Nel num. 96 – Febbraio 2020 di Sinergie è stato pubblicato l’articolo “Valutazione del servizio pre-ruolo ai fini dell’anzianità di servizio”, al quale si rimanda, dove si analizzavano i motivi del contenzioso del personale docente precario verso il MIUR, relativamente alla valutazione del servizio pre-ruolo una volta ottenuta l’immissione in ruolo.

Anche il contenzioso del personale ATA nasce per la denunziata violazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE: esso, ricordiamo, esclude qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, quali appunto quelli non di ruolo, rispetto ai pari livello a tempo indeterminato.

Con il presente contributo vedremo come anche la valutazione del servizio pre-ruolo del personale ATA precario, violi il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4.

La Cassazione sul merito

La Corte di Cassazione (ex multis sent. 31150/2019) ci fornisce le migliori occasioni di approfondimento.

Una lavoratrice ATA, già precaria, in I grado aveva fatto ricorso al Giudice del Lavoro poiché, alla data dell’immissione in ruolo, pur vantando un’anzianità di servizio come precaria pari ad anni 10, mesi 10 e giorni 26, questa era stata ridotta dall’Amministrazione scolastica ad anni 8, mesi 7 e giorni 6, sulla base del disposto dell’art. 569 del D.Lgs. 297/1994:

1. Al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, il servizio non di ruolo prestato nelle scuole e istituzioni educative statali è riconosciuto sino ad un massimo di tre anni agli effetti giuridici ed economici e, per la restante parte, nella misura di due terzi, ai soli fini economici.

Il calcolo è ineccepibile, ma... Tanto in I grado che nel successivo appello proposto dal MIUR, i Giudici di merito ritennero che l’art. 569 citato – nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell’art. 570 dello stesso decreto, sia utile integralmente a fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi a fini economici nei limiti dei due terzi – si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro e, pertanto, provvidero a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva, e a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell’amministrazione, l’intero servizio effettivo prestato.

In Cassazione il MIUR motivò il proprio ricorso evidenziando che l’immissione in ruolo fa venir meno lo status di lavoratore a termine e pertanto il dipendente, non più precario, non ha titolo per rivendicare un’anzianità diversa da quella che il legislatore, discrezionalmente, ha ritenuto di poter riconoscere nei soli limiti di cui all’art. 569; l’Istituto della ricostruzione della carriera costituirebbe «un privilegio storico del personale scolastico» che di ex se non determinerebbe alcuna disparità di trattamento.

Ricostruzione di carriera del personale ATA

La ricostruzione della carriera del personale ATA, nei casi in cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine, diventa dunque il tema centrale al fine di accertare eventuali disparità di trattamento poiché, al pari del personale docente, la disciplina per gli ATA di ruolo/assunto a tempo indeterminato fa discendere effetti giuridici ed economici dall’anzianità di servizio, che condiziona sia la progressione stipendiale sia, in genere, lo svolgimento del rapporto.

Infatti, tanto per i docenti che per il personale ATA, vige una disciplina specifica dell’istituto del riconoscimento del servizio ai fini della carriera, che costituisce un unicum nell’impiego pubblico contrattualizzato; disciplina eccezionale che si giustifica per la peculiarità del sistema scolastico italiano dove, pur nella diversità delle forme di reclutamento succedutesi nel tempo, l’immissione definitiva nei ruoli del MIUR è sempre stata preceduta da periodi di precariato.

Già 50 ani fa (Decreto-Legge 370/1970) il legislatore aveva previsto, all’art. 9, che «Fermi restando i riconoscimenti di servizio previsti dalle norme vigenti, al personale statale non insegnante di ruolo negli istituti e scuole di istruzione secondaria ed artistica, compreso il personale dei Convitti annessi agli istituti tecnici e professionali, il servizio non di ruolo prestato negli istituti e scuole medesime, è riconosciuto, ai soli fini economici, in ragione di un terzo».

Abbiamo già visto come poi questa disposizione sia stata ripresa dall’art. 569 del D.Lgs. 297/1994, e ulteriormente chiarita nel successivo art. 570: «Ai fini del riconoscimento di cui all’articolo 569, è utile soltanto il servizio effettivamente prestato nelle scuole e istituzioni educative statali che sia stato regolarmente retribuito. Eventuali interruzioni dovute alla fruizione di congedo e di aspettativa retribuiti e quelle relative a congedo per gravidanza e puerperio sono considerate utili a tutti gli effetti per il computo dei periodi richiesti per il riconoscimento. Il riconoscimento dei servizi è disposto all’atto della nomina in ruolo.»

