Sinergie di Scuola

Nel num. 14 - Dicembre 2011 è stato approfondito il tema del riconoscimento della causa di servizio e i principali istituti a ciò correlati: l’equo indennizzo e la pensione privilegiata.

Per una singolare coincidenza, proprio nel mese di dicembre è entrato in vigore il decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, che ha abrogato le disposizioni inerenti gli istituti sopra menzionati.

Oggetto del presente lavoro è dunque l’analisi dell’attuale assetto normativo che disciplina la materia già oggetto di causa di servizio, equo indennizzo e pensione privilegiata.

 

Il Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n. 284 del 6/12/2011 –  Suppl. Ordinario n. 251, convertito dalla legge 214/2011, è conosciuto dai media come “Decreto Monti”, e così lo chiameremo nel prosieguo, o anche “Decreto salva Italia”.

Tra le varie disposizioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica, all’art. 6 il Decreto Monti innova la materia dell’equo indennizzo e delle pensioni privilegiate (il Decreto è stato definitivamente convertito nella Legge 22 dicembre 2011, n. 214 pubblicata nella G.U. n. 300 del 27/12/2011 - Suppl. Ordinario n. 276).

Titolo I  –  Sviluppo ed equità
Art. 6 – Equo indennizzo e pensioni privilegiate
 1.  Ferma la tutela derivante dall’assicurazione obbligatoria  contro gli infortuni e le malattie professionali, sono abrogati gli istituti dell’accertamento della dipendenza dell’infermità’ da  causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata. La disposizione di cui al primo  periodo  del  presente  comma  non  si  applica  nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa vigili del fuoco e soccorso pubblico. La  disposizione  di  cui  al  primo  periodo  del presente comma non si applica, inoltre, ai procedimenti in corso alla data  di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto,   nonché   ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora  scaduto il termine di presentazione della domanda,  nonché ai  procedimenti instaurabili d’ufficio per eventi occorsi prima della predetta data.

Sviluppo... ed equità?

Il Decreto Monti contempla sia dei casi di esclusione soggettiva sia casi di esclusione oggettiva. Con riferimento ai soggetti non toccati dal provvedimento, l’aspetto più macroscopico che impone il quesito, se questo dunque sia o meno un provvedimento dai risvolti “equi”, è il seguente:

«la disposizione di cui al primo  periodo  del  presente  comma  non  si  applica  nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco  e soccorso pubblico».

Dunque, posto che non vi sono dubbi che per comparto sicurezza  si intendono le forze di polizia dello stato, che per comparto difesa si intendono le forze armate, si nutrono delle perplessità sugli esatti limiti del comparto soccorso pubblico in quanto, cum grano salis, potrebbe rientrarvi tanto il personale della Protezione Civile che quello del Comparto Sanità. Parimenti, anche per le forze di polizia, potrebbero in futuro esservi compresi anche i Vigili Urbani e le Guardie Provinciali, come già richiesto dalle Organizzazioni Sindacali di categoria. In buona sostanza la platea dei soggetti non interessati dall’abrogazione in narrativa potrebbe con il tempo crescere mediante un’interpretazione della norma più o meno estensiva.

A fronte di questi dubbi l’unica certezza è che il personale della scuola, al pari di tutte le restanti categorie degli impiegati civili dello Stato, non trova più attribuita la possibilità del riconoscimento della causa di servizio e degli istituti ad esso collegati.

Perché un docente sia meno tutelato di una guardia forestale nello svolgimento del proprio servizio d’istituto è francamente incomprensibile, certo è che l’equità è assai distante, o forse non è più vero che tutti «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione» (art. 98 della Costituzione).


Il dubbio iniziale allora, forse, potrebbe essere chiarito alla luce del contenimento dei costi (“lo sviluppo”).

