L’ennesima modifica del sistema valutativo nella scuola primaria è stata sancita dal D.L. 22 dell’8/04/2020, convertito con modificazioni dalla Legge 41 del 6/06/2020.

In un primo momento sembrava che tale mutamento, nel corrente anno scolastico, si limitasse ad interessare la sola valutazione finale. Recentemente, però, un emendamento ha modificato il comma 6 del testo normativo sopra indicato, aggiungendo quanto segue: «All’articolo 1, comma 2-bis, del decreto-legge 8 aprile 2020, [...] le parole: “valutazione finale” sono sostituite dalle seguenti: “valutazione intermedia e finale”».

Il contrasto tra quest’ultima disposizione e quanto indicato nella nota 1515 del 1/09/2020 (nella quale si invitavano le scuole primarie a mantenere nel primo quadrimestre la valutazione in decimi ai sensi dell’art. 2, comma 1 del D.Lgs. 62/2017), ha creato alcune perplessità tra gli insegnanti di scuola primaria per i quali ora è già tempo di affrontare il lavoro di revisione delle procedure valutative.

Perplessità che rischiano di compromettere un cambiamento accolto in un primo momento con favore dalla maggior parte degli “addetti ai lavori”.

Di più: al momento dell’emanazione di tali disposizioni molti docenti hanno manifestato rammarico in merito al rinvio di tale provvedimento all’a.s. 2020/2021, in quanto risultava notevolmente problematica la valutazione degli apprendimenti maturati dagli alunni dai 6 agli 11 anni durante il prolungato periodo di didattica a distanza.

Se ben si rammenta, nella fase finale del precedente anno scolastico si è parlato molto – in particolare per la scuola primaria – di valutazione formativa come modalità idonea a valorizzare il percorso effettuato da ogni alunno, tenendo conto anche dei contesti ambientali in cui sono maturati gli apprendimenti.

Si temeva soprattutto che, in quella situazione, l’utilizzo della scala decimale riflettesse in modo esponenziale le disuguaglianze individuali e quelle familiari, economiche, culturali delle realtà di provenienza degli alunni.

È del tutto evidente che il voto numerico sia associato ad un’idea di scuola basata sulla selezione piuttosto che sulla promozione.

Inoltre, il voto numerico negativo può acquisire un significato punitivo, riferito non solo alla valutazione degli apprendimenti ma anche a fattori personali come l’impegno, quando non venga addirittura attribuito per cause comportamentali.

In proposito, nella nota ministeriale 388 del 17/03/2020 si legge: «Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica, qualsiasi sia la forma nella quale è esercitata».

In ogni caso, l’impiego di numeri da 0 a 10 rischia di creare una scala di valore su cui collocare persone con caratteristiche personali e sociali diverse.

Un po’ di storia

Questo aspetto era stato ben colto già nel 1967 nel famoso libro “Lettera a una professoressa”. Nel messaggio di Don Milani emerge chiaramente il seguente concetto: «non c’è nulla che sia ingiusto quanto fare parte uguali tra diseguali».

Senza voler approfondire le riflessioni sempre valide e attuali rintracciabili nel testo sopra citato, vale la pena di ricordare ancora che la normativa proclamò per la prima volta l’abolizione dei voti numerici nel 1977, con la famosa Legge 517 che, non a caso, forniva disposizioni anche in ordine all’integrazione degli alunni con disabilità.

Nelle intenzioni del legislatore attraverso i giudizi sostitutivi del voto si voleva fornire, tra l’altro, agli studenti e alle loro famiglie gli strumenti per comprendere quali fossero i livelli realmente raggiunti dai propri figli e quale il valore di tali traguardi nel percorso individuale di ciascuno.

Tuttavia, nonostante i molti pareri positivi oggi espressi in merito all’eliminazione della valutazione numerica degli apprendimenti, coloro che (come me) operavano già nella scuola ai tempi ormai lontani dell’emanazione della suddetta norma ricorderanno le reazioni al tempo non entusiastiche dei docenti.

