Sinergie di Scuola

In un’intervista del 2014, l’allora Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini indicò un nuovo modo di intendere l’alfabetizzazione nel secolo attuale: parlò, cioè, di “alfabetizzazione digitale”.

La dichiarazione era stata rilasciata in un momento importante, poiché in quell’anno scolastico il MIUR – in collaborazione con il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica) – aveva appena inserito nel Piano Nazionale Scuola Digitale il Progetto “Programma il Futuro”.

Questa iniziativa era stata veicolata dalla nota n. 2937 del 23/09/2014, nella quale si dichiarava l’intenzione di sperimentare (sulla base dell’esperienza già condotta negli USA) «l’introduzione strutturale nelle scuole dei concetti di base dell’informatica».

Qualcuno potrebbe obiettare che l’informatica era stata introdotta nella scuola ben prima del 2014. L’esperienza precedente, tuttavia, si riferiva ad un’accezione strumentale della materia, cioè al “saper servirsi” del computer – nell’insegnamento/apprendimento delle discipline – in termini di semplice utilizzo “materiale” delle applicazioni che ne prevedano l’impiego, senza tuttavia porsi l’obiettivo di sviluppare, attraverso l’informatica, nuove strategie per crescere cognitivamente e conquistare nuove capacità mentali.

In altre parole, l’obiettivo più attuale è quello di padroneggiare il linguaggio delle macchine, non limitandosi a saperlo leggere ma essendo in grado di scriverlo.

Per riprendere le parole di Alessandro Rabbone, docente esperto comandato presso l’IRRE Piemonte, «è necessario che i ragazzi si convertano dall’essere semplici consumatori di tecnologia a persone in grado di applicare il pensiero logico per capire, controllare, sviluppare contenuti e metodi per risolvere i problemi e cogliere le opportunità che la società è già oggi in grado di offrire».

L’azione concreta proposta dal sopra citato Progetto, tuttora in corso (vedi nota n. 21770 del 27/11/2020) è finalizzata quindi alla formazione, per alunni e studenti, al cosiddetto pensiero computazionale attraverso l’introduzione alla programmazione, in inglese coding.

Cos’è il pensiero computazionale

Una definizione efficace in merito fu fornita già nel 2006 dalla scienziata informatica Jeannette Wing, che parlò di una «quarta abilità di base» che va ad affiancarsi a quelle classicamente da acquisire nel percorso scolastico (cioè leggere, scrivere e far di conto).

Questa abilità è importante per la formazione di ogni cittadino che fa parte della società digitale, qualunque sia il percorso professionale che ha intrapreso o verso il quale si orienterà.

Più recentemente, Michael Lodi (Professore a contratto presso il Dipartimento di Informatica – Scienza e Ingegneria dell’Università di Bologna) ha affermato che il pensiero computazionale consente «di pensare come un informatico ed essere in grado di applicare questa competenza ad ogni settore dell’attività umana».

Sembrerebbe trattarsi di un traguardo difficile, cioè di un obiettivo certamente non alla portata di tutti.

Debbo confessare che anch’io – possedendo, tra l’altro, una cultura informatica assolutamente “di base” – ho provato, al tempo, un iniziale senso di incertezza di fronte ad alcuni docenti molto più ferrati in materia e disponibili a progettare percorsi in linea con le citate linee ministeriali.

È necessario riprendere queste ultime per rintracciare elementi interpretativi del percorso che la scuola è chiamata a strutturare. In proposito, la nota n. 2937/2014 afferma: «Nel mondo odierno i computer sono dovunque e costituiscono un potente strumento per la comunicazione. Per essere culturalmente preparato a qualunque lavoro che uno studente di adesso vorrà fare da grande è indispensabile quindi una compensione dei concetti di base dell’informatica. Esattamente com’è accaduto nel secolo passato per la matematica, la fisica, la biologia e la chimica. Il lato scientifico-culturale dell’informatica, definito anche “pensiero computazionale”, aiuta a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente, qualità che sono importanti per tutti i futuri cittadini».

