La gestione di un’Istituzione scolastica si configura come un sistema basato su una rete di relazioni formali e informali. Essa comporta, pertanto, l’organizzazione di queste relazioni come condizione indispensabile alla realizzazione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa, mediante il raggiungimento di finalità e obiettivi individuati nel processo di miglioramento.

Tale constatazione ci porta a considerare come necessaria la creazione di un sistema efficace di comunicazione interna ed esterna.

Per quanto riguarda la comunicazione esterna, si deve a questo punto precisare che nel presente articolo non verranno analizzati strumenti e strategie atte a sviluppare le cosiddette “relazioni con il pubblico”, anche se queste ultime risultano fondamentali in un discorso globale di qualità dell’organizzazione e dei servizi erogati.

Verrà invece approfondito il discorso inerente la comunicazione interna all’Istituzione scolastica, che deve essere orientata al coinvolgimento di tutte le componenti, evitando che il lavoro di ciascuno venga vissuto come adempimento individuale.

In altre parole, è impossibile parlare di un’identità d’Istituto se non vengono superate all’interno dello stesso le logiche individualistiche, che possono comportare confronti e scontri tra docenti, tra plessi, tra diverse componenti del personale.

La comunicazione interna alla Scuola

Una buona comunicazione è uno strumento che mette il personale in condizione di superare la visione di un’organizzazione suddivisa in distinti settori e resistente sia al cambiamento di prassi (anche erroneamente consolidate), sia all’accoglienza di nuovi colleghi.

L’organizzazione stessa dovrebbe essere, al contrario, percepita e vissuta come una rete, attivata da quelle che Federico Butera (Professore Emerito di Scienze dell’Organizzazione, scienziato, studioso e “architetto di organizzazioni”) definisce le “4 C”: Cooperazione, Conoscenza, Comunicazione, Comunità.

Come afferma testualmente Butera, la prima di tali dimensioni – che stanno alla base dell’agire organizzativo – consiste nella «capacità di cooperazione intrinseca, per cui le persone lavorano insieme con obiettivi comuni e condivisi, con comunità di pratiche, con regole sviluppate in parte dai membri stessi dell’organizzazione».

In questo contesto si colloca anche il significato della comunicazione. Lo studioso la considera nella sua forma “estesa”, rapportata cioè alle «varie forme di comunicazione supportate da adeguati media». È importante, tuttavia, la sottolineatura che, a prescindere dall’utilizzo delle tecnologie, viene fatta in merito ai prerequisiti sociali della comunicazione: preesistenza di gruppi sociali dotati di proprie risorse, regole, valori e obiettivi, nonché aderenza della comunicazione stessa agli scopi e ai bisogni della comunità (non individualistici, quindi, come s’è detto).

Va peraltro precisato che Butera si riferisce ad una comunicazione anche «oltre i confini dell’organizzazione», mentre l’analisi che stiamo conducendo in questa sede, si limita alle relazioni interpersonali interne all’Istituzione scolastica.

Le altre due basi dell’impianto organizzativo consistono nella “conoscenza condivisa” e nella “comunità” che l’autore definisce “performante”, in quanto connotata da team che sono capaci di autoregolarsi e di orientarsi verso l’innovazione.

Questa comunità si fonda sulla partecipazione, su interessi e valori condivisi e su «lealtà multiple ai processi, alla professione, all’organizzazione di appartenenza».

Un passo fondamentale per trasformare la scuola in una comunità consiste senz’altro nel progettare un processo di condivisione delle informazioni attraverso l’utilizzazione di un insieme di regole comunemente accettate.

Si tratta di costruire un sistema in grado di coordinare le attività didattiche e organizzative ottimizzando i tempi di trasmissione delle comunicazioni.

Rispetto a questo compito è del tutto evidente che il Dirigente scolastico, in quanto responsabile dell’Istituzione scolastica, è il soggetto competente a preordinare tale percorso e deputato al controllo delle azioni intraprese.

Abbiamo già sottolineato nel precedente articolo che il Capo d’Istituto mantiene l’esercizio di controllo dei processi (che comprende la prevenzione e/o il contenimento degli aspetti conflittuali).

Tuttavia, tra le forme di delega partecipata, è senz’altro possibile – o meglio auspicabile – che in ciascuna Istituzione scolastica venga individuata una figura specifica collegialmente riconosciuta (es. una Funzione Strumentale) che si occupi della stesura della documentazione, nonché del coordinamento e dell’attuazione delle iniziative afferenti all’ambito della Comunicazione (interna ed esterna).

È opportuno, a questo punto, esaminare i compiti istituzionali delineati dalla normativa per le Pubbliche Amministrazioni.

Si tratta della Legge 7/06/2000, n. 150, che (unitamente al Regolamento contenuto nella Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27/09/2000), disciplina le attività di informazione e comunicazione per tutte le Amministrazioni dello Stato indicate all’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001 (e prima dal D.Lgs. 29/1993) ove si legge che «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative [...]».