Prendendo la relazione tecnica all’articolato di legge è possibile apprendere però che:

«la previsione realizza economie quantificabili solo a consuntivo atteso che l’esclusione esplicita di alcune categorie di personale nonché la necessaria gradualità delle modalità di applicazione, determina nel primo triennio effetti non puntualmente quantificabili tenuto conto, anche, dei tempi di liquidazione dei benefici previsti».

A parere dello scrivente, appurato che gli autori del provvedimento non sono in grado di quantificare le economie di spese, l’intervenuta abrogazione degli istituti contemplati dall’art. 6 non è che l’ennesimo sacrificio che viene richiesto al personale della scuola, e in generale a tutti i pubblici impiegati, a seguito di una privatizzazione del rapporto di lavoro sostanzialmente unilaterale, che in realtà è vera solo per quel che riguarda i poteri del datore di lavoro pubblico, non anche sul piano dei diritti dei lavoratori (si pensi soltanto a tutto il regime delle incompatibilità che è sconosciuto nel privato).

Abrogare dunque degli istituti non fornendo nemmeno una stima presunta dei probabili risparmi è sicuramente un ottimo argomento di discussione per chi vede gli impiegati pubblici come dei fannulloni, ma per coloro che onestamente fanno il loro lavoro è nulla più che una manifesta ingiustizia. Soltanto il tempo potrà smentire questa analisi critica.

Fattispecie di esclusione oggettiva

L’abrogazione non si applica:

  1. ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del  decreto (6/12/2011);
  2. ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora  scaduto il termine di presentazione della domanda;
  3. ai  procedimenti instaurabili d’ufficio per eventi occorsi prima della predetta data.

Per quanto riguarda un’analisi compiuta della disciplina si rinvia all’approfondimento pubblicato nel num 14 – Dicembre 2011.

Analizzando le diverse ipotesi descritte si osserva che:

  1. è l’ipotesi più semplice in quanto il procedimento per il riconoscimento della causa di servizio, ovvero degli istituti a questo collegato, è in corso e pertanto il decreto Monti non si applica tout court;
  2. il termine decadenziale di presentazione della domanda di causa di servizio, da parte del lavoratore o dei suoi eredi, se defunto, è di mesi 6 dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso ovvero dalla data in cui si è avuta conoscenza dell’infermità o della lesione o dell’aggravamento. Nella fattispecie b) potranno dunque essere presentate domande relative a eventi patiti in data non antecedente quella del 7/06/2011 (è chiaramente questa un’ipotesi limite, ma comunque in linea teorica possibile, in quanto si tratterebbe di una domanda presentata il giorno medesimo dell’entrata in vigore del decreto);
  3. in tale ipotesi è bene rammentare che l’Amministrazione inizia il procedimento quando risulti che un proprio dipendente abbia riportato lesioni per certa o presunta ragione di servizio, ovvero per questa ragione abbia contratto infermità nell’esporsi a cause foriere di morbo; inoltre, che dette infermità siano tali da poter divenire cause d’invalidità o di altra menomazione dell’integrità fisica, psichica e sensoriale. L’iniziativa d’ufficio è prevista anche nell’ipotesi che il dipendente, in servizio, muoia durante l’orario di lavoro a cagione di un evento traumatico.

Orbene, considerato che possono essere avviati i procedimenti relativi ad eventi dannosi occorsi prima del 6/12/2011, è auspicabile, per un vero senso di equità, che tutte quelle domande non presentate dagli interessati in tempo utile, possano comunque essere avviate d’Ufficio da un’Amministrazione “sensibile” nei confronti del proprio personale, che si è visto abrogare degli istituti storici di cui nemmeno era posta alcuna menzione nei vari interventi mediatici sulle misure adottabili per il contenimento della spesa pubblica.


Quali rimedi dunque?

L’art. 6 del decreto Monti esordisce con un inciso edulcorante l’amara pillola che si dovrà poi ingoiare: «Ferma la tutela derivante dall’assicurazione obbligatoria  contro gli infortuni e le malattie professionali» è una disposizione chiaramente ultronea rispetto al successivo disposto di legge.