Si tratta quindi di far acquisire capacità logiche e, nel contempo, creative.

Ma come si concilia la logica con la creatività? Non è quest’ultima una prerogativa unica dell’agire umano che va comunemente posta su un piano diverso (se non addirittura antitetico) rispetto alla prima?

Il dilemma evidenzia la prima preoccupazione che si affaccia alla mente di molti educatori, cioè il pericolo di “robotizzare” i nostri alunni/studenti.

Questi timori possono essere amplificati da un approccio solo superficiale all’ambito della promozione della divulgazione scientifica.

È innegabile, ad esempio,che si possa provare una certo timore nel leggere sul sito dedicato all’iniziativa finanziata dal M.I. denominata “Progetto e-Robot: Robotica on-line” frasi come quella che segue: «Immaginate come sarà la nostra vita, in un domani non troppo lontano, quando ci saranno nelle case dei robot umanoidi [...]».

Tuttavia, se abbiamo la pazienza di approfondire l’argomento, troviamo spiegazioni che ci permettono un approccio del tutto diverso: i robot, infatti, vanno «intesi come dispositivi elettromeccanici il cui comportamento viene controllato da opportuni comandi impartiti dall’uomo».

Il coding, in tal senso, mette in grado di governare le macchine; la robotica educativa, anche detta microrobotica, è un metodo di insegnamento che permette di imparare tramite la realizzazione di un robot educativo.

La robotica educativa si traduce in un metodo di insegnamento, detto anche robotica didattica, che si avvale del lavoro di gruppo e ha una dimensione ludica. Torneremo su questi aspetti.

Riprendiamo ora il sopra indicato riferimento alla creatività, precisando che nella scuola esso non ha come obiettivo la cosiddetta “creatività artificiale”, cioè quella disciplina scientifica che si occupa di emulazione della creatività umana (es. in campo musicale, linguistico e pittorico) tramite modelli e metodi computazionali.

Partiamo, quindi, dal presupposto che l’educazione scolastica agisce sempre nel rispetto e nella salvaguardia anche della componente “non razionale” della personalità: quella, cioè, che si colloca nella dimensione emotivo-affettiva.

In ambito scolastico, lo sviluppo della competenza logica in termini di creatività si acquisisce assieme alla capacità di trovare una soluzione a un problema. Soluzione che, come afferma Stephan Mumaw, direttore creativo e scrittore, deve presentare due caratteristiche: la rilevanza (cioè il grado con cui un problema viene effettivamente risolto) e l’innovazione (il quoziente di unicità/originalità della soluzione proposta).

Cerchiamo, ora, di rispondere a due domande.

  1. In che cosa consiste, nel concreto, questa competenza?
    La risposta è la seguente: nel saper risolvere un problema complesso scomponendolo in una sequenza di parti (o “azioni”); la sequenza, una volta costruita, può essere eseguita da altri (cioè da altra persona o da un computer) come se si trattasse di una ricetta o di una serie di istruzioni per montare un mobile.
  2. Come procedere in classe?
    Dice la già citata nota n. 2937/2014: «Il modo più semplice e divertente di sviluppare il “pensiero computazionale” è attraverso la programmazione (coding) in un contesto di gioco».

Cos’è il coding

La risposta alla seconda domanda di cui sopra ci conduce ora ad analizzare il concetto di coding, o meglio di coding educativo, inteso come insegnamento/apprendimento della programmazione sin dalla scuola dell’infanzia.

Specifichiamo innanzitutto che esso non deve essere riduttivamente definito come “apprendimento della lingua dei computer”.

Esso va invece inteso (come afferma la docente Caterina Moscetti nel testo “Coding e pensiero computazionale nella Scuola primaria”) in termini di acquisizione di «una strategia di pensiero chiara, logica e operativa, che si utilizza per risolvere problemi, anche quotidiani, in modo personale e creativo, grazie alla pianificazione di una strategia d’azione».

