Sinergie di Scuola

In tempo di Covid-19 è notorio che, per giustificare gli spostamenti, bisogna rendere sotto la propria responsabilità una dichiarazione, a richiesta delle forze dell’ordine che ci fermano per un controllo.

Questa dichiarazione, usualmente definita autocertificazione, viene resa nella consapevolezza delle conseguenze penali in caso di mendacio; alla pubblica autorità il compito di verificare, se vi sia dubbio ovvero anche a campione, la veridicità delle dichiarazioni ricevute.

Con il presente articolo si esamineranno le conseguenze delle false dichiarazioni rese all’atto d’instaurare il rapporto di pubblico impiego, distinguendo tra decadenza dall’impiego e licenziamento.

Falsità delle dichiarazioni o dei documenti all’atto dell’assunzione

Il tema “false dichiarazioni – documenti falsi”, che si producono al momento dell’accesso al pubblico impiego, interessa più disposizioni coesistenti, di cui andiamo a illustrare l’ambito applicativo.

L’art. 127, lett. d del D.P.R. 3/1957 prevede che vi sia decadenza dall’impiego «quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile».

L’art. 75 del D.P.R. 445/2000, rispetto alle dichiarazioni sostitutive, prevede invece che la «non veridicità del contenuto» comporti la decadenza del dichiarante «dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiere».

In entrambi i casi la decadenza interviene, senza margini di apprezzamento discrezionale per la P.A., per il solo fatto oggettivo della falsità.

Al contempo, la disciplina del rapporto di impiego pubblico privatizzato prevede che siano causa di licenziamento «le falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera» (art. 55-quater, lett. d del D.Lgs. 165/2001), prevedendo in questo caso una vera propria sanzione disciplinare, come tale assoggettata non solo al relativo procedimento applicativo disciplinato dall’art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001, ma anche alla regola della proporzione della sanzione rispetto alla fattispecie concreta.

Situazioni apparentemente identiche (falsità di documenti o di dichiarazioni rese in vista dell’assunzione) parrebbero quindi esser destinatarie di discipline differenziate (decadenza di diritto/licenziamento previo procedimento disciplinare); occorre, dunque, fare dei distinguo.

La decadenza

L’art. 127, lett. d e l’art. 75 fanno riferimento alla derivazione causale certa dell’accesso all’impiego dai documenti o dalle dichiarazioni false prodotte: la decadenza si ha infatti quando l’impiego «fu conseguito» in base ai documenti falsi, afferma l’art. 127 cit., così come l’art. 75 cit. parla di benefici «conseguenti» al provvedimento emanato in base a dichiarazione non veritiera.

Dunque, allorché la legge ovvero anche il bando di concorso – che si presume conforme a legge rispetto ad un certo requisito, tra cui quello relativo alle pregresse condanne penali – stabilisca una regola certa di incompatibilità con l’accesso al pubblico impiego, la decadenza opererà di diritto, al di fuori di un procedimento disciplinare, in quanto manifestazione di un vizio originario del contratto di lavoro.

La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che l’atto con il quale l’amministrazione revochi un’assunzione – ovvero anche un incarico a seguito dell’annullamento della procedura concorsuale – equivalga alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l’assenza di un vincolo contrattuale (ex multis Corte Cass. n. 194/2019); la decadenza in questi casi va apprezzata «semplicemente in termini di rifiuto dell’amministrazione scolastica di continuare a dare esecuzione al rapporto di lavoro a causa della nullità del contratto per violazione di norma imperativa» (Corte Cass. n. 13150/2006).

La ratio delle norme in esame non è dunque quella di perseguire con misura indiscriminata qualsiasi falsità ma, a contrario, è solo la falsità sui dati sicuramente decisivi per l’assunzione che comporterà la decadenza, senza possibilità di qualsivoglia valutazione di diverso tipo.

La disposizione di cui all’art. 75 del D.P.R. 445/2000 non disciplina una sanzione di carattere afflittivo, in quanto la decadenza dal beneficio si pone sul piano causale quale mero effetto dell’assenza, successivamente accertata, dei requisiti per conseguire il beneficio stesso.

Su questo specifico punto si rammenta che anche il D.P.R. 487/1994 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), all’art. 3, comma 3 ha previsto che «l’amministrazione interessata dispone in ogni momento, con provvedimento motivato, la esclusione dal concorso per difetto dei requisiti prescritti».

