Sinergie di Scuola

Con la presa di Roma (breccia di Porta Pia) il 20 settembre 1870, lo Stato Pontificio venne annesso al Regno d’Italia (proclamato dal Parlamento il 17 marzo 1871) cessando di esistere nello scenario internazionale come entità politica indipendente, continuando però la propria tradizione millenaria come Chiesa Cattolica: la fine del potere temporale non determinò affatto quella del potere spirituale.

A seguito di questi eventi sorse la c.d “questione romana”: la spogliazione dei beni terreni, la scomunica della casa Savoia, il divieto per i cattolici di fare politica, il diffuso anticlericalismo, i rapporti Italia-Chiesa, questi per sommi capi i punti di forte attrito tra il Regno d’Italia e la Santa Sede.

Per risolvere queste criticità il Regno d’Italia e la Santa Sede l’11 febbraio 1929 sottoscrissero i Patti Lateranensi, a cui si deve in primis l’istituzione dello Stato della Città del Vaticano come nazione indipendente dal Regno d’Italia, con territorio, cittadini e leggi proprie, nonché il riconoscimento della religione cattolica come religione di Stato.

Il 18 febbraio 1984 venne sottoscritto il Nuovo Concordato (“Accordo di Villa Madama”) che apportava ai Patti Lateranensi, come rilevante modifica, l’eliminazione della clausola sulla religione cattolica come religione di Stato.

Questo, in estrema sintesi, il background culturale dell’articolo; l’odierno contributo parte da un’importante pronuncia della Suprema Corte (ordinanza n. 19618 del 18/09/2020 della sez. Lavoro) per affrontare un tema sempre in evidenza: l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche.

Il fatto

Un docente di scuola superiore trovava rigettato in primo grado il ricorso proposto avverso la sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento per trenta giorni; la sentenza era confermata in appello e, dunque, il docente proponeva ricorso per cassazione.

Il docente sanzionato riteneva discriminatoria la condotta osservata dal Dirigente scolastico, il quale aveva imposto a tutti i docenti di attenersi al deliberato dell’assemblea degli studenti e, quindi, di consentire che nella classe rimanesse affisso, durante lo svolgimento delle lezioni, un crocifisso.

Il docente spiegava nel ricorso di invocare la libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa, procedendo sistematicamente a rimuovere il simbolo religioso prima di iniziare la lezione, ricollocandolo quindi al suo posto solo al termine della stessa; manifestazione, dunque, della libertà di coscienza e della libertà di insegnamento, intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente.

Il giudice d’appello escludeva che la condotta tenuta dal DS potesse essere qualificata discriminatoria: in primis perché l’ordine di servizio era stato indirizzato all’intero corpo docente e non al singolo; in secundis perché l’esposizione del crocifisso non aveva limitato la libertà d’insegnamento.

Ma quel che è di particolare interesse è la parte motiva in cui la Corte d’Appello dichiara che il docente non aveva titolo per dolersi dell’asserita violazione del principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione nonché di quello di laicità dello Stato, perché questi principi non rappresentano la genesi di diritti soggettivi in capo ai singoli cittadini, ma, a contrario, di interessi diffusi, la cui tutela è affidata agli enti esponenziali della collettività ovvero associazioni o enti collettivi che di quegli interessi sono portavoce, ricorrendone le condizioni di legge.

Per detti motivi il docente non poteva disobbedire all’ordine del Dirigente scolastico, perché ritenuto illegittimo, non avendone titolo; peraltro, aggiungeva la Corte d’Appello, l’esposizione del crocifisso non sarebbe lesiva, ex se, di diritti inviolabili della persona né cagione di discriminazione tra individui di fede cristiana e appartenenti ad altre confessioni religiose, in quanto il crocifisso sarebbe un simbolo essenzialmente passivo, la cui esposizione nel luogo di lavoro, così come era stata ritenuta non idonea ad influenzare la psiche degli allievi, a maggior ragione non sarebbe sufficiente a condizionare e comprimere la libertà d’insegnamento del docente.

Da ultimo la Corte d’Appello chiariva che il Dirigente scolastico aveva imposto agli insegnanti solo di tollerare l’affissione del crocifisso nell’aula, non di professare l’appartenenza alla religione cristiana, non potendo trovare applicazione negli Istituti scolastici secondari superiori le disposizioni regolamentari che prescrivono l’affissione del crocifisso nelle aule delle scuole primarie e secondarie inferiori.

Le riflessioni della Suprema Corte

La Suprema Corte viene chiamata a decidere quale sia il giusto bilanciamento, nella scuola, fra la libertà di insegnamento e il rispetto della coscienza civile e morale degli alunni, atteso che la vicenda nasce dalla richiesta, formulata dagli alunni, di ostensione nell’aula scolastica di un crocifisso.