Il Piano di Comunicazione

Al Dirigente scolastico spetta, quindi, garantire la codifica delle responsabilità e delle modalità operative di gestione dei flussi comunicativi interni ed esterni alla scuola, attraverso la creazione e l’applicazione di un Piano di Comunicazione.

L’elaborazione di un Piano di Comunicazione dell’Istituzione scolastica si basa su un modello predisposto per le Pubbliche Amministrazioni dal Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il primo paragrafo del Piano deve essere dedicato all’analisi del contesto.

In questa analisi il Dirigente scolastico deve assumere informazioni sulle conoscenze che il personale ha acquisito in merito ai principali aspetti dell’organizzazione scolastica – a partire ad esempio dalla Carta dei Servizi, dal Regolamento d’Istituto ecc. – che costituiscono strumenti di organizzazione di relazioni, comportamenti e mansioni.

Per quanto concerne nello specifico i docenti, si farà poi riferimento al PTOF, al curricolo verticale, ai progetti interni ed esterni attivati, alle mansioni delle funzioni strumentali, dei gruppi di lavoro e delle commissioni presenti.

Si tratta di un’operazione complessa, che potrebbe richiedere tempi lunghi, ma è utile a definire gli aspetti della comunicazione interna sui quali è necessario intervenire. Essi vanno identificati a seconda della fase in cui si trova la scuola al momento della pianificazione della comunicazione.

Le analisi vanno condotte con diverse metodologie, che possono comportare l’uso di questionari o di altri sistemi di rilevazione dei dati, e che saranno poi rielaborati al momento della pianificazione strategica evidenziando le criticità da affrontare, dalle quali dovranno scaturire le priorità d’intervento.

Nel Piano, l’individuazione delle priorità deve tuttavia essere preceduta dalla definizione degli obiettivi generali, che debbono essere esplicitati a tutti coloro che sono tenuti alla conoscenza del documento.

Nel nostro discorso ne abbiamo già identificati alcuni:

In ogni Istituzione, il Piano dovrà riportare gli obiettivi generali in ordine d’importanza a seconda della situazione riscontrata.

Questo vale anche per gli obiettivi “operativi” che si collocano, tuttavia, sempre sul piano generale:

In questo modo si giunge gradualmente alla vera e propria definizione delle azioni che discendono dagli obiettivi operativi.

Un esempio: se l’obiettivo operativo prioritario è la riorganizzazione e la razionalizzazione della comunicazione ai docenti/dai docenti, le azioni possibili vanno ricondotte ad aspetti concreti come la messa a disposizione di una raccolta completa (cartacea o digitale) della modulistica, la revisione delle modalità di pubblicazione di circolari e comunicazioni sul sito della scuola con la creazione di un’area riservata ai soli docenti, l’organizzazione del sistema di segnalazioni di disservizi, informazioni distorte ecc.

Le azioni in questione si legano in un unico capitolo con la scelta degli strumenti; quest’ultima operazione non è di sola competenza del Dirigente scolastico, ma deve essere condivisa con il Consiglio di Istituto.

Tale Organo Collegiale, in occasione dell’’approvazione delle spese previste dal Programma annuale, deve indicare (ai sensi dell’art. 9 della “Direttiva sulle attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” emanata dal Ministro per la Funzione Pubblica il 7/02/2002) la percentuale da impegnare per le spese relative alla comunicazione e informazione, somma che con ogni probabilità sarà destinata all’acquisizione degli strumenti tecnologici necessari a realizzare gli interventi.

Il passo successivo è la definizione dei tempi di preparazione e di attuazione del piano. È bene sottolineare che, a differenza di altri documenti istituzionali per i quali è prevista una precisa scadenza, per quanto riguarda il Piano i tempi di elaborazione debbono essere ponderatamente rapportati alla particolare situazione organizzativa dell’Istituto.

Si sottolinea nuovamente la necessità di svolgere accuratamente l’analisi iniziale, in quanto è dalla stessa che debbono scaturire le proposte operative che conducono ad una progettazione finalizzata ai risultati.

In base ad una logica già consueta nell’ambito delle attività programmate nella scuola, l’ultimo punto da sviluppare nel documento riguarda le modalità di verifica e valutazione del percorso.

L’azione valutativa dovrà rivolgersi all’organizzazione nel suo complesso, non limitandosi a singoli settori o iniziative: è dunque opportuno misurare il grado di efficacia e di efficienza della comunicazione nell’Istituzione scolastica con sistemi oggettivi e diretti che si riferiscano possibilmente all’analisi di alcuni indicatori di processo, come ad esempio il numero di accessi riservati al sito web dell’Istituto, il numero dei reclami ecc.

Vale la pena sottolineare che la redazione del Piano è destinata a rimanere un’operazione meramente formale, qualora non vengano correttamente individuati e affrontati gli elementi che rendono problematica la realizzazione degli obiettivi operativi.

