitori o di persone da questi incaricate.

A tale proposito, anche il CCNL scuola, all’art. 29, comma 5 così stabilisce che «Per assicurare l’accoglienza e la vigilanza degli alunni, gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe 5 minuti prima dell’inizio delle lezioni e ad assistere all’uscita degli alunni medesimi» e nell’allegata tabella A – profili di area del personale ATA sancisce: «è addetto ai servizi generali della scuola con compiti di accoglienza e di sorveglianza nei confronti degli alunni, nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all’orario delle attività didattiche e durante la ricreazione, e del pubblico; [...] di vigilanza sugli alunni, compresa l’ordinaria vigilanza e l’assistenza necessaria durante il pasto nelle mense scolastiche, di custodia e sorveglianza generica sui locali scolastici, di collaborazione con i docenti». Anche recenti sentenze (Tribunale di Milano 9 maggio 2003, Tribunale di Venezia 26 marzo 2008 e Tribunale di Salerno 1° dicembre 2009) confermano che la responsabilità della scuola per la vigilanza sugli alunni minori inizia proprio con l’accesso agli spazi di pertinenza esterni all’edificio scolastico vero e proprio.

Come ha in merito statuito la Cassazione, Sez. I, 30 marzo 1999, n. 3074, tale dovere di sorveglianza permane per tutta la durata del servizio scolastico, e quest’ultimo non può essere interrotto per l’assenza di un insegnante, non costituendo essa stessa un fatto eccezionale, bensì normale e prevedibile (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato un istituto tecnico a risarcire i danni riportati da un minore che, uscito anticipatamente dalla scuola per l’assenza dell’insegnante che avrebbe dovuto tenere lezione nell’ultima ora, era stato accoltellato da alcuni giovani rimasti sconosciuti).

Il dovere di protezione e, quindi, l’orario scolastico, comincia nel momento dell’ingresso nei locali e pertinenze della scuola, perdurando sino a quello dell’uscita, compreso anche il tempo dell’eventuale trasporto degli alunni da casa a scuola e viceversa, se organizzato in proprio dall’istituto (Cass., Sez. III, 5 settembre 1986, n. 5424).

Circa la persistenza dell’obbligo di sorveglianza anche all’uscita degli allievi dall’edificio scolastico, un recente arresto giurisprudenziale della Suprema Corte (Cass., Sez IV penale, 7 maggio 2010, n. 17574, in Sinergie di Scuola, febbraio 2012) si è occupato di un caso riguardante un alunno undicenne, il quale era deceduto mentre stava salendo sullo scuolabus (servizio effettuato per conto del Comune), senza la sorveglianza né dell’insegnante dell’ultima ora, né dei collaboratori scolastici, assenti mentre l’allievo si apprestava a salire sul mezzo dal marciapiede antistante il cortile della scuola. In questo caso, la Cassazione ha ribadito che il Dirigente scolastico aveva il dovere di adottare le misure organizzative e disciplinari necessarie, nelle specie, non solo a prevenire una situazione di pericolo, ma ad eliminare una oggettiva situazione di rischio rappresentata dalle modalità con cui avveniva l’uscita dalla scuola: l’orario di uscita e quello di arrivo degli autobus erano esattamente sovrapposti, mancava la segnaletica stradale idonea a segnalare il punto di fermata degli autobus, mancava la Polizia municipale a sorvegliare l’uscita dalla scuola (richiamando, peraltro, numerose fonti specifiche di derivazione legislativa, contrattuale e regolamentare che stabilivano il contenuto e la portata del suddetto obbligo, tra cui in particolare il D.Lgs. 626 del 1994, art. 4; il D.P.R. n. 417 del 1974, artt. 3 e 6, e D.P.R. n. 416 del 1974; il D.Lgs. 297 del 1994, art. 396, il Contratto Collettivo Nazionale di Categoria ed il Regolamento di Istituto).

Da ciò discende che la responsabilità del personale scolastico, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2043 e 2048 c.c., sussiste anche al di fuori dell’orario scolastico, se è stato consentito l’ingresso anticipato nella scuola o la sosta successiva (Cass., Sez. III, 19 febbraio 1994, n. 1623).

Nel descritto arco temporale rientrano le attività didattiche, ma anche quelle extradidattiche che si svolgono a scuola o organizzate dall’istituto scolastico, rendendosi perciò necessaria la vigilanza durante gli intervalli, lo spostamento da un locale all’altro della scuola, il servizio di mensa, le visite didattiche/viaggi di istruzione, ecc.