Il rifiuto o la contrarietà manifestata agli esordi di tale modalità valutativa si può spiegare considerando la necessità di un periodo di sperimentazione a fronte di qualsiasi cambiamento, specialmente quando quest’ultimo porta ad eliminare procedure consolidate e universalmente condivise.

Al tempo, si fece fatica a uscire dagli schemi in quanto si percepì come un inutile arzigogolo la “traduzione” in parole (magari con l’impiego di formule preconfezionate) di un parametro numerico che sembrava essere molto più chiaro e condivisibile anche con le famiglie degli alunni (nonostante le su esposte intenzioni del legislatore).

Questa opinione continuò ad essere condivisa da una parte degli insegnanti anche quando, nel 2009, si fece ritorno al “numero” in alternativa al “giudizio” (vedi D.P.R. 122/2009, art. 2).

In questa fase, comunque, per la scuola primaria il giudizio non sparì del tutto in quanto:

In quest’ultimo caso in molte Istituzioni scolastiche il giudizio sintetico (pur correlato con indicatori descrittivi dei vari aspetti comportamentali) diventò, di fatto, “quasi” intercambiabile con il voto numerico (quasi perché il salto tra “buono” e “sufficiente” è sempre stato difficile da gestire).

Per redigere, invece, il giudizio analitico (globale) si adottò (ovvero, si riprese ad adottare) il metodo della compilazione ad incastro di una serie di frasi, anche queste strutturate su indicatori collegialmente adottati.

Nel 2017 il D.Lgs. 62, all’art. 2, comma 1 ripropose nuovamente, per la scuola primaria, la valutazione in decimi, pur non considerandola, qualora negativa rispetto a uno o più apprendimenti, un elemento sufficiente per la non ammissione dell’alunno alla classe successiva, provvedimento da applicarsi invece «solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione».

In questo contesto il voto assunse quindi (per gli alunni da 6 a 11 anni) la funzione di semplice “spia” delle lacune presenti rispetto alle quali si dichiarava prioritaria l’attivazione, da parte della scuola, di specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento.

Il richiamo al D.Lgs. 62/2017 ci induce a comprendere che già in precedenza la normativa orientava gli insegnanti (di tutti gli ordini di scuola ma soprattutto di quella primaria) verso una valutazione non ridotta ad un’operazione formale da compiere a scadenze prestabilite.

Il passaggio recentemente stabilito dal D.L. 22/2020 offre un’ulteriore opportunità di valutare in modo efficace, superando l’idea che si tratti un esercizio linguistico fine a sé stesso e/o collegato ad un’operazione di aggiornamento del software scolastico da parte di coloro che gestiscono le piattaforme del registro elettronico.

Come abitualmente dovrebbe avvenire a fronte di ogni cambiamento, si tratta di intraprendere un percorso che richiede un articolato impegno individuale e collegiale per evitare di ripetere errori passati, come quelli verificatisi nella compilazione del documento di certificazione delle competenze, che purtroppo frequentemente è consistita nell’assemblaggio di uno o più voti numerici.

Responsabilità dei docenti

Riprendiamo, in primo luogo, un passo delle “Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione”, che sottolinea la responsabilità dei docenti in ordine alla valutazione degli alunni:

Agli insegnanti compete la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione didattica, nonché la scelta dei relativi strumenti nel quadro dei criteri deliberati dai componenti organi collegiali. La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo.

Consideriamo, quindi, che ogni scuola è fatta di persone le quali, per poter valutare efficacemente, debbono analizzare la situazione in cui sui trovano ad operare.

È questo il motivo per il quale non verranno, in questa sede, forniti modelli (griglie, indicatori ecc.), ma sarà invece offerto qualche spunto di riflessione per riconfigurare i significati da condividere con i colleghi, con gli alunni, con le famiglie, anche alla luce delle esperienze svolte in regime di didattica a distanza.