Quest’ultima precisazione ci porta ad un’ulteriore domanda:

  1. La presenza e/o l’uso diretto del computer è indispensabile per l’insegnamento/apprendimento propedeutico allo sviluppo del pensiero computazionale?
    La risposta è NO.

Pur considerando che il coding può essere definito “una nuova lingua” che consente di dialogare con il computer impartendo dei comandi, va precisato che l’insegnamento dei principi che stanno alla base del pensiero computazionale può avvenire anche senza l’impiego di strumenti digitali.

Si parla, in questo senso, di coding unplugged, che fa riferimento ad una serie di possibili esperienze – idonee a tutte le età – finalizzate all’apprendimento dei fondamenti delle scienze informatiche e computazionali senza l’utilizzo di un computer. In questo ambito, numerose attività sono realizzate con il solo ausilio di matite colorate e fogli di carta sui quali trascrivere il programma utilizzando simboli.

Tali esperienze sono riferibili principalmente al funzionamento e alla costruzione degli algoritmi.

Non dobbiamo farci impressionare dall’apparente complessità del significato veicolato da quest’ultimo termine: si tratta di attività assolutamente calibrate sulle potenzialità proprie delle varie età dei nostri alunni/studenti.

Un algoritmo altro non è che la descrizione del già indicato percorso risolutivo di un problema, percorso basato su una sequenza finita di operazioni (dette anche istruzioni) che consentono di giungere dai dati iniziali ai risultati finali. Esso viene sempre creato pensando di rivolgersi a un esecutore capace di svolgere le azioni descritte nelle istruzioni.

La chiamata in causa dell’algoritmo spiega il fatto di non dipendere dall’uso del computer per realizzare percorsi didattici legati al pensiero computazionale.

Infatti, pur trattandosi di un concetto basilare nell’informatica, come Wikipedia insegna «le prime nozioni di algoritmo si trovano in documenti risalenti al XVII secolo a.C., conosciuti come i papiri di AHMES, che contengono una collezione di problemi con relativa soluzione, comprendendo un problema di moltiplicazione che lo scrittore dichiara di aver copiato da altri papiri anteriori di 12 secoli».

Le procedure inerenti la risoluzione dei problemi – anche in termini pratici, riferiti a un ambiente circostante “programmabile” con il quale giocare e apprendere – vanno progressivamente approfondite e analizzate in relazione al livello di maturazione raggiunto dai discenti.

Nei primi anni di scuola dell’infanzia si può cominciare con attività condotte su base manuale e iconica, che possono consistere ad esempio nel semplice riordino dell’aula da definire attraverso una sequenza di azioni le quali, alla fine, possono essere riassunte con una sequenza di disegni inseriti in un cartellone.

Il passo successivo (per i bambini in età di passaggio alla scuola primaria) ha come obiettivo il saper interpretare semplici sequenze di istruzioni.

Il “CodyRoby”

Uno strumento per raggiungere questo traguardo di competenza è rappresentato da un gioco educativo ideato nel mese di novembre del 2014 da Alessandro Bogliolo, Professore Ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso l’Università degli Studi di Urbino.

Si tratta di un metodo che lascia molto spazio alla creatività ed è denominato CodyRoby da Cody (che è il soggetto che crea le istruzioni) e Roby (l’esecutore).

Tale metodo si basa sulla programmazione e sull’interpretazione di semplici sequenze di istruzioni unplugged (cioè, come s’è detto, senza computer).

Il docente può scaricare liberamente dalla rete e stampare su fogli A4 il materiale da utilizzare (un mazzo di 40 carte con le istruzioni, una scacchiera).

Il kit CodyRoby consente di organizzare attività diversificate per fasce di età: motorie (a partire dai 5 anni), da tavolo (alcune dagli 8 anni, altre dai 10 anni in poi), invenzioni di giochi (dai 12 anni in poi).

Non dimentichiamo che, comunque, dai 6 anni in su è possibile proporre ai nostri alunni anche giochi ed esercizi interattivi che prevedano l’utilizzo di mezzi informatici (computer o tablet).