Parrebbe far intendere che vi sia un qualche collegamento tra gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali e la causa di servizio, quando in realtà così non è, al punto che l’art. 6, se non avesse riportato detto inciso, non avrebbe minimamente intaccato la propria forza abrogatrice.

Ad ogni buon conto analizziamo in estrema sintesi la tutela derivante dall’assicurazione obbligatoria  contro gli infortuni e le malattie professionali.

Per infortunio sul lavoro si intende l’evento accidentale, occorso al lavoratore durante l’orario di lavoro, che determina una lesione o menomazione della propria integrità fisica.

Orbene, ai sensi dell’art. 2, comma 1 del DPR 1124/1965 (Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali):

«L’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni».

È importante evidenziare che è indennizzabile anche l’infortunio in itinere: infatti, ai sensi del comma 3 dell’art. 2 citato:

«salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal  lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di  lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal  luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la  deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida».

Si rammenta che l’infortunio sul lavoro deve essere denunciato all’INAIL e alla competente autorità territoriale di Pubblica Sicurezza entro due giorni dalla conoscenza dell’evento (24 ore in caso di morte).

Per quanto riguarda invece le malattie professionali bisogna distinguere tra quelle c.d. tabellate, riferite ai lavori nei settori dell’industria e dell’agricoltura, e quelle c.d. extra tabellari, ossia non codificate.

Nel caso di malattie professionali tabellate, vale il principio della cosiddetta “presunzione del nesso tra patologia e attività”. Pertanto, al lavoratore esposto ad una delle lavorazioni a rischio previste negli elenchi non è richiesta altra documentazione sanitaria, oltre alla certificazione rilasciata dal medico.

Per le patologie extratabellari, invece, poiché le indagini epidemiologiche non hanno prodotto risultati sufficienti tali da giustificare l’inserimento nelle tabelle, il lavoratore deve dimostrare con una documentazione appropriata il nesso tra la malattia contratta e le attività professionali svolte.

Per procedere al riconoscimento delle malattie professionali, il DPR 1124/1965 impone l’obbligo al lavoratore di presentare il certificato medico al datore di lavoro entro 15 giorni dall’insorgere della malattia, che deve indicare la presunta origine professionale della patologia. È obbligo del datore di lavoro, che non può sindacare il giudizio del medico che ha rilasciato il certificato, di denunciare la patologia all’Inail entro 5 giorni dal ricevimento del certificato medico. Successivamente, l’Inail chiamerà a visita il lavoratore per ricostruire l’anamnesi lavorativa, in particolare in merito alla pericolosità cui è stato esposto e chiederà al datore di lavoro copia del documento aziendale di valutazione dei rischi.

Sia l’infortunio sul lavoro sia la malattia professionale danno luogo alla corresponsione di una rendita temporanea o vitalizia in funzione della gravità della lesione o della patologia.


Cosa resta con la scomparsa della pensione privilegiata?

Premesso dunque l’ambito intervento dell’INAIL, il vero effetto dirompente del decreto Monti è l’abrogazione dell’istituto della pensione privilegiata, che poteva a domanda essere concessa a seguito del riconoscimento della causa di servizio.

Rammentiamo che la pensione privilegiata viene così definita perché è svincolata da qualsiasi requisito contributivo; è dovuta infatti anche per un solo giorno di servizio e viene concessa perché, a causa del servizio, il dipendente è divenuto inabile in misura assoluta o permanente all’impiego.

Abrogato detto istituto, l’unica forma pensionistica prevista nelle ipotesi di inabilità al lavoro è la pensione diretta di inabilità, che era, ante decreto Monti, riconosciuta per eventi non derivanti da causa di servizio.