Differenze rispetto ai docenti

La normativa dettata in tema di riconoscimento dei servizi pre-ruolo del personale ATA differisce sensibilmente da quella relativa al personale docente: differenza tra il limite del riconoscimento integrale e le modalità dell’abbattimento (3 anni per gli ATA, 4 anni per i docenti) oltre che degli effetti del riconoscimento del servizio pre-ruolo (per un terzo: a soli fini giuridici per il personale docente, a fini giuridici ed economici per gli ATA), ed infine sul servizio utile per la ricostruzione (il servizio utile è solo quello «effettivamente prestato nelle scuole e istituzioni educative statali che sia stato regolarmente retribuito»).

Rammentiamo che al personale ATA non si applica l’art. 11, comma 14 della Legge 124/1999 che ha previsto l’equiparazione all’anno scolastico intero del servizio di insegnamento «se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 10 febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale.»; l’abbattimento dunque opera solo sulla quota eccedente i primi tre anni di anzianità, oggetto di riconoscimento integrale, con un’evidente penalizzazione per i precari di lunga data.

Il sistema prevedeva l’indizione annuale di concorsi per titoli su base provinciale e la formazione di graduatorie permanenti dalle quali attingere i nominativi degli ATA da immettere in ruolo e quindi, l’abbattimento oltre il primo triennio, si giustificava in relazione al criterio meritocratico in base a cui, attesa la prevista periodicità dei concorsi e dei provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli del MIUR, vi dovrebbe esser stata una tempestiva immissione dei più meritevoli.

È notorio però che questo sistema di reclutamento non ha funzionato come nelle previsioni e pertanto – e non di rado, anzi – il personale precario si è trovato a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale. Da qui tutto il contenzioso derivato per violazione del diritto dell’Unione Europea.

Quanto sostenuto dal MIUR dunque nel ricorso non è stato accolto dalla Suprema Corte poiché la clausola 4 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP non può essere esclusa per il fatto che il lavoratore, già precario, sia stato poi immesso in ruolo. Della clausola 4, infatti, non può essere fornita un’interpretazione restrittiva poiché l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori precari rispetto a quelli di ruolo viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio.

Questo principio è coerente con la granitica giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto l’anzianità di servizio come utile ai fini della progressione stipendiale anche in pendenza di rapporti a termine (cfr. Cass. n. 20918/2019 per il personale ATA): «nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato» (principi già affermati con le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, richiamate nel precedente articolo).

A differenza dei docenti, per i quali il divieto di discriminazione tra lavoratori deve essere scongiurato anche nell’ipotesi di «discriminazione alla rovescia», il personale ATA non può legittimamente subire alcuna discriminazione tout court, in quanto non può giovarsi della fictio iuris di cui al richiamato art. 11, comma 14 della Legge 124/1999.

Acclarato quindi che solo ragioni oggettive possono giustificare disparità di trattamento tra lavoratori precari e di ruolo, diversamente illegittime, la Cassazione ha chiarito che queste non possono essere, come sostenuto dal MIUR:

  1. la natura non di ruolo del rapporto di impiego;
  2. la novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente;
  3. le modalità di reclutamento del personale, in quanto vi è una totale sovrapponibilità delle mansioni espletate dai lavoratori precari con quelli di ruolo, anche perché tutti i CCNL succedutisi nel tempo non hanno mai operato differenziazioni fra le due tipologie di rapporto quanto all’inquadramento dei lavoratori e all’espletamento dei compiti propri dell’area, ossia delle «funzioni amministrative, contabili, gestionali, strumentali, operative e di sorveglianza connesse all’attività delle istituzioni scolastiche» (art. 49 CCNL 1995).

L’art. 569 del D.Lgs. 297/1994 si pone dunque in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP, nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, come calcolato ex art. 570, sia utile integralmente a fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi a fini economici nei limiti dei due terzi; il giudice, una volta accertata la predetta violazione, sarà tenuto:

  1. a disapplicare la citata norma perché in contrasto con la direttiva europea;
  2. a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore precario non di ruolo, successivamente immesso nei ruoli del MIUR, l’intero servizio effettivo prestato.

(le considerazioni svolte sono frutto esclusivo dell’autore e non impegnano l’amministrazione di appartenenza non essendo a questa riconducibili)

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