Sinergie di Scuola

La Legge 107 del 2015 prevede al comma 124 dell’art. 1 che la formazione in servizio dei docenti di ruolo diventi obbligatoria, permanente e strutturale, nell’intenzione di creare – in una logica di sistema, sia all’interno delle scuole che all’esterno, attraverso iniziative anche a livello nazionale e territoriale, in rete o in collaborazione con enti e associazioni accreditate – un circuito sinergico di azioni formative, mirate alla crescita professionale dei docenti di ruolo nonché al miglioramento di tutto il sistema nazionale di istruzione.

Il legislatore ha sottolineato che le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa, con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche e sulla base delle priorità nazionali che il MIUR ha indicato nel Piano per la formazione dei docenti per il triennio 2016-2019, di cui al D.M. n. 797/2016.

Il nuovo assetto formativo prevede diverse azioni che le scuole dovranno agire per attuare quanto stabilito nel Piano Nazionale e anticipato nella nota ministeriale n. 2915/2016 che ha presentato, almeno all’inizio, in modo generale, i nuovi orientamenti del Piano stesso.

Le azioni da intraprendere sono diversificate e richiedono l’impegno di tutta la comunità educante; non meno significativo è il ruolo del Dirigente scolastico che, in virtù dell’art. 25 del D.Lgs. 165/2001, ha compiti di organizzazione, gestione e coordinamento delle risorse umane, ruoli adesso interamente trasfusi nell’art. 1, comma 78 della Legge 107/2015.

Nell’ambito della formazione in servizio, prima della pianificazione delle attività formative, ai dirigenti spetta promuovere inizialmente le seguenti azioni:

  • Azione 1: rilevare le esigenze di formazione dei docenti attraverso i Piani individuali di sviluppo professionale;
  • Azione 2: definire le linee di indirizzo da proporre al Collegio per l’elaborazione del Piano di formazione a livello di istituto;
  • Azione 3: organizzazione delle Unità Formative.

L’elaborazione vera e propria del piano è preceduta da tre importanti passaggi formali: gli obiettivi delle prime due azioni sono infatti volti a determinare attività di formazione confluenti con il PTOF e con il PDM, tenendo conto delle esigenze avanzate dai docenti. Tuttavia c’è un significato più pregnante, sottostante alle due azioni: valorizzare le professionalità dei docenti in modo da riconoscerne l’impegno fattivo, giacché come affermato dalla nota ministeriale n. 2915/2016, l’obbligatorietà della formazione in servizio è «intesa come impegno e responsabilità di ogni docente». Su questo versante alle scuole spetta successivamente l’organizzazione delle cosiddette unità formative (azione 3), menzionate nel succitato Piano nazionale (capitolo 6).

Azione 1: I Piani individuali di sviluppo professionale

La raccolta dati è condotta attraverso la redazione dei Piani individuali di sviluppo professionale, il cui utilizzo è raccomandato nel Piano per la formazione dei docenti 2016-2019 di cui al D.M. n. 797/2016, esattamente nel capitolo 3, rubricato “Il senso della formazione”.

Il Piano di formazione a livello di istituzione scolastica dovrà delinearsi secondo gli orientamenti diramati in quello nazionale, di durata triennale, facendo esplicito riferimento alle priorità nazionali in esso indicate, soprattutto intorno a quelle che il collegio individuerà al suo interno e ai bisogni di formazione dei docenti, espressi appunto nei Piani individuali di sviluppo professionale, comunemente chiamati anche con l’acronimo PISP. Le priorità nazionali dovranno intersecarsi con il Piano triennale dell’offerta formativa, con il Rapporto di Autovalutazione e con le azioni previste nel Piano di miglioramento della singola scuola.

I PISP permettono ai dirigenti delle istituzioni scolastiche la rilevazione di cui sopra e di fornire successivamente al Collegio dei docenti gli indirizzi per l’elaborazione del Piano di formazione dell’Istituto.

La pianificazione di un piano di attività formative interno alla scuola esige quindi un censimento dei bisogni formativi, espressi dai diretti destinatari (i docenti), i quali nella dimensione individuale e collegiale pongono le basi per la strutturazione di attività adeguate alle esigenze e al contesto di riferimento. Per tale ragione i PISP rappresentano la fase propedeutica alla messa a punto del piano di formazione di cui alla nota n. 2915/2016 avente ad oggetto la progettazione delle attività di formazione destinate al personale scolastico. Di conseguenza alle scuole spetta il compito di articolare le attività proposte in Unità Formative (vedi nota citata, pag. 3).