In ambito collegiale (Collegio docenti, Consigli d’interclasse, gruppi di lavoro, incontri di programmazione settimanale)il presupposto indispensabile rimane l’adozione, da parte di tutti i docenti, di un atteggiamento di flessibilità, cioè di disponibilità ad adeguare l’organizzazione educativa e didattica alle esigenze degli alunni e del contesto socioculturale, non restando esclusivamente ancorati ai contenuti delle singole discipline.

Le scelte adottate debbono quindi esser collocate nell’ambito di una progettazione che consideri la rilevazione dei punti di forza e di debolezza come un’azione necessaria per la riprogettazione didattico-educativa in itinere.

È appena il caso di sottolineare che non è possibile impostare un lavoro di revisione riguardante esclusivamente le strategie valutative, poiché queste ultime sono strettamente interconnesse con le strategie didattiche.

Come già implicitamente affermato, il riferimento basilare è quello relativo alle competenze, il cui ruolo nella didattica (e relativa valutazione) è stato ben evidenziato nel corso del lockdown.

Lo prova il fatto che, per poter elaborare un giudizio che tenesse conto anche del percorso compiuto e della sua evoluzione, al termine del precedente anno scolastico molti Istituti avevano costruito e deliberato di adottare griglie di valutazione i cui indicatori non erano basati esclusivamente sui contenuti relativi alle singole discipline, ma risultavano in linea con le competenze maturate nel periodo di didattica a distanza.

Le imminenti disposizioni ministeriali sembrano riprendere la ricerca di una convergenza tra giudizi descrittivi e competenze maturate dagli alunni, pur ribadendo che i giudizi stessi andranno riferiti agli esiti raggiunti in relazione agli obiettivi di ciascuna delle discipline previste dalle Indicazioni nazionali per il curricolo (Educazione civica compresa).

Infatti, nell’Ordinanza con le indicazioni operative e le Linee guida – illustrata il 25 novembre 2020 alle Organizzazioni sindacali e al momento in attesa di pubblicazione definitiva dopo il prescritto parere del CSPI – sono stati identificati quattro differenti parametri da utilizzare per descrivere il livello di apprendimento raggiunto da ogni alunno: “Avanzato”, “Intermedio”, “Base” e “In via di prima acquisizione”.

La terminologia appare sin dal primo approccio propria di un impianto valutativo coerente con quello della didattica per competenze.

Gli indicatori sopra riportati vanno infatti riferiti ai seguenti aspetti, che possono o meno caratterizzare le performances di ciascun alunno: portare a termine un compito, agire in autonomia, affrontare situazioni note e non note, utilizzare efficacemente le risorse fornite dal docente o reperite individualmente, dimostrare un impegno costante.

In ogni caso, senza voler mettere in discussione l’iter di emanazione di un’ordinanza ministeriale, non si può non sottolineare lo sfasamento dei tempi rispetto al lavoro collegiale di elaborazione del protocollo valutativo riportato nel PTOF.

Come s’è detto poc’anzi, si ribadisce che valutare non è un atto compreso nello spazio temporale dello scrutinio, quindi l’attesa dell’Ordinanza è destinata a creare difficoltà ai docenti che si troveranno a breve ad espletare un compito delicato e complesso come la valutazione (in modalità diversa rispetto a quella collaudata nel tempo) utilizzando descrittori tardivamente forniti da mettere in corrispondenza con i profili degli alunni.

In questa situazione valutativa emerge chiaramente l’importanza dell’osservazione dell’alunno, per la conseguente registrazione dei dati rilevati da analizzare individualmente e collegialmente.

Per costruire un sistema valutativo efficace è importante, pertanto, partire da una scelta condivisa degli aspetti da osservare al fine di trarre indicazioni utili alla formulazione di un giudizio che serva realmente all’alunno per la prosecuzione del proprio cammino.

Il significato della valutazione per gli alunni

Rimanendo nell’ambito del significato della valutazione per gli alunni, nel rilevare che quella sommativa (direttamente connessa con la prova) può essere usata in modo inadeguato ai fini della valorizzazione dei percorsi individuali, si può tuttavia affermare che una valutazione autenticamente formativa dà un significato formativo anche alla valutazione di tipo sommativo.