Il licenziamento

Queste premesse consentono di cogliere la portata differenziale dell’art. 55-quater del D.Lgs. 165/2001, norma che, come si anticipava, per i falsi documentali e dichiarativi resi in occasione dell’instaurazione del rapporto di pubblico impiego, prevede il licenziamento, sanzione conclusiva di un procedimento disciplinare, adottata all’esito di una valutazione di gravità dell’accaduto.

Per esclusione rispetto ai casi regolati dagli artt. 127, lett. d e 75 (vizi genetici e quindi causa di nullità del contratto di lavoro), la legge, allorquando tali falsità non riguardino circostanze certamente ostative al rapporto, le tratta come vizi “funzionali”, dando rilievo ad esse, a rapporto instaurato e quindi ex post, come ragioni di risoluzione del contratto di lavoro.

L’art. 55-quater quindi non fa riferimento, come le altre norme sopra esaminate, al nesso causale certo tra irregolarità documentale e conseguimento dell’impiego, quanto piuttosto al verificarsi di questo, più genericamente, «ai fini e in occasione» dell’instaurazione del rapporto.

Pertanto una volta instaurato il rapporto, le falsità – in quanto inidonee a determinare ex se la nullità del contratto – rileveranno solo in quanto, per la loro gravità (ad esempio: la natura del dato sottaciuto o manifestato erroneamente; le circostanze della dichiarazione erronea), siano tali da comportare, in un giudizio concreto di proporzionalità, la lesione, valutata ex post, del vincolo fiduciario.

Il buon andamento della PA

Le norme esaminate sono tutte riconducibili all’esigenza di tutela del buon andamento della Pubblica Amministrazione previsto dall’art. 97 Cost., anche se declinano questa finalità con modalità diverse.

Infatti, mentre le norme decadenziali sui requisiti di accesso e sulla loro carenza (art. 127, lett. d e art. 75) si ispirano a una logica di rigorosa legalità, destinata necessariamente ad operare allorquando i requisiti falsamente indicati siano necessariamente e in ogni caso ostativi all’accesso all’impiego pubblico, diversamente, la norma sul licenziamento prevista dall’art. 55-quater lett. d, nei casi in cui i profili cui attiene la falsità documentale o dichiarativa non siano necessariamente ostativi all’instaurazione del rapporto, non comporta alcun automatismo, ma impone un apprezzamento più duttile e calato sul caso concreto.

Sul punto è opportuno fornire maggiori dettagli: l’art. 55-quater, comma 1 del D.Lgs. 165/2001, non richiede affatto che le falsità documentali e dichiarative che legittimano l’esercizio del potere di recesso senza preavviso da parte dell’Ente debbano concernere esclusivamente fattispecie di reati che precludono l’accesso al pubblico impiego; la norma, infatti, si riferisce a falsità commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro, non già al fine di qualificare la causa tipizzante di tale comportamento, quanto a rimarcare il particolare disvalore che l’ordinamento riconnette alle false dichiarazioni o attestazioni, quando le stesse appaiano finalizzate a lucrare un’assunzione o comunque siano fatte in concomitanza alla costituzione di un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.

Onere della prova

Nell’ambito del procedimento disciplinare, che prevede come sanzione massima il licenziamento, sarà onere probatorio a carico del lavoratore raggiunto dalla relativa contestazione disciplinare, di comprovare la propria buona fede in ordine alle false dichiarazioni rese.

Grava infatti sul lavoratore l’onere di provare gli elementi che possono giustificare l’assenza di dolo o di colpa e ciò perché soltanto l’autore del falso è in grado di provare, per giustificare la sua condotta, che le false dichiarazioni ovvero la produzione di documenti falsi, non siano a lui imputabili ma frutto di un incolpevole errore circa il contenuto e la veridicità delle sue dichiarazioni e/o dei documenti prodotti.

In conclusione, con riferimento allo specifico caso delle condanne penali pregresse, la decadenza ex lege, e quindi al di fuori dal procedimento disciplinare, potrà trovare applicazione solo se la dichiarazione mendace riguardi condanne che non avrebbero in ogni caso consentito l’instaurazione del rapporto di pubblico impiego; in caso contrario, l’adozione della misura attraverso un provvedimento di mera decadenza sarà da considerare non legittima, dovendo semmai la P.A. procedere nelle forme disciplinari, previa valutazione della gravità concreta dell’accaduto.

(le considerazioni svolte sono frutto esclusivo dell’autore e non impegnano l’amministrazione di appartenenza non essendo a questa riconducibili)

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