Allo stato attuale dunque si ritiene che il mancato riconoscimento della pensione privilegiata per il personale scolastico renda non più attuale la distinzione operante in materia di pensione di inabilità dovuta o meno alla causa di servizio. Questa considerazione anche per l’ovvia valutazione che diversamente gli inabili al lavoro per causa di servizio verrebbero ingiustificamente discriminati rispetto ai lavoratori inabili al lavoro per cause diverse. Insomma, si determinerebbe un vero paradosso: da titolari di un “privilegio” a lavoratori di serie B senza tutela alcuna.

La pensione diretta di inabilità è un trattamento erogato a favore di chi cessa dal servizio per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa. Il trattamento di pensione è calcolato sulla base dell’anzianità contributiva maturata, aumentata di un ulteriore periodo compreso tra l’età alla cessazione dal servizio e il compimento del limite di età nel sistema retributivo, oppure il compimento del sessantesimo anno di età nel sistema misto e contributivo.

Per chiedere la concessione della pensione di inabilità è necessario che il lavoratore abbia maturato un minimo di cinque anni di anzianità contributiva, di cui almeno tre nell’ultimo quinquennio.

La facoltà di richiedere la pensione di inabilità è garantita solo al lavoratore, può però diventare un trattamento indiretto o reversibile se la richiesta è stata presentata dal lavoratore o dal pensionato prima del suo decesso. In questo caso la Commissione Medica di Verifica accerta in maniera postuma lo stato di inabilità del defunto prima di conferire il trattamento di reversibilità ai superstiti.

Maternità: schema valutazione dei rischiLa domanda formalizzata da un lavoratore in servizio deve essere presentata all’Ufficio scolastico di appartenenza per il successivo inoltro non più all’INPDAP, ma all’INPS (ricordiamo che dal 1° gennaio 2012 l’INPDAP è stato disciolto e le relative funzioni attribuite all’INPS), previa verifica del requisito del minimo contributivo richiesto; se invece viene avanzata da un pensionato deve essere presentata direttamente all’INPS.

In ogni caso deve essere allegato un certificato medico rilasciato dal medico di famiglia in cui viene attestata l’inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa.


Il lavoratore, o il pensionato, viene dunque invitato a visita medico collegiale presso la Commissione Medica di Verifica  che procede ad accertare il requisito di “inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa”; infatti potrebbe verificarsi il caso che la commissione medica incaricata della verifica potrebbe accertare la mancanza di questo requisito, facendo quindi decadere la domanda di pensione di inabilità, ma riscontrare allo stesso tempo una inabilità assoluta o permanente a svolgere le proprie mansioni lavorative; in questo caso il dipendente potrebbe dunque essere collocato a riposo anche senza aver raggiunto i requisiti minimi contributivi per ottenere alcun tipo di prestazione previdenziale.

La pensione diretta d’inabilità, eccezione fatta per un’eventuale revisione, è vitalizia e  decorre dalla data di collocamento a riposo; qualora invece la domanda sia stata presentata dopo la fine del rapporto di lavoro (ma entro due anni dalla dispensa di servizio) la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in cui la domanda è stata presentata.

Causa di lavoro per il risarcimento del danno

Con riferimento all’equo indennizzo, il mancato riconoscimento di quest’istituto al personale scolastico fa sì che l’unico strumento di tutela oggi ammissibile sia un’ordinaria causa di lavoro avente ad oggetto il risarcimento del danno.

Al riguardo è opportuno rammentare che la domanda risarcitoria è soggetta agli ordinari termini di prescrizione e che il danno risarcibile assimilabile all’oggetto dell’equo indennizzo è quello biologico, costituito dalla lesione o menomazione dell’integrità psico-fisica del lavoratore. Altre ipotesi di risarcimento per il danno che potrebbe subire il lavoratore in costanza del rapporto di lavoro sono senz’altro ammissibili (danno esistenziale – danno da perdita di chance – danno da dequalificazione professionale e/o mobbing), ma sono tutte ipotesi che esulano dalla casistica dell’ormai abrogato equo indennizzo per causa di servizio.

(Le considerazioni qui esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore
e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza)

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