Un aspetto che viene frequentemente posto in evidenza consiste nell’esiguità delle risorse disponibili, soprattutto a livello finanziario.

È innegabile che possano sussistere difficoltà – in termini economici e di formazione delle competenze – nel concretizzare un sistema atto ad incrementare la qualità del servizio offerto e l’efficienza organizzativa attraverso un crescente impiego delle nuove tecnologie. La presenza di queste ultime, significativa e irrinunciabile, ha profondamente modificato i metodi di lavoro e le relazioni anche all’interno della scuola.

Tuttavia, molte delle considerazioni fin qui esposte dimostrano che il miglioramento della comunicazione all’interno dell’Istituzione scolastica deve essere principalmente pensato e affrontato come investimento sulle risorse umane.

Molte azioni, infatti, comportano una spesa minima (es. materiali di facile consumo) o addirittura non ne richiedono affatto, se non investimenti in termini di tempo e di competenze culturali (es. riunioni e lavori individuali e di gruppo).

Sono essenziali, in questo ambito, le capacità di gestione della comunicazione da parte del Dirigente scolastico e del suo staff, capacità che debbono essere messe in campo per affrontare le difficoltà di coinvolgimento del personale a causa di una diffusa e generalizzata demotivazione.

Lo staff, in particolare, deve rappresentare un modello sul piano comunicativo, che oltre a funzionare correttamente al suo interno deve porsi come elemento propulsore nei confronti di tutto il personale, per rinforzare e potenziare i comportamenti e gli atteggiamenti positivi individuali o di gruppo e implementare la cooperazione, valorizzando, nel contempo, le abilità di singoli soggetti.

È evidente che un siffatto gruppo deve fondarsi su relazioni nelle quali non possono prevalere gli aspetti formali.

Per rendere possibile questa condizione è necessario riflettere in primo luogo sugli “stili comunicativi” che il Dirigente scolastico può adottare nei confronti del personale (staff, collaboratori, generalità dei docenti e degli operatori), curando che la dimensione gerarchica del suo operare non prevarichi su altre modalità di rapporto.

Il modello di leadership situazionale

Per approfondire la questione può essere utile citare il modello di leadership situazionale teorizzato da Hersey e Blanchard, che prevede quattro modalità di comportamento:

  1. Fornire delle istruzioni specifiche e controllare attentamente la prestazione e quindi i risultati conseguiti dal collaboratore, senza valorizzare l’aspetto relazionale.
  2. Spiegare con cura, garantendo al collaboratore la possibilità di ottenere chiarimenti nell’ottica dell’orientamento alla relazione.

In entrambe queste situazioni al collaboratore non viene comunque consentito un adeguato spazio di autonomia: ciò che prevale, infatti, è l’orientamento al compito.

  1. Favorire il confronto e lo scambio di idee per agevolare l’assunzione di decisioni.
  2. Delegare le decisioni e l’attuazione del compito.

In questi casi prevale invece l’attenzione alla relazione e l’autonomia del collaboratore.

Per poter ottimizzare il proprio comportamento nei confronti dei più stretti collaboratori, il Dirigente scolastico deve saper calibrare i propri comportamenti, non limitandosi ad adottare un unico atteggiamento in tutte le situazioni.

Può succedere infatti che, in una prima fase, un membro dello staff (o il destinatario di un incarico) necessiti di essere guidato nei suoi primi approcci con una nuova procedura. Lo stesso, una volta acquisita una certa capacità, può successivamente agire anche in modo completamente autonomo.

Tuttavia, se si è creato un rapporto tra il Dirigente e il collaboratore possono ripresentarsi situazioni in cui quest’ultimo necessiti di ulteriori disposizioni per completare il lavoro svolto.

Anche il Capo d’Istituto (che, ricordiamolo, ha la responsabilità “su tutto” ma non è un tuttologo) può necessitare di un parere per assumere una decisione, ovvero può ragionevolmente lasciare che un suo collaboratore, una volta accertata la sua competenza, si occupi integralmente di una questione.

In conclusione, il Dirigente scolastico deve seguire un processo che prevede alcuni passaggi irrinunciabili, come la descrizione delle mansioni di ogni collaboratore, la successiva valutazione di ogni operazione effettuata, la discussione della situazione con il collaboratore e la stesura di un programma congiunto e condiviso.

Resta in capo al Dirigente la responsabilità di controllare i processi apportando eventuali correzioni, sempre, in ogni caso, con la necessaria attenzione a mantenere buone relazioni sia dal punto di vista personale sia nell’ambito del gruppo.

In mancanza di queste ultime, infatti, possono avere il sopravvento alcuni fenomeni (pressioni, divergenze che possono interferire con la natura dei significati condivisi, mancato rispetto delle regole) che possono influire negativamente sul flusso delle informazioni e sul lavoro dell’intero staff.

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