Tutto farebbe pensare che il docente abbia torto: regolamenti, direttive ministeriali, giurisprudenza amministrativa, ritengono che «il crocifisso in ambito scolastico può svolgere una funzione simbolica educativa nei confronti degli alunni, credenti e non credenti, perché richiama valori laici, quantunque di origine religiosa, quali sono quelli della tolleranza, del rispetto reciproco, della valorizzazione della persona, con la conseguenza che la sua esposizione non assume un significato discriminatorio sotto il profilo religioso né la decisione delle autorità scolastiche di tenere esposto il simbolo si pone in contrasto con il principio della necessaria laicità dello Stato».

Le predette conclusioni non sono state acriticamente condivise dalla Corte, che ha ritenuto fondamentale il rispetto dell’art. 3 Cost.: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Nel caso sottoposto al giudizio della Corte di Cassazione, il docente non aveva rifiutato di fare lezione, bensì aveva ritenuto legittimo esercizio del potere di autotutela, fondato sulla lesione del suo diritto di libertà religiosa, la momentanea rimozione del simbolo dall’aula nella quale era chiamato a svolgere la sua attività di insegnamento, non avendo a disposizione un’altra aula priva di crocifisso.

Il ricorso, dunque, prospetta una questione nuova perché non contesta il valore del simbolo religioso in relazione agli alunni, bensì «al soggetto che è chiamato a svolgere la funzione educativa, di tal ché si potrebbe dubitare dell’asserito “ruolo passivo” qualora all’esposizione del simbolo si attribuisse il significato di evidenziare uno stretto collegamento fra la funzione esercitata e i valori fondanti il credo religioso che quel simbolo richiama».

In questo caso il docente della scuola pubblica potrebbe a ragione sostenere che quel collegamento si pone in contrasto con il principio di laicità dello Stato, inteso come tutela del pluralismo, tanto religioso quanto ateo o agnostico, sì da ravvisare nell’esposizione del crocifisso una lesione della sua libertà di coscienza e di religione, minata dal richiamo di valori propri di un determinato credo religioso, a fondamento dell’attività pubblica prestata.

Osserva la Cassazione che gli atti adottati dal Dirigente scolastico, sulla base della volontà espressa dall’assemblea di classe, pur se riferiti indistintamente a tutti i docenti e, quindi, non operando alcuna disparità diretta di trattamento fondata sul credo religioso, potrebbero integrare invece un’ipotesi di discriminazione indiretta, laddove si determini un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione rispetto ai lavoratori che a detta religione non aderiscono.

In sintesi: il docente non credente o aderente ad un credo religioso diverso da quello cattolico potrebbe trovarsi in una situazione di “svantaggio” rispetto all’insegnante che a quel credo aderisce, perché solo il primo si vede costretto a svolgere l’attività d’insegnamento in nome di valori non condivisi, con conseguente lesione di quella libertà di coscienza che il datore di lavoro è tenuto a salvaguardare ogni qualvolta la prestazione lavorativa possa essere utilmente resa con modalità diverse, che quella libertà garantiscano.

Da qui il fatidico quesito: il docente aveva una soluzione alternativa, messa a disposizione dal Dirigente scolastico, rispetto alla rimozione del crocifisso dall’aula, adottata in “autotutela”? E quindi, prevale la libertà d’insegnamento rivendicata dal docente o la volontà dell’assemblea di classe, che vuole il crocifisso esposto in aula?

La Corte di Cassazione riconosce che esistere un orientamento giurisprudenziale amministrativo in quest’ultimo senso, anche a livello europeo, che, appunto, in ragione delle caratteristiche proprie della comunità scolastica, ha ritenuto di dover valorizzare, quanto all’esposizione di simboli religiosi, la volontà espressa dalla maggioranza degli alunni, dei genitori e del personale docente ma aggiunge che a questa tesi, però, si potrebbe obiettare che la soluzione finisce per porsi in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale secondo cui in materia di religione nessun rilievo può essere attribuito al criterio quantitativo, perché si impone la «pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, qualeche sia la confessione religiosa di appartenenza» (Corte Cost. n. 440/1995 e n. 329/1997), con la conseguenza che il conflitto fra la volontà espressa dagli alunni e quella del docente che nel simbolo non si riconosce, andrebbe risolto valorizzando il principio della laicità dello Stato, che implica l’impossibilità di operare discriminazioni fra le diverse fedi e fra credenti e non credenti.

Conclude la Suprema Corte riflettendo se, a fronte della volontà manifestata dalla maggioranza degli alunni e dell’opposta esigenza resa esplicita dal docente, l’esposizione del simbolo fosse comunque necessaria, o se viceversa, non fosse possibile una mediazione fra le libertà in conflitto, consentendo, in nome del pluralismo, proprio quella condotta di rimozione momentanea del simbolo posta in essere dal docente sull’assunto che la stessa costituisse un legittimo esercizio del potere di autotutela.

Per questi motivi la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Terremo aggiornati i lettori di Sinergie sull’esito del contenzioso.

(le considerazioni svolte sono frutto esclusivo dell’autore e non impegnano l’amministrazione di appartenenza non essendo a questa riconducibili)

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