La piattaforma Scratch

Qualora volessimo avvalerci di tali mezzi, esistono siti web che offrono ottimi spunti: cito in particolare la piattaforma Scratch, che alcuni insegnanti motivati all’educazione al pensiero computazionale utilizzavano sovente presso la mia ultima sede di servizio.

Si tratta di un ambiente di programmazione (gratuito e basato su un linguaggio di tipo grafico) che, oltre a proporre semplici giochi, offre spunti per simulazioni, esperimenti, animazioni.

Poiché fortunatamente ho mantenuto contatti con l’Istituzione scolastica che ho diretto, recentemente sono venuta a conoscenza che in quel contesto è stato elaborato un percorso di apprendimento curricolare multidisciplinare (basato sulla robotica educativa e il coding) che prevede la realizzazione di un codice di programmazione in ambiente Scratch per gruppi collaborativi di lavoro con uso di computer e applicazioni tecnologiche.

Tale progetto, pur orientato al rafforzamento di contenuti scientifico-matematici, si avvale della collaborazione di docenti di varie discipline (Lettere, Matematica e Scienze, Inglese e sostegno) e ha inoltre finalità inclusive, riferite non solo all’inclusione dei ragazzi con difficoltà, ma anche alle pari opportunità delle ragazze nelle discipline STEM.

Le discipline STEM

Le discipline digitali (di cui il coding fa parte) sono strettamente connesse con il sistema delle discipline scientifiche-tecnologiche denominato STEM (dalle materie che lo compongono: Science,Technology, Engineering, Mathematics).

Questo sistema riunisce un insieme di competenze chiave per la comprensione di molteplici meccanismi che stanno alla base dello sviluppo sociale; competenze che risultano, quindi, fondamentali rispetto al collocamento sul mercato del lavoro.

Ebbene: recentemente, la Commissione europea attraverso il “Women in Digital Scoreboard 2020” (uno strumento per misurare la partecipazione delle donne all’economia digitale) ha reso noto che le stesse, in Europa, hanno probabilità inferiori, rispetto agli uomini, di acquisire competenze digitali e di impiegarsi in questo campo.

Non solo: nonostante secondo il report di “Linkedin Emerging Jobs 2019” la tecnologia in Italia abbia avuto un ruolo predominante nel 2019, dai dati presentati dalla Commissione europea emerge che l’Italia è al quartultimo posto rispetto alla partecipazione delle donne nell’economia digitale.

In considerazione della negatività di questa situazione e del fatto che l’innovazione ha bisogno anche del pensiero femminile, il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha promosso un bando per finanziare progetti finalizzati a realizzare attività di carattere educativo nelle materie STEM al fine di incoraggiarne lo studio, in particolar modo da parte delle bambine e delle ragazze.

In occasione della Giornata internazionale della donna anche il M.I., in collaborazione con il Dipartimento delle Pari Opportunità, ha bandito un concorso denominato “STEM: femminile plurale”.

Un ultimo accenno va fatto, infine, alle Olimpiadi Nazionali di Robotica (quest’anno alla sesta edizione) promosse in collaborazione con la Scuola Robotica di Genova dalla Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e la Valutazione del Sistema Nazionale di Istruzione nell’ambito della promozione delle eccellenze.

Il tema per l’edizione 2020/2021 è: “Acqua Terra Cielo – Robot al servizio del nostro Pianeta”.

La competizione è dedicata alla ideazione, progettazione e costruzione di prototipi di robot in grado di svolgere funzioni utili al miglioramento delle condizioni ambientali del nostro pianeta e/o delle condizioni di vita dell’uomo su di esso.

Come si può evincere, la robotica educativa costituisce un riferimento ormai irrinunciabile nell’attuale panorama formativo, in quanto consente a docenti e discenti di mettersi in gioco e liberare la propria creatività, realizzando in classe progetti che trovino soluzione a problemi reali e di attualità.

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