Sembra un gioco di parole, ma non lo è.

In un contesto in cui ogni insegnante accetta di identificarsi nel ruolo di facilitatore dell’apprendimento e come tale viene percepito dall’alunno, qualsiasi tipo di valutazione assume sempre il significato di presa di coscienza del livello raggiunto.

Se, come afferma Rosario Mazzeo «la valutazione non consiste nell’assegnare il voto» (11/05/2020, www.ilsussidiario.net), è anche vero che è comunque necessario un controllo finale basato su parametri oggettivi.

La parola chiave, come si evince, è proprio “controllo”, termine che può evocare diversi significati.

Nella peggiore accezione, esso richiama la mancanza di fiducia da parte del docente e/o il tentativo, da parte dell’alunno, di eludere con scaltrezza una richiesta. Si tratta comunque di una relazione educativa “malata”, che difficilmente riesce a mettere in gioco la potenzialità formativa della valutazione.

La didattica a distanza ha fatto emergere chiaramente questa problematica nei casi in cui, nelle conversazioni a distanza, è sorto il dubbio che alcune risposte non fossero frutto di conoscenze realmente acquisite ma di “suggerimenti” o altri artifici.

Il processo di insegnamento/apprendimento attraverso l’uso delle piattaforme informatiche è stato più efficace quando l’alunno ha percepito come significativi – perché valutati – aspetti di sé come la capacità di organizzarsi, di gestire il tempo, di interagire con gli altri, di raccogliere i materiali didattici e catalogarli per discipline e argomenti, nonché di elaborarli in contenuti di apprendimento.

Come si può facilmente dedurre, un prerequisito per creare queste condizioni è l’empatia e la fiducia alla base della relazione tra adulto e minore.

Tornando all’argomento principale – cioè la valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria attraverso i giudizi e non più i voti numerici – è necessario ribadire che l’attuale lavoro di revisione deve tener conto dei parametri valutativi costruiti in relazione alle lezioni a distanza, che vanno riportati alle esperienze attualmente in corso.

Cosa rappresenta la valutazione per le famiglie

Va infine sottolineato che neppure sul versante delle famiglie la valutazione scolastica dovrebbe concretizzarsi nella mera traduzione di un numero in una parola o in una frase preconfezionata.

Anche in questo caso, tuttavia, si continua a rilevare una certa tendenza a condurre un’operazione di questo tipo, anche in considerazione del fatto che (in contrasto, come si è già sottolineato, con le finalità della Legge 517/1977) molti genitori ritengono ancora che un voto sia più facilmente interpretabile rispetto a un giudizio.

In altre parole, spesso i genitori ùritengono che il giudizio stesso, contrariamente alla valutazione in decimi, possa dar adito ad interpretazioni soggettive e richieda quindi un’ulteriore spiegazione per comprenderne la portata.

Questo fenomeno dipende dal fatto che una buona percentuale delle famiglie degli alunni si rifà al modello di scuola direttamente sperimentato, che si avvaleva esclusivamente di una misurazione “quantitativa” degli apprendimenti.

Spetta ancora una volta ai docenti portare i genitori ad una corretta percezione della valutazione scolastica dei propri figli, facendo prendere coscienza del fatto che – citando le parole di Fernando Mazzeo, autore del libro “La saggezza della pedagogia” – non si tratta solo di «una serie di azioni e operazioni di carattere tecnico e burocratico», «non un mero giudizio legato ad una temporanea, semplice e distaccata prestazione professionale erogata da una impresa di servizi».

Non è un compito semplice – sempre citando Mazzeo – quello «di mediare, spiegare, rasserenare, giustificare, ottundere, ammorbidire e attenuare rigidità che, diversamente, potrebbero compromettere gli sforzi compiuti».

Tuttavia, è un impegno che la scuola deve assicurare integrando «in un insieme armonico, la distinzione tra dimensione tecnica e dimensione educativa della valutazione», tenendo conto sia delle basi epistemologiche delle varie discipline, sia di una giusta e corretta percezione dell’identità dell’alunno.

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