Quando la scuola non è responsabile

Tornando all’esame della sentenza della Suprema Corte 19160/2012, questa ultima ha dato torto ai genitori della bambina, confermando il giudizio di secondo grado, al termine del quale è stato escluso che la piccola fosse caduta proprio sui gradini dell’edificio scolastico, avendo invece appurato che lo scivolone era avvenuto sul marciapiedi e che da lì la scolara era andata a sbattere contro gli scalini della scuola.

Dall’accertata localizzazione dell’incidente all’esterno della struttura scolastica, sulla pubblica via e quindi in condizioni spaziali e temporali in cui l’infortunata avrebbe dovuto ancora essere sotto la vigilanza dei genitori o di un loro incaricato, ha quindi desunto l’insussistenza dei presupposti di accoglimento della pretesa azionata.

Ha poi aggiunto che, in ogni caso, anche a volere ipotizzare una diversa eziologia dell’incidente, la domanda non sarebbe comunque stata meritevole di accoglimento, considerato che il dovere dì vigilanza della scuola inizia con l’ingresso nell’edificio o nell’eventuale area inequivocabilmente ad esso collegata; che, anche a non voler considerare ininfluente lo stato dei gradini, dall’espletata istruttoria non era emerso che gli stessi fossero instabili o sdrucciolevoli, con conseguente esclusione di ogni profilo di responsabilità a carico della scuola e del Comune, quale ente proprietario, tenuto alla manutenzione dell’immobile.

In altre parole, come chiaramente affermato dalla Cassazione, «gli obblighi di sorveglianza e di tutela dell’Istituto scattano solo allorché l’allievo si trovi all’interno della struttura, mentre tutto quanto accade prima, per esempio sui gradini di ingresso, può, ricorrendone le condizioni, trovare ristoro attraverso l’attivazione della responsabilità del custode, ex art. 2051 cod. civ.».

L’assunto degli ermellini è importante: il dovere di protezione nei confronti degli scolari inizia nel momento in cui esistono le condizioni minime affinché il personale scolastico possa prendersi cura dei soggetti affidati loro, e cioè quando questi ultimi fanno il loro ingresso nell’edificio scolastico, prima dovendo essere protetti dai genitori o chi ne fa le veci.

Quando invece è responsabile

Questo ragionamento non esclude, però, che possa configurarsi un profilo di responsabilità in capo al Dirigente scolastico e al Comune, il primo in qualità di rappresentante legale/custode dell’edificio scolastico (gradini compresi!) ed il secondo in qualità di proprietario tenuto alla manutenzione dello stesso, ex art. 2051 c.c.

Ad esempio, una nota del 24 settembre 2002 dell’Ufficio scolastico per la Lombardia sostiene che si può senz’altro configurare una responsabilità del Dirigente scolastico fondata sull’art. 2051 c.c., ove egli non abbia sufficientemente custodito le cose e le attrezzature a lui affidate, che possano cagionare danno al personale che opera nella scuola, agli alunni, ai terzi che frequentano per varie ragioni i locali scolastici.

Secondo un orientamento giurisprudenziale, purtroppo minoritario per il Dirigente scolastico, l’art. 2051 c.c. provocherebbe “solo” un’inversione dell’onere della prova, sicché per il custode sarebbe sufficiente provare, per non incorrere in responsabilità per l’evento dannoso, anziché il caso fortuito (cioè un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità), l’assenza di colpa.


Ai sensi della sentenza n. 3651 del 20 febbraio 2006 della Corte di Cassazione «in caso di incidente avvenuto su strada statale, il danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione delle strade o di sue pertinenze (nel caso, un ponte) invocando la responsabilità della p.a. è tenuto, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, a dare la prova che i danni subiti derivano dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto». Tale prova consiste essenzialmente nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, non essendo il danneggiato viceversa tenuto a dare la prova anche della presenza di un’insidia o trabocchetto – estranei alla responsabilità ex art. 2051 c.c. – o dell’insussistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode o della condotta omissiva o commissiva del medesimo.

A carico del custode si pone dunque la possibilità di liberarsi dalla responsabilità presunta a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito (c.d. responsabilità aggravata), dando cioè la dimostrazione che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso. Il custode è cioè tenuto a provare la propria mancanza di colpa nel verificarsi del sinistro – e non già la mancanza del nesso causale, il criterio di causalità essendo altro e diverso dal giudizio di diligenza (avere preso tutte le misure idonee) – che si risolve sostanzialmente sul piano del raffronto tra lo sforzo diligente nel caso concreto dovuto e la condotta tenuta, caratterizzata da assenza di colpa.