Il modello di PISP

Il Piano individuale di sviluppo professionale (vedi modello allegato) si presenta come un dispositivo di indagine a struttura binaria poiché esso consente a ciascun docente di predisporre sia un bilancio personale, svolgendo una diagnosi sulla propria storia formativa, professionale ed extraprofessionale, sia la possibilità di stilare un progetto di sviluppo professionale sulla base dell’analisi dei bisogni dichiarati.

Nel Piano nazionale (cap. 3), a proposito dei PISP si identificano tre aree che costituiscono il punto di partenza da cui deve muovere l’osservazione del docente, allo scopo di identificare le competenze già sviluppate o da migliorare.

Nel modello elaborato, una prima sezione è dedicata alla diagnosi (1), che corrisponde all’identificazione del sé e delle pregresse esperienze maturate: in questa parte ciascun docente potrà fare il punto sulla sua situazione di partenza.

Di seguito, la seconda sezione è costituita da un breve bilancio (2), utile per identificare le competenze sviluppate o da migliorare. Qui le aree sottoposte ad osservazione sono quelle indicate nel Piano Nazionale:

  1. area delle competenze relative all’insegnamento (didattica);
  2. area delle competenze relative alla partecipazione scolastica (organizzazione);
  3. area delle competenze relative alla propria formazione (professionalità).

Le tre aree raggruppano 11 indicatori (vedi Piano Nazionale, pag. 21) e si trovano in perfetta aderenza con gli standard professionali già individuati nel D.M. n. 850/2015, decreto sulla formazione dei docenti neo-assunti. La riflessione condotta dal docente sulle aree presentate e sugli indicatori è corredata dalla richiesta di attribuirsi un livello di competenza (o giudizio personale) raggiunto al momento della compilazione del PISP così da identificare i punti di forza e le criticità. Questa fase osservativa e metacognitiva aiuta i singoli docenti a compiere un’analisi delle esigenze formative (3) e a poter scegliere tra le nove priorità nazionali per la formazione, desumibili dal Piano (D.M. n. 797/2016), gli ambiti di maggiore interesse in cui vorrebbe formarsi, dichiarando allo stesso tempo gli obiettivi di sviluppo professionale (4) che si intendono raggiungere al termine della formazione.

Al termine della fase di indagine e di osservazione, l’ultima sezione del modello presenta le azioni per lo sviluppo professionale (5) in cui vengono presentate le diverse tipologie di formazione (in presenza, on-line, in rete ecc.). A tal proposito è utile ricordare che la nota n. 2915/2016 sottolinea che «le scuole riconoscono come Unità Formative la partecipazione a iniziative promosse direttamente dalla scuola, dalle reti, dall’Amministrazione e quelle liberamente scelte dai docenti, purché coerenti con il Piano di formazione della scuola».

Il Piano individuale di sviluppo professionale va aggiornato annualmente per tre anni, durata che corrisponde a quella del Piano di formazione nazionale; la costante compilazione del documento (con l’aggiunta di nuove aree in cui indicare le azioni di sviluppo concretizzate) il monitoraggio in itinere e la trascrizione delle attività formative svolte, consentono al docente di stilare un rapporto sullo stato di sviluppo professionale e sugli obiettivi raggiunti.

Azione 2: Gli indirizzi del Dirigente scolastico

L’atto di indirizzo del Dirigente è calcato sui bisogni reali espressi dai docenti nei PISP: l’azione 2 permette di contestualizzare meglio le priorità nazionali, anche sulla base di quelle che il Collegio ha scelto come fulcro delle attività di formazione. Gli indirizzi saranno coerenti con quelli già forniti per l’elaborazione del POTF, con le risultanze del Rapporto di Autovalutazione e con le priorità indicate nel Piano di miglioramento.

Come sottolinea la nota n. 2915/2016 (pag. 3), ciascuna area delle priorità nazionali rappresenta «uno spazio formativo dedicato prioritariamente ai docenti, ma coinvolge anche gli altri soggetti professionali (dirigenti, figure di sistema, personale amministrativo)»: va da sé che il Dirigente scolastico nel fornire il suo atto di indirizzo terrà conto anche delle esigenze dell’intera comunità, valorizzando tutto il personale interno alla scuola.

Azione 3: Le Unità Formative del piano di formazione dell’istituto

Alle precedenti azioni 1 e 2 subentra quella relativa alla definizione delle tipologie di attività formative da inserire nel piano di istituto (azione 3).