Giurisprudenza prevalente

Secondo l’indirizzo interpretativo dominante in giurisprudenza e dottrina si può invece affermare che:

  1. la responsabilità ex art 2051 c.c. prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento. In altre parole, è sufficiente che esista un nesso tra il danno occorso ad uno studente e la “cosa” in custodia, nel senso che il primo origini, sia causato dalla seconda, a prescindere dalla diligenza/vigilanza dimostrata dal custode (sia esso il Dirigente scolastico e/o il Comune. In merito v. infra, punto c);
  2. prescinde inoltre dall’accertamento della pericolosità della cosa (come giustamente osservato dalla dottrina, vi possono essere cose innocue che possono, però, generare seri danni in seguito alle più diverse circostanze ambientali: si pensi alla neve caduta dai tetti o alle foglie che ostruiscono i canali di scolo) e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza di agenti dannosi (è stata in tal modo affermata la responsabilità oggettiva del gestore di un supermercato per le lesioni riportate da una cliente, scivolata sul pavimento bagnato dei locali dell’area di vendita. Lo stesso principio, peraltro, vale anche in caso di “scivolata” avvenuta all’interno dell’edificio scolastico). è dunque esclusa solo dal caso fortuito (riagganciandoci all’esempio di un blocco di neve che causi danni agli autoveicoli parcheggiati vicino ad un immobile, scivolando dal tetto, la Cassazione ha ritenuto sussistere il caso fortuito, escludendo la responsabilità del custode dell’edificio, quando il fatto sia da attribuirsi unicamente a caso fortuito, cioè a precipitazioni nevose di inusitata ed eccezionale intensità verificatesi nel giorno del fatto dannoso o nei giorni immediatamente precedenti, tanto da provocare la paralisi della città e dei mezzi pubblici di trasporto). Il caso fortuito può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato o di un terzo, avente un’efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso causale tra cosa ed evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del pregiudizio. In altri termini, l’esistenza di un comportamento colposo del danneggiato consistente, ad esempio, nell’aver usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche, esclude la responsabilità del Dirigente scolastico, qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso tra la causa del danno e il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, del Miur in rappresentanza del Dirigente scolastico/custode) in proporzione all’incidenza causale del comportamento stesso;
  3. è più congruo parlare di rischio da custodia, piuttosto che di colpa nella custodia e di presunzione di responsabilità, piuttosto che di colpa presunta. Ciò comporta che la responsabilità sancita dall’art. 2051 c.c. non esige, per essere affermata, un’attività o una condotta colposa del custode, di talché, in definitiva, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi (Cass., 19 febbraio 2008, n. 4279);
  4. posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi, traendo profitto dalla cosa, si trova nelle condizioni e di doverne sopportare gli incommoda (“Cuius commoda eius et incommoda”, espressione latina che significa che colui il quale trae vantaggio da una situazione, deve sopportarne anche i pesi) e di controllarne i rischi, deve considerarsi custode chi di fatto ne governa le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente solo il proprietario ma anche il semplice possessore o anche il detentore della cosa. Detta custodia può far capo a più soggetti a pari titolo, o a titoli diversi, che importino tutti l’attuale (co)esistenza di poteri di gestione e di ingerenza;
  5. al danneggiato compete provare l’esistenza del rapporto di causa-effetto tra la cosa e l’evento lesivo: più nello specifico, ricordato che la responsabilità presunta per danni da cose in custodia è configurabile anche con riferimento ad elementi accessori, pertinenze inerti e qualsivoglia altro fattore che, a prescindere dalla sua intrinseca dannosità o pericolosità, venga a interferire nella fruizione del bene da parte dell’utente, la prova che il danneggiato deve dare, anche a mezzo di presunzioni, consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia; spetta invece al custode provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere quel nesso causale.

In conclusione, i genitori della bambina infortunatasi avrebbero avuto importanti chance di vittoria della causa, se avessero richiesto il risarcimento dei danni alla scuola (id est al Miur) e al Comune, in solido, facendo valere la loro responsabilità in veste di custodi dell’edificio scolastico, anziché puntare tutto sul riconoscimento della responsabilità contrattuale dei convenuti, dilatando i concetti di “orario scolastico” e di “dovere di sorveglianza”, sino a fare assumere ad essi confini troppo ampi e incerti.

© 2024 HomoFaber Edizioni Srl - Tutti i diritti riservati. Sono vietate la copia e la riproduzione senza autorizzazione scritta. Sono ammesse brevi citazioni ed estratti indicando espressamente la fonte (Sinergie di Scuola) e il link alla home page del sito.