Su questo aspetto viene in aiuto il capitolo 6 del Piano Nazionale, che tratta proprio di unità formative rimarcando che esse, articolate dalle scuole, servono per qualificare e riconoscere l’impegno del docente.

Il Piano Nazionale introduce una importante novità: l’unità formativa potrà contenere:

[...] tutti quei momenti che contribuiscono allo sviluppo delle competenze professionali, quali ad esempio:
- formazione in presenza e a distanza;
- sperimentazione didattica documentata e ricerca/azione;
- lavoro in rete;
- approfondimento personale e collegiale;
- documentazione e forme di restituzione/rendicontazione, con ricaduta nella scuola;
- progettazione.

Ogni singola unità formativa necessita quindi di essere strutturata con l’indicazione delle conoscenze, abilità e competenze da perseguire, nonché con l’articolazione dell’intero percorso (durata e risultati), prevedendo le modalità di svolgimento di cui sopra e l’impegno profuso dal docente.

La finalità è proprio quella di valorizzarne l’impegno e trasformare la sua azione formativa in un investimento per l’intera comunità. Il tutto sarà poi documentato nel portfolio personale.

Si aggiunga che il Piano nazionale indica tra i percorsi soggetti a riconoscimento come unità formative le seguenti attività:

  • formazione sulle lingue e CLIL;
  • coinvolgimento in progetti di rete;
  • particolari responsabilità in progetti di formazione;
  • ruoli di tutoraggio per i neoassunti;
  • animatori digitali e team per l’innovazione;
  • coordinatori per l’inclusione;
  • ruoli chiave per l’alternanza scuola-lavoro.

Per dirsi completo, il Piano di formazione di istituto dovrà contenere sia le attività formative debitamente formalizzate dalla scuola attraverso percorsi in presenza, on-line, in rete o con altre modalità, ma riconoscere anche quelle scelte liberamente dai docenti – purché esse siano coerenti con il Piano di formazione della scuola (nota n. 2915/2016 e Piano Nazionale pag. 67). Riguardo alle unità formative organizzate direttamente dalla scuola occorrerà precisare una struttura di massima dell’unità, indicandone l’articolazione, le conoscenze, le abilità e le competenze nonché l’impegno richiesto o l’eventuale prodotto finale atteso (vedi allegato Unità Formativa).

Il riconoscimento delle unità formative

Il modello formativo inaugurato lascia ampi spazi di discrezionalità all’autonomia delle istituzioni scolastiche in un quadro progettuale ampio, teso verso il miglioramento continuo. La scuola sarà in grado di riconoscere ai docenti le unità formative sulla base di quanto previsto dall’art. 1 della D.M. n. 170/2016 (Direttiva accreditamento enti di formazione), certificando e assicurando la qualità delle iniziative formative. La direttiva ministeriale stabilisce infatti all’art. 1 che le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione, singole o in rete, sono soggetti di per sé qualificati a offrire formazione al personale scolastico e non necessitano di iscrizione negli elenchi riconosciuti dal Ministero, pubblicati su un’apposita piattaforma on-line.

Resta implicito che ogni singola unità formativa, per essere riconosciuta, deve essere aderente alle scelte collegiali e al Piano di formazione della scuola.

Il modello dei CFU (crediti formativi universitari)

Il Piano nazionale per la definizione delle unità formative rimanda al sistema dei crediti formativi universitari. Pertanto, in teoria, nella sua organizzazione l’unità deve prevedere un monte ore di formazione in presenza e un altro dedicato allo studio individuale, per approfondimento personale o collegiale.

Il D.M. n. 509/1999 sui CFU definisce infatti le modalità di strutturazione dell’impegno richiesto al docente. Tale modello può essere trasferito alle unità formative; spetta alle scuole, in autonomia, la regolazione di tale sistema.

Il riconoscimento del docente formatore

Un’altra importante strada da perseguire verso il riconoscimento delle competenze professionali è l’attività di tutoring svolta da docenti interni alla scuola verso altri docenti, ovviamente debitamente documentata o organizzata attraverso percorsi formativi pianificati dalla stessa istituzione scolastica, e che porti alla costituzioni di gruppi di studio che svolgono attività di ricerca/azione appunto sotto la guida del docente tutor, esperto/formatore attraverso forme di peer to peer. L’idea è quella di creare comunità in cui i membri si ascoltano, si confrontano e costruiscono un bene comune alla portata di tutti.

In allegato si fornisce un modello di Piano individuale di sviluppo professionale e il modello della struttura di massima di una unità formativa.

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